BRINDISI- (Da Il7 Magazine) Nel mare non ci sono più pesci e uno dei mestieri più antichi della città di Brindisi rischia di scomparire per sempre. Damiano, Nicola, Adamo fanno parte tutti della famiglia Romano, fratelli e cugini, gli ultimi di una generazione che ha dedicato la vita al mestiere della pesca. Hanno superato i 60 anni, più della metà vissuti su una barca in mezzo al mare. Oggi continuano a fare i pescatori ma con grande fatica perché il pesce scarseggia e “l’impresa non vale la spesa”. I loro figli hanno deciso di non seguire il mestiere dei padri e ancor prima dei loro nonni. Non ne vale la pena, dicono, è un lavoro che non da un futuro perché non c’è guadagno.
“Non ci sono più giovani che fanno questo mestiere, qualcuno ci prova, magari con la rete- dice Nicola Romano- ma con il palangare siamo gli ultimi”. La pesca con palangaro o palamito, è un’arte. La pesca con questa attrezzo che viene chiamato anche coffa, palangaro o catalana presenta caratteristiche diverse in funzione delle aree geografiche e delle marinerie che lo utilizzano. Il palangaro è uno degli attrezzi più antichi e più utilizzati dagli operatori della piccola pesca nel Mediterraneo. Ci vuole esperienza e perizia non solo nel utilizzare il palangaro ma anche per prepararlo. Si tratta di una rete con più di duecento ami e per intrecciarla ci vogliono dalle tre alle quattro ore. “Facciamo questo mestiere da sempre, da più di 50 anni- racconta Damiano Romano che di anni ne ha 64- All’età di dodici anni ho smesso di andare a scuola e ho cominciato a seguire mio padre e mio nonno sulla barca. A casa non c’erano soldi per frequentare la scuola e allora ci mandavano a pescare. Siamo nati qui e moriremo qui, in questo villaggio”. Damiano come Nicola e Adamo sono nati e cresciuti nel villaggio pescatori di Brindisi, non conoscono che questo e il mare. Qui la vita segue un altro orologio, le ore della notte diventano quelle del lavoro e anche la mattina non c’è tempo per riposare. “A mezzanotte squilla la sveglia, ci si veste e si esce con la barca per mare- racconta Damiano- non si torna prima delle sette o le otto del mattino. Sempre se il tempo è bello. Quando rientriamo ci tocca continuare a lavorare. Ci mettiamo qui per strada e cominciamo a sistemare le reti per un’altra notte di pesca”.
Il lavoro continua sino ad ora di pranzo quando finalmente ci si può fermare e riposare un po’. Il mestiere del pescatore è un mestiere duro, molto duro. Se la giornata è buona e il tempo permette si riesce a portare a casa qualcosa. Normalmente una notte di lavoro frutta circa 50 euro di pescato ma da quel guadagno poi bisogna sottrarre le spese. “Con il pesce preso questa notte- racconta Nicola- ci facciamo circa cinquanta euro, ma poi devi togliere le spese delle esche e del gasolio. Da due anni a questa parte, qua che non si guadagna più. Adesso non ci sono più pesci. Prima, dritto e storto, si guadagnava qualcosa, oggi il pesce scarseggia”. Nonostante questo, i pescatori non si arrendono perché alla fine bisogna mettere il piatto a tavola e aiutare i figli che anche se hanno preso strade diverse, ora bisogna pensare a al loro futuro. Il villaggio pescatori di Brindisi sembra una cartolina, nonostante gli anni passino e le difficoltà aumentino, resta sempre un posto suggestivo. Le barche colorate galleggiano vicino al molo e le reti penzolano malinconicamente. “Un tempo usavamo le barche grandi e riuscivamo ad arrivare sino all’Albania- dice Adamo Romano, cugino di Nicola e Damiano- poi con gli incentivi abbiamo deciso di demolire quelle grandi e usare le barche piccole. Pensavamo di far meglio e invece oramai non si fa nulla neppure con queste. Tutte le altre barche che vedi intorno sono dei diportisti perché qui di pescatori ne sono rimasti pochi”. Adamo lavora con la rete, sta utilizzando quella di suo figlio che ora si trova in Polonia perché lui come tanti altri giovani il mestiere del pescatore non è riuscito a farlo.
“Ci ha provato per un po’- dice Adamo- ma poi ha preferito andare via, ora lavora come saldatore. Io, invece, continuo ad alzarmi alle tre della notte per andare a pescare, quello che riesco a prendere lo rivendo qui al grossista , a Lapertosa. Con quello che ho pescato oggi ci farò si e no trenta euro, trenta euro per una notte di lavoro”. I ristoranti e la grande distribuzione acquista il pesce che arriva dalla Spagna e da altri posti lontani. Sui menù e sui banconi degli ipermercati lo riconosci subito perché sull’etichetta c’è scritto “prodotto decongelato”. Nulla a che vedere con il pesce fresco, quel poco che viene pescato lungo la nostra costa ai nostri pescatori viene pagato dieci euro al chilo per poi essere rivenduto al doppio nelle pescherie. Non ci sono più molti posti dove andare con le barche, il mare non è più generoso come una volta, qualcuno dice che è colpa dell’inquinamento. “Vedi quello che succede a Taranto- dice Adamo- altro che cozze e nessuno dice niente e hanno persino l’allevamento”.
Qui anche i pescatori più esperti non riescono più a trovare il pesce così qualcuno si azzarda a pescare nel porto , dove invece è vietato. Nel porto ci sono più pesci, così come nelle acque calde vicino al petrolchimico e alla centrale di Cerano. Qualche giorno fa due pescatori sono stati fermati davanti alle acque di scarico del petrolchimico, stavano pescando militi. La guardia costiera ha sequestrato loro il pescato e gli ha comminato ben 17mila euro di multa. “Quelli non sono pescatori come noi da generazioni- dice Adamo- alcuni lo sono diventati dopo la fine del contrabbando di sigarette. Hanno usato la loro conoscenza del mare per pescare e portare a casa qualcosa da mangiare”. Adamo continua a lavorare e a cercare il pesce anche se pesce ce ne è poco perché ha ancora due figlie da sistemare. Adamo con il suo lavoro e con tanto sacrificio è riuscito a mandare le sue ragazze all’università e ora si devono laureare. “Meno male che le figlie stanno per laurearsi se fosse stato oggi non ci sarei riuscito. Sono fortunato perché mia figlia va avanti con le borse di studio, ma noi le mandiamo i pacchi con la roba da mangiare- dice Adamo- Non so se andrò mai in pensione, io ho cominciato a tredici anni. Con 500 euro al mese non riesci ad andare avanti. E andrà sempre peggio, siamo in pochi a fare questo mestiere. Brindisi la città del mare dove il mestiere del pescatore è un mestiere morto”.
Lucia Pezzuto per IL7 Magazine
Pescatori dilettanti “poveracci”.ovviamente lo dicevo senza offesa.ci mancherebbe.buona giornata antonio
Avevo letto questo articolo è l ho riletto.Sono d’accordo con i pescatori per la scarsità del pesce.Il mare se non è morto sta morendo
Il discorso è molto complesso per trovare la causa
Ma siamo sempre noi uomini che lo abbiamo ridotto così. Responsabili chi doveva rispettare il mare e chi doveva controllare.Sono un pensionato pescatore dilettante che va a pescare alla diga da anni ma solo per passare qualche ora lasciando i piccoli pesci liberi.Non c’è più nulla.Dicono che l arrivo dei pesci predatori allontana i piccoli pesci.Ma non è questa la causa.
Io posso testimoniare che almeno alla diga è un cimitero di reti abbandonateed altro Ora si vedono anche i worm fire ossia vermi fuoco che nel mediterraneo non esistevano.Il mio è un appello per tutte le istituzioni.Ultima analisi anche se non coerente articolo.Se nel porto non si può pescare .Alla diga è anche vietato diteci quale è un posto sicuro e legale per la pesca con venti km di costa che abbiamo.Ispezionate i fondali di porto interno medio esterno e diga.Ed almeno non mandate in tribunale i poveracci che passano qualche ora di relax a pescare in zona militare ma di militare non ce niente.Solo abbandono totale ed incuria…..
i ristoratori acquistano il pescato che arriva dalla Spagna. forse la Spagna ha salvaguardato le sue coste meglio dell’Italia?