Pedinamenti ed intercettazioni così è stata bloccata la banda del bancomat

BRINDISI – Grisù, come il draghetto dei cartoni animati che da grande voleva fare il pompiere o, meglio, come il gas combustibile inodore e incolore usato dalla banda sgominata definitivamente stamattina dal lavoro sinergico dei carabinieri del comando provinciale di Brindisi e della Procura del capoluogo messapico, per far saltare in aria i bancomat delle province di Brindisi, Taranto e Bari. Così i carabinieri del nucleo investigativo provinciale di Brindisi, coordinati dal colonnello Alessandro Colella, hanno voluto chiamare l’operazione che ha riportato dietro le sbarre tutti i componenti dell’organizzazione che a cavallo delle scorse primavera ed estate ha seminato il panico dalle nostre parti usando l’esplosivo per depredare gli sportelli della banche nelle tre provincie.

Pietro Leone, 40 anni da Villa Castelli, Oronzo D’Urso, 34 anni da Ceglie Messapica, Francesco Barnaba, 37 anni da Ceglie Messapica, Gianluca Giosa, 34 anni da Brindisi, e Cosimo De Rinaldis, 30 anni da Ceglie Messapica, costituivano, secondo gli investigatori, l’associazione a delinquere colpevole di almeno 4 assalti, sui circa 20 verificatisi sul territorio, ai bancomat, nei mesi scorsi. I capi d’imputazione contestati ai 5 sono: associazione per delinquere, ricettazione e riciclaggio, furto consumato e tentato aggravato, detenzione illegale di materiale esplodente aggravato e di armi comuni da sparo. Ognuno dei componenti della banda aveva un preciso compito da svolgere al momento delle azioni criminali: Leone, assumendo un ruolo di vertice nel sodalizio, adottava tutte le decisioni operative, risultando la mente del gruppo; De Rinaldis era l’addetto all’effrazione delle porte delle banche; Barnaba e Giosa maneggiavano gli esplosivi, insufflando la miscela di gas negli sportelli; D’Urso, infine, era il palo della banda. I colpi riconducibili all’associazione costituita dai 5, secondo gli inquirenti, sono: il tentato furto alla banca Ubi-Carime di Lizzano, in provincia di Taranto; il tentato furto alla filiale del Credito Cooperativo di Castellana Grotte di Noci, in provincia di Bari; il tentato furto al Monte dei Paschi di Siena di Monteiasi, in provincia di Taranto e il furto ai danni del Banco di Napoli di San Michele Salentino, dove i malviventi riuscirono a portar via 70mila euro circa.

A illustrare il lavoro d’indagine che ha portato a questi risultati, stamattina, nella sala conferenze della procura di Brindisi, c’erano Marco Dinapoli, procuratore capo, il sostituto procuratore Marco D’Agostino, il già citato colonnello Alessandro Colella, e il colonnello Andrea Paris, comandante provinciale dell’Arma. Le fasi cruciali dell’indagine, durata diversi mesi e tuttora in corso, sono culminate con l’arresto in flagranza dello scorso 8 agosto, dopo il fallito colpo alla filiale del Monte dei Paschi di Siena a Monteiasi ma hanno un’origine ben più lontana: dopo i primi assalti, gli investigatori hanno intuito la serialità delle azioni, mappando tutti i bancomat e i postamat del territorio per creare una rete di sorveglianza capace di raccogliere quante più informazioni possibili sulla banda e i suoi bersagli.

La svolta nelle indagini si è avuta il 16 giugno scorso, quando i carabinieri hanno sventato un furto ai danni dell’ufficio postale di Casalini, frazione di Cisternino. Nell’occasione, dopo un conflitto che ha visto due militari operanti investiti da un’Audi A6 station wagon e l’esplosione di alcuni colpi d’arma da fuoco, i malviventi abbandonarono la vettura, a bordo della quale gli inquirenti trovarono vari strumenti atti allo scasso, un secchio pieno di chiodi a tre punte per forare gli pneumatici degli eventuali inseguitori, tracce di sangue sul sedile anteriore lato passeggero e uno scanner sintonizzato sulle frequenze delle forze di polizia. «Si trattava – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Brindisi, Giuseppe Licci – con ogni evidenza, di attrezzature idonee a effettuare veri e propri assalti ai danni degli sportelli bancomat della zona e a ingaggiare anche pericolosi inseguimenti con le forze dell’ordine, circostanze queste certamente indicative di una notevole professionalità e della disponibilità e predisposizione di mezzi e strumenti volti a effettuare colpi di vasta portata».

A questo punto, il fiuto degli investigatori ha fatto la differenza: essendo i malviventi rimasti senza la potente e resistente automobile, abbandonata a circa un chilometro dall’ufficio postale di Casalini, avevano bisogno di rimpiazzare il mezzo per continuare le azioni criminali. I carabinieri, dunque, hanno tenuto sotto controllo tutti i furti d’auto commessi in zona per cercare d’individuare quello riconducibile alla banda. Quattro giorni dopo, il 20 giugno, venne sottratta a una signora la sua Audi A6 station wagon dal residence “Azzurra” di Rosamarina, a Ostuni, presso il quale la donna era ospite. I militari dell’Arma, viste le caratteristiche dell’automobile sparita a Ostuni, si misero immediatamente sulle sue tracce, trovandola nascosta in un terreno tra Villa Castelli e Martina Franca in contrada Monte Fellone o, alternativamente, nella masseria Antoglia, in territorio di Villa Castelli. In uno dei rifugi, vennero anche ritrovati degli arnesi da scasso. Da questo momento in poi, i carabinieri cominciarono a monitorare gli spostamenti della banda, piazzando delle cimici a bordo dell’auto rubata.

Giuridicamente, come ha sottolineato il procuratore capo Dinapoli, la cosa è stata possibile grazie al “ritardato sequestro” disposto dal sostituto procuratore D’Agostino: l’intuizione giuridica, infatti, ha permesso ai carabinieri di controllare per tutto il tempo necessario i movimenti dei criminali. In caso contrario, infatti, avrebbero dovuto sequestrare immediatamente il mezzo risultato rubato, facendo morire, così, un importante filone d’indagine. Il dispositivo di ritardato sequestro è stato applicato anche alla Fiat Stilo, ritrovata al posto dell’Audi A6 in contrada Monte Fellone e risultata anch’essa rubata, a un furgone Tata pick up e a un Bmw X6, trovati nei successivi sopralluoghi nei nascondigli dei malviventi. In particolare, il Bmw X6 è risultato essere il mezzo usato dai banditi per mettere a segno il colpo di Monteiasi, quello in cui sono stati arrestati dai carabinieri. A questo punto, gli inquirenti, poste sotto sorveglianza tutte le autovetture riconducibili alla banda, potevano conoscere i loro spostamenti ma non potevano sapere preventivamente gli obiettivi dei loro colpi prima che questi avvenissero.

Cruciali, allo scopo, si sono rivelate le intercettazioni captate all’interno degli abitacoli delle automobili. Grazie alle conversazioni che i 5 hanno effettuato durante i tragitti, infatti, i carabinieri hanno potuto conoscere, a un certo punto, il luogo e l’ora dell’assalto di Monteiasi, avendo il tempo per prepararsi all’azione. Il 7 agosto, infatti, dopo il fallito colpo allo sportello del Credito Cooperativo di Castellana Grotte a Noci, la banda andò a fare un sopralluogo al bancomat del Monte dei Paschi di Siena, a Monteiasi. Qui, si evince dalle intercettazioni, i malviventi decisero di agire l’indomani alle 3 per svaligiare l’Atm. È stato questo il loro ultimo e più grave sbaglio: ad aspettarli il giorno dopo, infatti, c’erano i carabinieri appostati, i quali, attendendo che i delinquenti entrassero in azione, intervennero, arrestando in flagranza di reato l’intera banda.

Poteva essere, quella di Monteiasi, una delle ultime occasioni per dare un volto e un nome ai componenti della banda del bancomat: dalle conversazioni intercettate, infatti, è anche emerso che i 5 avevano intenzione di mettere a segno un altro paio di colpi prima di concedersi il “meritato” riposo ferragostano.

Maurizio Distante

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