MESAGNE – Strage dell’Heysel, quando Alberto morì per la sua squadra a soli 21 anni.
Sono passati 30 anni dal 29 maggio del 1985, giorno in cui lo sport più amato del mondo si macchiò di sangue. Una delle 39 vittime degli incidenti di quel giorno era il mesagnese Alberto Guarini.
Nello stadio Heysel di Bruxelles, che ospita la finale di Champions League tra Juventus e Liverpool, esplode la follia: gli hooligans inglesi, appena un’ora prima del fischio d’inizio della partita clou di una stagione, rompono la debolissima rete che divide le due tifoserie.
È l’inizio della fine: gli spettatori del settore Z vengono travolti dalla furia della tifoseria inglese, il settore più tranquillo: in quei posti, siedono solo famiglie italiane che hanno deciso di regalarsi un momento di sport come pochi. Tra i tifosi, con il cuore ricco di gioia per l’ennesima finale juventina, c’è anche un mesagnese, Alberto Guarini, 21enne. Il giovane era allo stadio con il padre, Bruno, e un gruppo di tifosi come lui dello Juventus Club di Mesagne per vedere, ancora una volta, la sua squadra del cuor giocare la finale di coppa. Pochissimi anni prima era stato ad Atene, poi nel 1985 la Juve si riqualifica per la finale contro il Liverpool a Bruxelles. Un’altra occasione per vivere la propria passione ai massimi livelli. Una giornata di grande sport assume improvvisamente le sembianze di una mattanza. 39 morti, di cui 32 italiani, 600 feriti.
La voglia di vivere di Alberto viene trascinata dalla folla e, da quel momento, entra suo malgrado nella più triste pagina della storia del calcio moderno. La sua vita si spegne e con essa la sua carriera da odontotecnico, per cui studiava all’università. Si spengono le luci sulle sue passioni, il calcio e il tennis. Si spengono il bagliore dei suoi occhi e il sorriso.
Un vuoto incolmabile, accentuato dalla mancata giustizia per quella strage. Uno stadio ben lontano dall’essere all’altezza di una competizione di così alto livello, norme di sicurezza ridotte ai minimi termini, pochissimi agenti di polizia a dividere le tifoserie avverse. Le famiglie delle vittime italiane non demordono. Per anni hanno chiesto chiarezza e giustizia per i loro figli, fratelli, amici persi per una partita di calcio. C’erano altri mesagnesi insieme a loro: sopravvissuti perché decidono di prendere posto nella zona alta della gradinata. Una scelta che salva loro la vita, ma che segnerà comunque le loro esistenze per le scene che hanno dovuto vivere.
Il sorriso e gli occhi di Alberto continuano a vivere nel cuore di chi l’ha conosciuto e, con le sembianze di un angelo, nell’affresco della chiesa del Cimitero. Nel 2010, Walter Veltroni presenta in estate il suo libro “Quando cade l’acrobata, entrano i clown”, dedicato a quella pagina nera dello sport. A lui è intitolato il campo sportivo de “La Tagliata”: una struttura che a soli pochi giorni dalla sua inaugurazione ha visto cadere un muro a colpi di vento e avere diversi problemi di ordine strutturale.
Per la cronaca, quella sportiva, la Juventus vinse quella partita di misura, iniziata con un’ora e mezza di ritardo e con la squadra che ha sempre dichiarato di essere rimasta all’oscuro dell’ecatombe avvenuta prima della partita. La prima vera, grande e triste dimostrazione, quella dell’Heysel, che il calcio è un circo, in cui gli interessi valgono più di qualsiasi altra cosa, anche di 39 vite.
Agnese Poci
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