BRINDISI – Dopo due mesi di latitanza è stato arrestato ad Erchie Giancarlo Matichecchia 48enne calabrese residente in provincia di Taranto che il 7 settembre scorso si era sottratto all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Lecce su richiesta della Dda, indagato per traffico di sostanze stupefacenti e detenzione illegale di armi da fuoco. L’uomo si era rifugiato in Romania, ma il 14 novembre scorso è stato arrestato ad Erchie dove aveva trovato rifugio da un amico, Emanuele Fazzi, arrestato anche lui per favoreggiamento.
I due sono stati bloccati ad Erchie a bordo di una Fiat Punto in uso al Fazzi dopo che dalle indagini era emersa la decisione del latitante di lasciare nuovamente il territorio nazionale per raggiungere la Germania. Nell’autovettura, i carabinieri hanno rinvenuto apparati telefonici dedicati, documenti falsi, uno scanner ed una somma in contanti.
Matichecchia, tratto in arresto in esecuzione della misura cautelare, e Fazzi, tratto in arresto per favoreggiamento personale, sono stati ristretti presso la casa circondariale di Brindisi.
Stando agli accertamenti degli investigatori Matichecchia avrebbe stretto rapporti consolidati con esponenti della ‘ndrangheta di Rosarno (Reggio Calabria). Le attività investigative avevano preso il via con il monitoraggio del nucleo familiare e dei soggetti vicini al Lorusso, tra i quali Giancarlo Matichecchia, e Salvatore Margherita, pugliese residente in provincia di Varese, sul conto dei quali aveva già riferito, alla fine degli anni ’90, il collaboratore di giustizia Ciro Carriere.
In particolare, così come documentato dai carabinieri – ci sarebbero stati diversi incontri, a Grottaglie (Taranto), tra esponenti criminali reggini e gli indagati finalizzati a pianificare l’importazione di sostanze stupefacenti da commercializzare nelle provincie di Taranto e Varese, ove risiedeva da diversi anni Salvatore Margherita. Quest’ultimo disponeva, infatti, – secondo gli inquirenti – di una rete di spacciatori che provvedevano ad immettere sul mercato varesotto la cocaina proveniente dalle cosche reggine.
Le indagini hanno permesso di individuare altresì nelle rapine ai portavalori ed agli istituti di credito un’altra delle fonti illecite di guadagno degli indagati, attività criminale già realizzata in passato dal brindisino Matichecchia, coinvolto nel ’92 in una rocambolesca rapina alla Cassa di Risparmio di Prato – filiale di Casarsa, che gli era costata la condanna alla pena di 8 anni e 6 mesi di reclusione.
Il 48enne Matitecchia, come detto, si era sottratto alla cattura del 7 settembre scorso, dileguandosi tra le campagne circostanti alla propria abitazione a Villa Castelli, e riuscendo a lasciare il territorio nazionale per raggiungere la Romania.
Da qui, grazie all’appoggio di alcuni complici, era rientrato in Italia tramite documenti falsi e camuffando la propria persona, avvalendosi di travestimenti e parrucche.
Nell’ultimo periodo aveva trovato rifugio nella cittadina di Erchie, ospite di Emanuele Fazzi.
Il provvedimento cautelare eseguito dai carabinieri del ROS coadiuvati da quelli dei comandi provinciali di Taranto e Varese, era scaturito da un’indagine condotta nei confronti di alcuni esponenti del clan Lorusso, operante nel comprensorio di Grottaglie (Taranto), ritenuti responsabili di traffico di sostanze stupefacenti.
L’indagine aveva tratto origine da un’attività delegata al Ros dalla Procura di Caltanissetta a seguito del coinvolgimento di Alberto Lorusso, esponente di rilievo – secondo gli investigatori – dell’omonimo sodalizio, nelle minacce rivolte dai vertici di “Cosa Nostra” ai magistrati della Procura di Palermo Antonino Di Matteo e Francesco Del Bene.
Nel 2013 la Procura nissena aveva delegato i carabinieri del Ros allo svolgimento di attività investigative nei confronti di Alberto Lorusso – all’epoca detenuto insieme a Salvatore Riina presso la casa di reclusione di Milano-Opera – e in particolare a verificare l’asserita disponibilità di un “arsenale militare” cui Lorusso aveva fatto cenno durante le conversazioni intercorse con Totò Riina durante i momenti di socialità.
Le risultanze investigative hanno accertato che Lorusso aveva ricevuto, in più occasioni, le confidenze del Riina inerenti i propositi di vendetta nutriti da quest’ultimo nei confronti dei responsabili dei disagi connessi al regime del “carcere duro” cui lo stesso era sottoposto, e aveva altresì ascoltato le riservate considerazioni riguardanti gli auspicati attentati all’incolumità del procuratore Di Matteo a seguito delle iniziative giudiziarie che avevano fatto scaturire il processo ai soggetti coinvolti nella c.d. “trattativa”.
BrindisiOggi
Commenta per primo