BRINDISI – Le chiamano “missioni di pace” ma, poi, quando si è lì, tra le bombe, i cecchini e gli agguati, si capisce che aveva ragione John Lennon quando diceva che “combattere per la pace è come fare l’amore per la verginità”. Neanche tornare a casa sulle proprie gambe da queste missioni è garanzia di averla scampata: spesso, troppo spesso, le cosiddette “missioni di pace” hanno delle lunghe e dolorosissime code che lasciano segni profondi nel corpo e nella mente di chi ha combattuto con indosso una divisa, non importa di quale colore. L’uso di armi chimiche o radioattive nei bombardamenti, infatti, presenta un conto salatissimo da pagare anche a chi torna dal fronte apparentemente sano e salvo.
Quella di C.C., colonnello 50enne della provincia di Brindisi che ha prestato servizio nell’Esercito Italiano, partecipando alla missione del 1996 in Bosnia Erzegovina, è una delle tante storie di militari ammalatisi una volta tornati in patria a causa dell’esposizione alle esalazioni provenienti dai proiettili all’uranio impoverito, impiegati dai contingenti Nato nei bombardamenti contro i miliziani di Slobodan Milosevic. Il colonnello, dopo aver contratto una grave malattia, per curarsi è stato indirizzato nel Regno Unito, in uno dei pochi centri europei deputati alla cura dell’intossicazione da metalli pesanti. Per avere accesso ai trattamenti della struttura inglese, che secondo i medici dovevano avvenire ogni tre mesi, il militare ha chiesto l’autorizzazione all’Asl di Brindisi che, all’inizio, ha dato il via libera al 50enne, facendosi carico dell’80% delle spese sostenute dal malato per i trasferimenti e per tutto quanto necessario al trattamento.
L’autorizzazione, in seguito, è stata revocata su indicazione dell’assessorato regionale alle politiche della salute e il colonnello si è recato a sue spese nel Regno Unito per proseguire le cure. Ora, un tribunale ha condannato l’Asl a rimborsare le spese sostenute da paziente e, al fianco del militare, si sono schierati i consiglieri regionali Antonio Scianaro e Saverio Congedo: i due chiedono, con un’interrogazione che sarà presentata al presidente della Regione, Nichi Vendola e all’assessore alle politiche della salute, Elena Gentile, che la Regione inverta la rotta e garantisca al colonnello il diritto a curarsi in Inghilterra.
«Diritti negati, viaggi oltre confine per curarsi da una terribile malattia e una sanità locale nemica che non dà sostegno anche in presenza di un ordine del giudice – esordiscono così i consiglieri – Il permesso che consentiva al colonnello di recarsi nel Regno Unito è stato revocato dopo un paio di viaggi, sembrerebbe su indicazione dei responsabili dell’assessorato regionale alla sanità. Senza alcuna competenza in merito, i responsabili regionali hanno ritenuto che le terapie fossero troppo ravvicinate nel tempo. Anche il rimborso per i viaggi sostenuti a proprie spese è stato negato al malato e anche qui il giudice ha ordinato all’azienda di corrispondere quanto dovuto, cosa che non è mai avvenuta. È un comportamento incomprensibile che ci indigna e ci offende e su cui è opportuno fare chiarezza».
L’azienda, per bocca del direttore amministrativo Stefano Rossi, ha precisato che il ruolo ricoperto dall’ente nella vicenda è del tutto marginale. «Questo tipo di permessi – spiega il direttore – sono concessi da un organismo regionale che valuta una serie di parametri clinici e stabilisce dove il paziente può sottoporsi alle migliori cure. Dopo un primo ciclo di trattamenti in Inghilterra, è stata effettuata un’altra perizia e la commissione che ne ha esaminato i risultati ha indicato il Policlinico di Bari come centro idoneo alle cure necessarie per il caso specifico. Sono in tanti, purtroppo, i malati affetti da questo tipo di patologie e l’iter è per tutti lo stesso».
BrindisiOggi
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