Questi giorni sono il vero esame di maturità per i nostri ragazzi, la competenza della gestione delle emozioni

(PAROLE AL LAVORO) – Nel tentativo, abbastanza difficile devo dire, di difendermi dal sovraccarico di informazioni che in questi giorni subiamo, sono stata attirata da una notizia. Tra tutto quello che giustamente si sta mettendo a disposizione delle persone inghiottite da questa pandemia per aiutarle a ripensare la propria vita e a  resistere all’impatto di questo tsunami,  si moltiplicano in questi giorni  le disponibilità di un “sostegno psicologico”. Un sostegno che vuole migliorare la capacità di tutti di gestire le emozioni, soprattutto quelle negative che, in momenti di così importante disagio, inevitabilmente proviamo. Al pari di tutte le altre “istruzioni per l’uso” necessarie a riorganizzarsi la vita in questo momento, i consigli sono rivolti a grandi e piccini, a giovani e meno giovani, a ricchi e poveri.

Mi ha colpito questa notizia si, perché in un certo qual modo riabilita le emozioni, superando la sterile differenza d’importanza attribuita sino ad ora alle così dette ragioni del cuore, in contrapposizione a quelle della mente.  Ma non solo. Riapre la discussione sull’importanza di una competenza, che è quella della gestione delle emozioni, tante volte nominata quante poche in realtà realmente praticata e perseguita nei ns contesti educativi.

Comuni, associazioni, ordini professionali e professionisti privati, religiosi, esperti di pratiche di meditazione … mettono a disposizione gratuitamente i supporti psicologici necessari ad affrontare il “buio” interiore e il disordine emotivo prodotto da questa forzata prigione casalinga (mia mamma riassume tutto in questa espressione” siamo in prigione”).

Si moltiplicano i corsi, le videoconferenze, i training su come imparare e riconoscerle e a gestirle.

Una riabilitazione importante alla cui base, c’è una considerazione ancora più importante: si può imparare a gestire le emozioni, cioè riconoscerle, accoglierle, indirizzarle, allenarle.

E lo si può fare a tutte le età e in qualunque circostanza. Certo l’ideale sarebbe farlo in quella famosa età in cui l’apprendimento è per noi più facile perché la nostra struttura mentale è più flessibile ed elastica. La famosa età scolare.

Non a caso, sempre più frequentemente presidi, insegnanti, docenti di ogni ordine e grado si preoccupano di chiarire a genitori immancabilmente e quanto mai inutilmente preoccupati della performance dei loro figli in questo periodo, che non importa quanto i ragazzi studieranno in questi mesi, ma piuttosto sarà importante quanto trarranno da questa esperienza.

Pensiamoci bene: questo periodo sarà il loro vero esame di maturità. Dovranno riuscire  ( e noi figure più “adulte” dovremo farlo con loro e per loro) a riconoscere, senza averne paura, le loro emozioni, e soprattutto dovranno indirizzarle, consapevolmente, verso il proprio benessere e quello altrui,  nella pratica quotidiana della convivenza. Già di per sé difficile, ma resa ora ancora più complessa dalla sua momentanea ineluttabilità.

Impareranno il tempo dell’attesa, la noia che ci fa capire meglio chi siamo e cosa vogliamo, la delicata nostalgia dei momenti spensierati che apparteneva, fino ad ora, ad età più adulte. Impareranno che per resistere alla paura dell’incertezza dovranno accoglierla, l’incertezza, e farne una compagna di viaggio. Dovranno saper tramutare la rabbia per l’oggi in speranza di un domani. Comprenderanno che solo cercare la gioia e l’allegria nelle più piccole cose può allontanare il rimorso. E che l’ansia è uno dei modi che abbiamo per difenderci dalla delusione, ma va gestita, per non farla diventare rassegnazione. Impareranno ad accettare i propri difetti e quelli di chi vive con loro questa dura esperienza, praticando il perdono dell’offesa. Perché intanto è già un dono esserci e stare bene. Seppur così tanto fragili. Ecco impareranno finalmente anche che il mondo non si regge sui supereroi ma sulle decine di migliaia di normali esseri umani.

Un esercizio di appartenenza alla comunità come questo alla generazione dei nostri ragazzi, come anche alla nostra non era davvero mai capitato.  Non sprechiamolo.

Tra le cose che spero rimangano “DOPO”, vi è questa rinnovata importanza alle emozioni ed alla nostra capacità di prendercene cura. Praticare da qui in poi questa competenza, renderla realmente misura della maturità di un essere umano, ridurrebbe anche di tanto lo spazio tra mondo del lavoro e mondo dell’educazione. Il lavoro oggi già, domani di più, infatti avrà bisogno soprattutto di donne e uomini capaci di gestire il cambiamento, che, in un ossimoro faticoso, sarà la costante delle nostre vite.  Ma anche di donne e uomini in grado di realizzare le migliori forme di comunità, anche di lavoro, attraverso la migliore cura possibile delle proprie emozioni.

Una scommessa che stiamo già affrontando…

Alessandra Amoruso

 

 

 

 

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