SAN DONACI- (Dal settimanale Il7) “Non credo più nella giustizia. Ho speso una vita a difendere gli altri, ma nessuno ha difeso mia figlia e oggi neppure la legge le rende giustizia” sono parole dure, piene di dolore e rabbia, quelle di Antonio Presta, maresciallo dei Carabinieri in pensione di San Donaci, il papà di Raffaella ammazzata a colpi di fucile dal marito Francesco Rosi, 43 anni agente immobiliare. Un terribile delitto consumatosi in un villetta a Perugia il 25 novembre del 2015 dove la coppia viveva con il figlioletto di soli 6 anni e il suocero della vittima, un medico rimasto vedovo qualche anno prima . A due anni da questo terribile omicidio, il papà di Raffaella parla per la prima volta e lo fa a qualche giorno dalla condanna a 30 anni di carcere di Francesco Rosi.
Raffaella aveva 40anni quando è stata uccisa dal marito, era una brillante avvocatessa ed una mamma premurosa. Una storia d’amore quella con Rosi nata nelle aule dell’università e proseguita con il matrimonio e la nascita di un bimbo.
“Erano insieme da vent’anni, dieci anni di fidanzamento e dieci di matrimonio. Erano una bella coppia. Mai avremmo immaginato che sarebbe finita così” racconta Filomena, la mamma di Raffaella.
Francesco Rosie e Raffaella Presta vivevano in una villetta in via Bellocchio a Perugia. I due avevano un rapporto turbolento, hanno raccontato i vicini di casa e gli amici di famiglia agli inquirenti. La coppia litigava spesso e qualche volta Francesco alzava le mani,. Raffaella stessa confidò ad una amica che durante un litigio il marito l’aveva colpita così violentemente da procurarle la rottura del timpano. Nonostante questo i due continuavano a vivere insieme.
“Raffaella mi raccontava che Francesco era geloso. Non voleva che lei lavorasse- dice mamma Filomena- lui le diceva che non c’era bisogno, che i soldi in casa non mancavano”.
Ad un certo punto Raffaella decise anche di chiudere lo studio e lavorare da casa pur di accontentare il marito, ma gli sforzi della donna non tranquillizzarono l’uomo che diventò sempre più aggressivo.
“Era agosto quando me lo disse- racconta ancora mamma Filomena- lei diceva: mamma non dire niente a papà perché io devo aggiustare le cose. Raffaella voleva salvare il suo matrimonio anche per il bene del figlio. Era sicura di potercela fare”.
Ma qualche mese dopo la situazione precipitò, nonostante gli sforzi di Raffaella, la scelta di lavorare da casa, di uscire il meno possibile, il marito era convinto che lei avesse una relazione extraconiugale ed era divorato dalla gelosia.
Era il 25 novembre del 2015, mancavano pochi minuti alle 16 quando i vicini di casa sentirono gli spari e si allarmarono. Ma a chiamare i carabinieri fu proprio Francesco Rosi che all’operatore del 112 disse: “Venite, è successa una cosa grave a mia moglie”.
All’arrivo dei carabinieri Raffaella era già morta. Francesco Rosi si consegnò subito ai militari ammettendo di essere stato lui ad ammazzare la moglie, lo aveva fatto con un fucile da caccia , regolarmente detenuto. In casa c’era anche il piccolo di sei anni.
“Quando me l’hanno detto non ci potevo credere. Lui veniva da una buona famiglia e ne mia figlia poteva sospettare che cosa le avrebbe fatto- dice ancora la madre di Raffaella- Sapeva che in casa c’erano le armi, ma lei non si è mai preoccupata”.
Il 12 luglio scorso il giudice del Tribunale di Perugia, Alberto Avenoso, ha condannato a 30 anni di carcere Francesco Rosi al termine di un processo con rito abbreviato. Il gup del Tribunale del capoluogo umbro, ha inoltre escluso a carico dell’uomo le aggravanti di premeditazione, futili motivi e crudeltà. Il pm Valentina Manuali, invece, aveva chiesto l’ergastolo senza attenuanti. Il giudice ha stabilito anche un maxi risarcimento per la famiglia di Raffaella: 700mila euro al padre e altrettanti alla madre; 400mila euro al fratello e 400mila euro alla sorella di Raffaella ; 1,25 milioni di euro al figlio della coppia. Inoltre 15mila euro anche per ‘Libera…mente donna’, ‘Centro per le pari opportunità della Regione Umbria’ e ‘Rete delle Donne antiviolenza Onlus’ costituitesi parte civile nel processo.
“Che cosa sono 30 anni, ma anche se gli avessero dato l’ergastolo- dice mamma Filomena- Raffaella non tornerà più a casa e suo figlio crescerà senza la sua mamma”.
La sentenza di condanna del giudice non consola gli animi feriti di questi genitori, ne qualsiasi risarcimento potrà mai alleviare il dolore.
“Certo che sono arrabbiato, sono tanto arrabbiato- dice il papà di Raffaella battendo i pugni sul bracciolo della poltrona- non me la prendo con il giudice che alla fine applica la legge che ha a disposizione. Me la prendo con chi fa le leggi. Le sembra giusto che oggi il reato di stalking sia stato depenalizzato. Come facciamo a proteggere le nostre figlie”.
Presta si riferisce alla riforma del codice penale del 14 giugno scorso. Nell’ambito della legge di riforma è stato approvato anche un nuovo articolo, il 162 ter che in buona sostanza prevedrebbe l’estinzione dei reati a seguito di condotte riparatorie, tra i reati estinguibili ci sarebbe anche lo stalking. In pratica la legge prevede che chi è colpevole di stalking, se paga una somma adeguata, può vedersi estinto il reato. Tutto questo indipendentemente dalla volontà della vittima, insomma una batosta per le donne vittime di minacce e molestie. Solo lo scorso anno in Italia le vittime di femminicidio sono state 120.
“Il rapporto tra due persone può anche cambiare, il matrimonio può finire è normale- dice papà Antonio- se solo Raffaella me lo avesse detto. C’è sempre una soluzione, l’avremmo aiutata ed in qualche modo le cose si sarebbero aggiustate. Oggi invece mi resta solo questo grande dolore ed un bambino da crescere”.
Antonio Presta ora pensa a suo nipote che due anni fa ha perso la mamma ed il papà. Il bimbo oggi ha otto anni e vive con la zia, la sorella gemella di Raffaella. E’ un bimbo amato e coccolato anche se porta già sulle spalle un fardello troppo grande per la sua età.
“Nostro nipote, nonostante la tragedia che lo ha colpito, è fortunato- continua il papà di Raffaella- cresce in una famiglia che lo ha accolto e gli vuole bene. Penso, però, a tutti quei bambini che vivono situazioni come queste, mi chiedo chi li aiuta se non hanno una famiglia. Che fine fanno questi bambini che vivono questi drammi, restano soli”.
Antonio e Filomena Presta dopo la sentenza del giudice che condanna a 30 anni di carcere l’assassino della loro figlia aspettano di conoscerne le motivazioni. La pena inflitta a Rosi non restituisce serenità a questi genitori e ne Rosi ha mai mostrato segno di pentimento e chiesto loro perdono per ciò che ha fatto.
“Non lo perdonerei comunque- dice mamma Filomena con il volto segnato dalla rabbia e dal dolore- io voglio dire solo una cosa a tutte le donne. Voglio dire loro di stare attente, di non sottovalutare mai queste situazioni di violenza. Un uomo violento anche se chiede scusa e dice di essere pentito, non cambia”.
Lucia Pezzuto
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