LA STORIA- Montecatini, come già detto, era stata accolta a Brindisi al momento del suo insediamento e negli anni immediatamente successivi con un generale entusiasmo, né poteva essere diversamente. In città, nella provincia, in tutto il Salento, vi furono miglioramenti di ogni genere. In soli tre anni il numero di autovetture circolanti aumentò del 90%, il reddito medio per abitante del 40%, l’occupazione nelle attività terziarie del 30%, il risparmio bancario e postale addirittura raddoppiò. Tutto lasciava supporre che ci sarebbe stato un continuo sviluppo, con la nascita di altre industrie, in particolare per la lavorazione delle materie plastiche, che già allora avevano numerose applicazioni, in agricoltura, nell’edilizia, nell’arredamento, nella componentistica auto. Tali previsioni non erano avventate ma, come vedremo, si rivelarono eccessivamente ottimistiche. Superata la prima metà degli anni ’60, cominciarono infatti i primi problemi.
Non furono solo i difficili rapporti tra le famiglie dei tecnici trasferiti dal Nord ed il resto della popolazione brindisina, dei quali abbiamo già parlato, e neppure le difficoltà di adattamento alla grande industria chimica dei numerosi lavoratori provenienti dall’agricoltura, dall’edilizia, dall’artigianato, descritte dal sociologo Franco Crespi nel libro “Adattamento e integrazione”. No, non furono solo quelli.
La presenza del Petrolchimico cominciò a essere percepita a Brindisi come fattore di rischio, ed anche i lavoratori chimici, dopo aver soddisfatto con l’assunzione in Montecatini i loro problemi di sostentamento, cominciarono ad avvertire in modo preponderante bisogni di livello superiore: di sicurezza, di appartenenza, di partecipazione. A muoversi per primi in questa direzione furono i lavoratori della Polymer .
La Polymer era stata costruita in Contrada Pandi contemporaneamente alla Montecatini. Faceva parte dello stesso Gruppo Industriale, lavorava l’ultima frazione di etilene per produrre policloruri di vinile, resine polimeriche commercializzate con il nome VIPLA, frutto anch’esse della ricerca del premio Nobel Giulio Natta. Il primo direttore della Polymer fu l’ing. Biagio Cappello, che allora si diceva guardasse con un pizzico d’invidia il confinante più potente, l’ing. Mario Natta, direttore dello stabilimento Montecatini, cugino del premio Nobel.
Per le politiche di gestione delle risorse umane e le relazioni esterne i due stabilimenti si presentavano sotto un’unica bandiera. Unico era il capo del personale, dottor Savino Guttuso, unificati erano anche i principali servizi generali (sicurezza, infermeria, mensa, trasporti interni). I due stabilimenti, separati solo da una recinzione, furono unificati nel 1968, a seguito della fusione tra le due società e la costituzione di Montedison . Come detto, a dar vita ai primi a organismi sindacali vitali e combattivi furono i lavoratori della Polymer. Le loro rivendicazioni furono anche efficacemente sostenute da “Ventisette”, un giornale sindacale fondato da Dario Amodio, giovane brillante e carismatico impiegato amministrativo, approdato nel petrolchimico più per necessità che per vocazione (come sarebbe accaduto anche a me alcuni anni dopo).
Il “Ventisette” era inizialmente distribuito ai lavoratori della Polymer, pian piano divenne però una bandiera per tutti i lavoratori del Petrolchimico. Il nome della testata voleva indicare traguardi nuovi, più ambiziosi: andare oltre la certezza del salario, erogato appunto il “ventisette” di ogni mese, per partecipare, affermare le proprie idee, essere protagonisti. Sfogliando vecchie copie del giornale ho ritrovato i temi di alcune battaglie e iniziative sindacali. Ne cito alcuni.
Giugno 1965.“Ventisette” denuncia con ironia e reale preoccupazione le esercitazioni di tiro eseguite dall’Aeronautica Militare nel poligono di Punta della Contessa, posto immediatamente a sud dello stabilimento: ”…secondo il nostro modesto parere l’attività ripresa dall’A.M. potrebbe rappresentare un serio pericolo per la sicurezza delle persone e degli impianti Polymer – Monteshell”. Il maggior rischio si presenterebbe specialmente all’atto della virata, cioè quando il veicolo viene a trovarsi con il “muso” puntato sulla Montecatini. Il quel momento bisognerebbe essere matematicamente certi che dall’aereo non sfugga nessun razzo…”.
Luglio 1965. Il giornale attacca la Direzione Monteshell per la riduzione strisciante di centinaia i posti di lavoro:”…sono ormai parecchi mesi che con un abile sistema “concordatario” la società riesce ad accompagnare ai cancelli, alla spicciolata, decine e decine di lavoratori “dimissionari”. Voci ricorrenti assicurano che fino ad oggi si tratta di tre-quattrocento unità … “. (La riduzione degli organici nel Petrolchimico di Brindisi era stata una precisa richiesta di Shell al momento della costituzione della joint-venture con Montedison. Il sovradimensionamento era la reale conseguenza delle pressioni clientelari soddisfatte dalla direzione del petrolchimico negli anni precedenti, oltreché della sua pretesa di compensare con un maggior numero di addetti le carenze di formazione ed esperienza professionale ).
Gennaio 1966. Con un duro articolo dal titolo “PAURA”, Ventisette denuncia il senso di smarrimento e soggezione di molti lavoratori nei confronti dei loro capi: “… non si vede, ma c’è, la paura. Si manifesta nelle più svariate forme. C’è paura di dichiarare i propri orientamenti politici, c’è la paura di lasciare per primi l’ufficio per tornare a casa, anche se l’orario è passato da parecchio. Tutto ciò per il timore di cadere in disgrazia, di non godere delle simpatie del proprio superiore.“
Maggio 1968. Amodio pubblica uno dei suoi pezzi più graffianti. Immagina e rappresenta con un’ efficace vignetta cinque scienziati di fama mondiale convenuti a Brindisi per esaminare il contenuto della scatola cranica di un tipico capo reparto della Montedison. Al termine dell’operazione gli stessi certificano: “ … 20 tonnellate di arroganza, 70 quintali e rotti di presunzione, 30 miriagrammi di gelosia, parecchie invidie e ambizioni sbagliate, 90 chilogrammi di cattiveria allo stato grezzo e 30 chilogrammi di cattiveria già raffinata, 8 etti di crusca di prima scelta, molta mediocrità, scarse capacità e nemmeno un grammo di umiltà” . Poi concludono: “Siamo in grado di assicurare che proprio grazie a queste qualità, il nostro soggetto non mancherà di fare una brillante carriera“. Dario Amodio aggiunge una postilla ancor più divertente: “Amici, osservate il vostro capo mentre guarda questa vignetta e legge la storiella. Se la sua faccia si adombra, non ci sono dubbi, si tratta del soggetto esaminato, se sorride e si diverte vuol dire che è una persona intelligente. In questo caso pregate molto perché Dio e il vostro direttore ve lo conservino sempre così…”.
Storie meno divertenti che accadevano all’esterno della “Cattedrale”. I rapporti tra la città di Brindisi e la Direzione del Petrolchimico non erano buoni come una volta. Tra il 1967 e il 1968, alcuni eventi suscitarono perplessità e reazioni negative, sia dei cittadini che degli amministratori locali.
30 marzo 1967. Un’improvvisa moria di pesci nelle acque del porto, riportata con rilievo dalla stampa locale, fa pensare a un inquinamento da cloro. Il pesce stordito viene sequestrato sulle bancarelle ed è vietata per un certo periodo la pesca. I pescatori brindisini reagiscono in modo violento. I risultati delle analisi realizzate a Taranto presso l’Istituto di Biologia Marina non svelano del tutto il mistero .
1giugno 1967. Nel corso della “ Giornata sulla sicurezza del lavoro” vengono forniti i dati sugli infortuni occorsi nel 1966 nell’intero settore industriale: 4230 infortuni INAIL e 34 infortuni mortali. Nel settore agricolo gli infortuni INAIL sono: 1684 e 14 mortali. Questi numeri, allarmanti e drammatici, si riferiscono a infortuni occorsi prevalentemente a personale di imprese (Sartori, Belleli, Riva Mariani, IBA, ecc.) che lavorano all’interno e all’esterno del Petrolchimico (con oltre duemila persone), e a personale di piccole – medie imprese sorte nell’area industriale o sparse in tutta la Provincia di Brindisi.
6 luglio 1968. La Commissione Interna del Petrolchimico invia per la prima volta un documento al Consiglio Comunale contenente dati sulle esposizioni del personale a sostanze nocive. Il documento viene posto nell’Ordine del Giorno dal sindaco Arina e discusso dal Consiglio che si divide tra chi considera demagogica la denuncia (democristiani e missini) e chi la considera attendibile e preoccupante (comunisti, socialisti unitari).
Nel versante sindacale, già a partire da 1963, si erano registrate azioni di lotta in occasione dei rinnovi dei premi di produzione e dei contratti nazionali di lavoro. Gli scioperi avevano creato anche forti contrasti con la direzione Montecatini, che in più occasioni tentò di attenuare le conseguenze degli scioperi convincendo gruppi di tecnici ed operai a rimanere in stabilimento oltre il loro turno di lavoro, per mantenere in marcia gli impianti di produzione. Alle accuse sindacali di favorire così fenomeni di “crumiraggio”, la direzione ribatteva che rimanere in fabbrica era la libera scelta di lavoratori che non aderivano agli scioperi, una scelta comunque responsabile per garantire la sicurezza degli impianti e delle persone, messa a repentaglio da fermate non programmate di produzioni a caldo ed a ciclo continuo. I contrasti furono superati, grazie all’intervento del prefetto, con l’istituzione delle “comandate “, ovvero di gruppi di tecnici ed operai, concordati prima dello sciopero tra direzione e sindacato, ai quali veniva consentito di entrare in fabbrica per tenere in marcia gli impianti a caldo con il minimo assetto tecnico di produzione. Tale assetto doveva permanere per un numero di ore superiori a quelle di sciopero, allo scopo di recuperare ed annullare quanto prodotto durante l’agitazione sindacale. Il dato era tuttavia piuttosto difficile da controllare e terminato lo sciopero nessuno se ne preoccupava più di tanto .
Bisogna arrivare all’autunno del 1968 per registrare le lotte sindacali più dure, che oltre al Petrolchimico coinvolsero l’intera area industriale: le lotte per l’abbattimento delle gabbie salariali.
Brindisi era incasellata dal sistema retributivo nazionale allora vigente nella posizione più bassa della graduatoria, perché considerata zona agricola con basso costo della vita. In realtà, nel corso degli anni ’60, questo indicatore era fortemente lievitato, proprio in seguito alla costruzione del petrolchimico. Il sistema in vigore veniva pertanto considerato quanto mai ingiusto. I lavoratori ed i sindacati chiedevano in sostanza una retribuzione parificata a quella di operai e tecnici che operavano con mansioni analoghe nelle industrie del centro e del nord Italia. La questione delle gabbie salariali, e le dure lotte che scaturirono a Brindisi, come in gran parte del sud Italia, accelererò il processo di sindacalizzazione già in atto nel Petrochimico.
Nell’autunno del 1968 ( ricordato come l’autunno caldo in tutta Italia ) furono organizzate assemblee spontanee fuori dalla fabbrica. Ad esse parteciparono numerosi operai sindacalizzati ed operai non sindacalizzati; dalle assemblee scaturirono spesso richieste più dure e radicali di quelle avanzate dalle organizzazioni sindacali. Prese forma un vero e proprio comitato di lotta, che coordinava il movimento, si occupava della propaganda e individuava le iniziative da intraprendere. Sotto la spinta del comitato, fu indetto uno sciopero durissimo che durò ben sei giorni, dal 31 gennaio al 5 febbraio del 1969 ( ancora una volta contro il parere dei sindacati che avrebbero preferito un’azione di lotta articolata). Nel primo giorno di sciopero i picchetti sparsi su tutta la zona industriale di Brindisi non permisero l’ingresso della “comandata” nel Petrolchimico .
La vicenda del riassetto zonale si concluse solo alla metà di marzo con l’abolizione, scaglionata nel tempo, delle gabbie salariali. L’accordo fu accolto comunque con grande soddisfazione sia dai lavoratori che dalle tre maggiori organizzazioni sindacali. Quelle chimiche erano guidate a quel tempo anni da Angelo Landella (Federchimici CISL), Vincenzo Di Noi ( Filcea CGIL) e Nicola Pacifico (Uilcid UIL).
Quando io fui assunto nel maggio del 1969, la situazione nel Petrolchimico era già più tranquilla. Nonostante i conflitti sociali menzionati, il settore chimico nazionale si trovava all’apice di un lungo processo di espansione, favorito dalla larga disponibilità di materie prime a basso costo, dalla crescita della domanda, dalla creazione di nuovi prodotti, derivati sia da innovazione dei processi sia dalla sostituzione con le materie plastiche di altri materiali ( metallo, legno, carta, vetro, ecc.) .
Avevo resistito a lungo prima di presentare domanda di impiego in Montecatini. Lavorare nel Petrolchimico, come accadeva ormai a tanti periti industriali dell’I.T.I.S G. Giorgi era un’idea che non mi era mai passata per la mente. Nel 1966 avevo conseguito brillantemente il diploma di laurea presso la Scuola Superiore di Giornalismo, mantenendomi agli studi lavorando part-time come insegnante in una scuola guida; poi mi ero iscritto alla facoltà di Sociologia presso la stessa Università di Urbino. Dopo la Scuola di Giornalismo, avevo anche tentato di entrare nella redazione del Messaggero come praticante. Ma i posti disponibili erano veramente pochi (un praticante ogni dieci professionisti ). Sopravvivevo a stento, ospite di parenti a Roma. Giunto quasi al termine degli esami universitari rischiavo anche di non laurearmi. Mia madre insisteva perché io tornassi a Brindisi. In Montedison nel frattempo erano riprese le assunzioni. Giunsi alla conclusione che nel mondo della carta stampata avrei ritentato di entrare dopo la laurea, feci domanda di assunzione e fui quasi immediatamente convocato per il colloquio di selezione. Tutto sommato avevo un buon curriculum, anche se un po’ atipico, considerata la sequenza delle esperienze formative e lavorative: diploma di perito industriale, insegnante di disegno meccanico, insegnante di scuola guida, diploma della Scuola Superiore di Giornalismo, laureando in Sociologia. Chissà cosa pensarono quelli dell’Ufficio Personale nell’esaminarlo. Fatto sta che mi assunsero e fui destinato al Servizio Sicurezza, Sezione Antinfortunistica. Fu una fortuna: avrei avuto prevalentemente a che fare con persone. Se mi avessero spedito sugli impianti non avrei resistito a lungo. Rimasi invece nel petrolchimico per 20 anni, poi andai a lavorare in altre fabbriche chimiche per un periodo di tempo ancor più lungo.
Ma è una storia meno importante di quella della cattedrale, che devo ancora finire di raccontare…
Giuseppe Antonelli (5. Continua)
Caro Pino, a dire il vero condivido moltissimi passaggi del tuo racconto, specie se li guardo facendo un raffronto con il presente. Ad esempio, quando parli di “fortuna” per avere avuto a che fare con le persone. Pensa invece che oggi qualcuno pretende di saper gestire le persone come gli impianti, tu sai a cosa mi riferisco,con il risultato che riusciranno a distruggere quello che in tanti anni, anche con il tuo contributo, si è faticosamente costruito.
Congratulazioni Mr. Antonelli il racconto epistolare è lodevole e realmente fornisce uno spaccato temporale della industrializzazione brindisina con i pro e contro che la costruzione del petrolchimico ha generato nei decenni.
Come esempio positivo mi piace enfatizzare come da Lei citato l’incremento esponenziale della scolarizzazione , la formazione di operai-tecnici-quadri-dirigenti che hanno fatto (e fanno ancora ) bene anche in altri contesti lavorativi , mentre come esempio negativo ( ma fisiologico direi ) la crescita , ad un certo punto dei primi anni 80 di una classe sindacale/corporativa/nepotista che per autolegittimarsi e sopravvivere ha scambiato potere contrattuale con pratiche personalistiche ( parlo anche di assunzioni di figlie-figli-nipoti ed ovviavente nuore e generi ….anche fuori dal petrolchimico )
Le faccio i miei complimenti …aspettando il capitolo anni 80
Caro Paolo, teste vuote o piene di cose inutili sono sparse ovunque .. . Ti ringrazio per l’assiduità della tua lettura ed apprezzamenti !!!
Che dire? BELLISSIMO!!!
Solo una piccola considerazione:sono certo che nella seconda parte (quella meno importante a suo dire)della sua vita lavorativa, lei ha tenuto conto dell’articolo di Amodio del maggio 1968.O sbaglio?
Un caro saluto.