BRINDISI- Un lavoro certosino, durato anni per ricostruire la storia della Scu dal 1997 al 2010. Tasselli che si incastrano come in un puzzle tra dichiarazioni di nove pentiti e riscontri investigativi, portati avanti dagli uomini della Squadra mobile, dal Commissariato di Mesagne e dai carabinieri di Brindisi, che questa storia la conoscono bene. Un continuo interfacciarsi con la Procura brindisina, il pm Valeria Farina Valaori ha ridisegnato i tratti della criminalità di questo angolo del sud. Mandanti ed esecutori di quattro omicidi, quattro tentativi di omicidi e due lesioni aggravate. Si semina sangue e si uccide per i motivi più disparati: per punire il fratello di colui che aveva aggredito in carcere il fratello di uno dei boss, per vendicarsi del fatto che l’ex moglie del fratello di uno degli affiliati stava frequentando un altro affiliato, “perchè aveva mancato di rispetto a Fratuzzo”. Dare una lezione a chi contravveniva alle regole dell’organizzazione, vendeva droga, o l’assumeva senza il consenso del clan.
Fatti di sangue ricostruiti grazie alla collaborazione di 9 pentiti: Ercole Penna, Fabio Panico, Simone Caforio, Tommaso Belfiore, Giuseppe Leo, Cosimo Leo, Cosimo Pagliara, Massimo D’Amico, Cosimo Giovanni Guarini. Elementi forniti da 3 dei cosi detti dichiaranti, non collaboratori, Fabio Fornaro, Danilo Calò e Alessandro Perez. L’esistenza dell’associazione mafiosa dimostrata poi sulla base delle dichiarazioni di altri 4 collaboratori di giustizia, i brindisini Fabio Luperti, Fabio Maggio , Roberto Di Lauro e Giuseppe Passaseo.
Dalla scissione nel 1998 tra Sacra corona unita e Sacra corona libera, un tentativo non riuscito che ha portato però alla divisione in due tronconi della Scu, agli arresti di oggi. Siamo nel 1998, anno della divisione: da una parte il gruppo storico di Pino Rogoli a cui resta fedele Francesco Campana, dall’altra il triumvirato mesagnese Massimo D’Amico- Massimo Pasimeni e Antonio Vitali.
Nel 2000 D’Amico si pente si estingue triumvirato, rimangono Vitali e Pasimeni e quindi Daniele Vicientino e Ercole Penna. Nel contesto emerge la figura di Peppo Leo che affilia persone con azione terroristica, impone il suo comando anche uccidendo.
Molti si pentono, nel 2001 arriva l’operazione Meridiana. Qualcosa nella struttura cambia. Non cambiano i vertici ma le dinamiche interne, non più il principio più affiliati più potere, perché troppi i costi e troppe le persone che sanno. Vi è così una riduzione degli affiliati, i rapporti con i vertici venivano gestiti solo dal referente. Nel frattempo Vicientino e Penna acquisiscono potere e forza.
Nel 2004 si consumano diversi attentati punitivi in carcere contro il gruppo di Francesco Campana, rimasto legato al vecchio clan. Nel 2006 Pasimeni, Vicientino e Penna vengono scarcerati, secondo la ricostruzione degli inquirenti le scelte organizzative e le decisioni criminali vengono prese in prima persona da uomini liberi. Si cerca la vicinanza alla gente e rinforzamento del principio “lo Stato nello Stato”
Nel 2010 trema la Scu con l’operazione Calipso finisce nuovamente in carcere Ercole Penna. Il 20 ottobre del 2010 le dichiarazioni di Penna vengono suggellate nel primo verbale di collaborazione. Parla e racconta tutto , degli omicidi, delle strategie e degli affari. Per i magistrati è attendibile.
Nell’aprile del 2011 viene catturato dopo mesi di latitanza Francesco Campana. Da questo momento in poi i capi della Scu sono tutti in carcere.
Questo un breve riassunto di 13 anni di storia criminale. Ad un certo punto del racconto, la Scu si divide in tre diverse fazioni. Tre diversi poteri che come una cappa soffocano una parte della provincia brindisina. Ilclan Campana-Buccarella con epicentro a Brindisi e Tuturano, il clan dei mesagnesi con epicentro a Mesagne con a capo Vitale, Pasimeni Penna e Vicientino e il clan della famiglia Bruno con epicentro a Torre Santa Susanna.
Gestivano il traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, gioco d’azzardo, attentati, danneggiamenti nelle tre diverse zone, avendo anche ampia disponibilità di armi, bombe e sostanze esplosive. Vigeva una certa “pace sociale”. Gruppi fluidi, così li ha definiti il procurato capo della Dda Cataldo Motta. Stretti tra loro da saldi e stabili vincoli in cui bisognava rispettare compiti, ruoli e gerarchie.
Il possesso di denaro, armi e la fama criminale dell’associazione , grazie al velo di omertà, li permetteva di partecipare alle attività imprenditoriali del territorio in cui veniva rinvestito il denaro sporco. Un mix di forza intimidatoria e consenso sociale tra la popolazione, intervenendo nelle situazioni di bisogno con supporto economico o offrendo dei lavori. Così la mala si conquista il silenzio, il consenso e la condivisione.
E’ finito tutto questo con gli arresti di oggi? No assolutamente no.
Cosa resta ancora nel brindisino della Scu dopo l’operazione Zero, e gli arresti a Francavilla Fontana della scorsa settima? il procuratore capo della Dda Motta a questa domanda ha risposto: “Resta ancora tanto, ma non abbassiamo la guardia, e le forze dell’ordine stanno lavorando”.
Lucia Portolano
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