Reportage: un pomeriggio d’inferno al Pronto soccorso dell’ospedale Perrino

BRINDISI- (Da il7 Magazine) Sono le 19 è stesa su una barella dalle sei del mattino. Ha 76 anni è di San Donaci,  arrivata in ospedale per un problema alle arterie, ma da 13 ore è al Pronto soccorso in attesa di capire la gravità della sua patologia, e non sa se e quando tornerà a casa. Finalmente viene chiamata per una consulenza.  Era un codice giallo.

 La storia della signora Maria è simile a quella di tanti altri ammalati che attendono dalla mattina per una vista.  In  molti hanno problemi respiratori. Il Pronto soccorso dell’ospedale Perrino è pieno gente. L’aria è irrespirabile: c’è chi tossisce, chi si sente male. C’è gente ovunque. In tanti si lamentano, altri sono sfiniti per l’attesa e non hanno più voglia di parlare.

Difficile anche per gli operatori sanitari lavorare in queste condizioni. C’è tensione, qualche parente reclama attenzione, gli infermieri chiedono pazienza. Alla fine qualcuno alza la voce.

E’ un martedì pomeriggio di gennaio  al Pronto soccorso ci sono barelle in tutte e due le stanze, anche nei corridoi,  altri ammalati  sono sulle sedie, altri ancora poggiati alle pareti. Non c’è un posto libero per sedersi.

“Mio padre ha atteso per 8 ore – racconta un ragazzo di Latiano – aveva una crisi respiratoria, è stato previsto il ricovero ma non ci sono posti letto e ci hanno detto che l’unico disponibile è ad Acquaviva delle Fonti ”.

 Ci sono anche dei bambini. Fuori dal Pronto soccorso c’è una grande insegna che indica un ambulatorio pediatrico, ma è inutile cercarlo, non è stato ancora attivato.

 La situazione all’interno è al collasso, complicata anche dal periodo del virus influenzale che ha colpito gravemente migliaia di persone, con bronchiti e polmoniti. Ma nonostante si conoscesse da tempo la pericolosità di questa influenza non sono stati presi provvedimenti preventivi, a parte i vaccini.

Il sito dell’Asl che dovrebbe riportare in tempo reale la situazione del Pronto soccorso indica numeri non veritieri, confrontati  con la realtà nello stesso istante non coincidono. Si indica il tempo di attesa  per visita di  circa un’ora e venti minuti, quando c’era gente che aspettava da ore. “La situazione è insostenibile – dice una donna – sono qui da sei ore per alcuni problemi cardiologici. Ma ci sono persone che non stanno davvero bene che attendono da oltre 10 ore”.

Quando arrivi all’accettazione ci sono due infermieri che stabiliscono la gravità della patologia e in  base alla loro valutazione viene assegnato il codice rosso, giallo, verde o bianco.  Visto il loro delicato compito la legge prevede   che dovrebbero fare un corso di aggiornamento ogni sei mesi, ma a quanto pare  l’ultimo fatto risale a due anni fa.

“Nulla da  togliere agli infermieri – dice un ammalato – ma all’accettazione ci sarebbe bisogno di un medico per la valutazione. Almeno che ti guardi in faccia”.

E su questo sono  d’accordo anche  gli stessi  medici, almeno alcuni. Sono loro stessi a lamentarsi, parlano di carenza del personale dagli infermieri agli ausiliari.

Ci sono tre medici a turno, uno di questi è per i codici verdi, quelli meno gravi. Al Vito Fazzi della vicina Lecce, che rientra in un’altra Asl, al Pronto soccorso ci sono almeno cinque di medici.

Anche l’accettazione è piena di ammalati e dei loro parenti, sullo schermo compaiono i nomi degli utenti che dovranno essere visitati per primi.  Non c’è alcuna privacy. Un uomo dice di sentirsi male, l’infermiera tenta di farlo entrare prima, ma quello del turno, che era in attesa da ore, legge il suo nome, e si lamenta perché non vuol passare dietro.

I pazienti vengono da diversi paesi del sud della provincia ma anche da Mesagne e Latiano.

 In attuazione del  nuovo Piano di riordino ospedaliero, approvato dalla Regione, è stato chiuso l’ospedale  di Mesagne, anche a San Pietro Vernotico non ci sono quasi più reparti. Qui esiste un presidio del 118, ma tutti vengono spediti all’ospedale Perrino,  perché al Melli non è possibile fare consulenze o predisporre un ricovero.

Un medico racconta che all’inizio del turno si è ritrovato con tre codici rossi nello stesso ambulatorio e che non aveva più  a disposizione l’ossigeno.  Ma lo stesso accade con le barelle.

Una donna aveva avuto una grave emorragia, ma non era possibile fare una gastroscopia perché questo esame si può effettuare solo dalle 8 alle 14, poi non ci sono specialisti disponibili. “L’unica cosa che si può fare – spiega un dottore – e metterla in un’ambulanza e mandarle a Lecce”.

Il medico evidenzia che uno dei problemi sono i posti letto. “Con i pazienti acuti – dice – siamo costretti a extralocare, a mettere i degenti in altri reparti che non c’entrano nulla con le loro patologie”.

“Una situazione da terzo mondo – protesta Antonio Macchia, segretario generale della Cgil della provincia di Brindisi – il piano di riordino ha creato il deserto intorno e tutto si concentra sul Perrino. Sino ad ora si è pensato solo a chiudere ma non è stato attivato nulla. Manca la programmazione”.

Macchia cita il caso di Penumologia dell’ospedale Melli di San Pietro Vernotico, un  reparto di eccellenza, che è stato chiuso per essere trasferito al Perrino, ma al momento a  Brindisi non è mai stato attivato. E il territorio ora è sprovvisto.

La provincia di Brindisi è quella maggiormente penalizzata dalle disposizioni regionali che ha stabilito la chiusura di tre ospedale: Mesagne, Fasano e San Pietro Vernotico. A Mesagne pur essendo stato inaugurato da mesi l’ospedale di comunità, questo non è mai entrato in funzione.

La media regionale prevede una proporzione  di 3,4 posti letto per mille abitanti, mentre quella nazionale di 3,7 posti letto. Il territorio brindisino è al di sotto di entrambi i dati perché  registra  una media di 2,7.  E secondo la Cgil con la mancata attivazione dei reparti  e servizi la media è  scesa a 2,1.

In realtà il piano non prevede l’abbattimento dei posti letto ma una nuova redistribuzione,  ma allo stato attuale questa non si sarebbe concretizzata.

Secondo un calcolo al Perrino non sono stati attivati 70 dei posti letti dettati dal piano: dei  10 di Gastroenterologia non c’è ombra; in  Medicina  ne sono previsti  60 ma ne risultano disponibili solo 32, Utic previsti 12 ma pronti solo 8; in Oncologia previsti 20 ma disponibili 10; in Neurochirurgia  i posti letto  sono stati ridotti  a causa lavori.

Simile la situazione dell’ospedale di Francavilla Fontana: previsti in Ortopedia 24 posti ma attivi 18,  Oncologia nessuno disponibile nonostante ne fossero stati assegnati 12, lo stesso vale per  Psichiatria e  Terapia intensiva, Utic previsti 6 ma attivi 4.

Infine Ostuni: ancora non è stato attivato nessuno dei 20 posti della  Lungodegenza, mentre dei 20 di Pneumologia ne risultano solo dieci.

Lucia Portolano

(per il7 Magazine)

 

 

 

8 Commenti

  1. Ho portato mio padre 87enne al pronto soccorso dell’ospedale di Brindisi,
    ed e’ stata una brutta esperienza. Le sale erano piene forse c’erano un 40 persone in attesa di soccorso. Sono andato via con mio padre dopo 20 ore di attesa e mio padre stava peggio di prima. al rientro a casa ho avuto la senzazione che non bisogna recarsi al Pronto soccorso, si deve morire a casa, e’ inutile recarsi al Pronto soccorso l’attesa ti ammazza ancora di piu’.
    Ora si dice che vogliono chiudere anche l’ospedale di Ostuni, dopo quello di mesagne, san Pietro Vernotico Cisternino Fasano Grottaglie.
    Poveri noi, ma se si ammala un politico? per loro non c’e’ problema loro vanno nelle cliniche private, dove si spalancano tutte le porte. Ricordate quel politico che ballando con una signora si fratturo’ un piede? ebbe il coraggio di dire che gli infermieri lo trattarono con tempestivita’ e professionalita’. Si doveva solo vergognare di dirlo, visto e considerata la situazione degli ospedali del Brindisino che Lui conosce gia’.

  2. Il giorno 1 febbraio 2018 viene portato in autombulanza mio padre 88enne, Nulla da dire con il 118, ma mio padre viene depositato intorno alle ore 15,30 al pronto soccorso del Perrino con dolori lancinanti all’addome, nonostante i risultati portati e fatti vedere erano con valori sballati e soprattutto sangue nelle feci.
    Viene visitato dopo 5 ore, prelievi, raggi, visite ecce. viene dimesso con nulla di particolare. Ed il sangue nelle feci? nulla, come non detto.
    Mio padre viene dimesso alle ore 8,30 del mattino, dopo 17 ore su una barella, non ha nulla ed arrivati a casa ricominciano i dolori. Insomma sembra dire: bisogna morire e basta, dimenticate il ricovero.
    Hanno chiuso tre ospedali, ma non vogliono ammetere che il motivo di questi disservizi sono proprio la chiusura di questi ospedali. Insomma preghiamo di stare bene, al Pronto Soccorso dell’ospedale Perrino di Brindisi si ammala ancora di piu, e chi accompagna il malato, si ammala anche lui dopo tutte quelle ore seduti su una sedia ad assistere il malato. Diffidate dal pronto soccorso del Perrino, Bruttissima esperienza, ho ancora gli incubi.

  3. Bisogna solo che si togliesse davanti la politica e tutto andrebbe benissimo….nn fatevi giocare…..il disservizio è ovunque in ospedale. Ovunque .

  4. Immagino quanto possa essere avvilente lavorare in queste condizioni….Mi rivolgo a infermieri e medici: grazie
    Condivido il pensiero di Francesco: abbiamo quello che ci meritiamo,ricordiamolo quando andremmo a votare……sempre che ci degneremo di farlo

  5. Poveri infermieri. Dovrebbero riaprire gli ospedali chiusi della provincia di Brindisi. Io ci sono stata 10 ore sulla barella. Ed una situazione che non auguro a nessuno.

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