INTERVENTO/ È di alcuni giorni fa la notizia della candidatura agli Oscar, nella categoria di miglior film straniero, di FUOCOAMMARE di Francesco Rosi. Al di là del dibattito scatenatosi, se sia giusto o no essere rappresentati da quello che nel gergo cinematografico viene definito ‘docufilm’, la notizia mi ha portato a fare alcune riflessioni sul tema o meglio sul termine ‘integrazione’.
Se ne fa un gran parlare in molti ambiti, ma, come per il termine ‘democrazia’, non se ne comprende il vero significato e spesso, se non sempre, lo si confonde o sovrappone a una locuzione anche questa abusata: ‘rispetto delle leggi’ del Paese ‘ospitante’.
Una terra che accoglie, la nostra, è spesso una terra di passaggio. Coloro che giungono dal mare, per i più svariati motivi, possessori di niente, se non di quel che resta della propria dignità di esseri umani, vi lasciano, se riescono a proseguire, lo sguardo di chi comunque è stato sconfitto, o indugiano, se permangono nello status di ospiti, con lo stesso sguardo, su una terra che dell’accoglienza ha fatto il suo biglietto da visita nella comunità internazionale.
La legge è legge e non ammette ignoranza e errori. Il rispetto delle leggi e della struttura costituita del Paese ospitante è scontato ma non si avverte la necessità, da parte degli ‘accoglienti’, di nessuna attività mirata ad agevolare e guidare l’integrazione culturale. In questo modo si disincentiva il processo di inserimento nella nostra società occidentale di coloro che attraversano il Mediterraneo, non più mare nostrum ma di tutti.
Siamo realmente predisposti, quali abitanti di una terra di confine, ad accogliere, ospitare, integrare? Tutte azioni che non significano accettare momentaneamente, tollerare, ma “far entrare, incorporare un elemento nuovo (cosa o persona) in un insieme, in un tutto, così che ne costituisca parte integrante e si fonda con esso; inserire uno o più individui in un gruppo, o uno o più gruppi in un organismo, in una struttura, in una società costituita, di cui prima non facevano parte o da cui erano esclusi, ad esempio un gruppo etnico nella comunità nazionale e/o internazionale; o, in senso più astratto, comporsi armoniosamente, adattarsi perfettamente, costituire una unità organica e funzionale di forze, mezzi, risorse”. (Vocabolario on line TRECCANI).
Nel film sopracitato, che non ho (ancora) visto, ma di cui ho letto, viene spiegato al protagonista che “il maltempo non è buono per chi sta in mare a pesca; sembra tempo di guerra, quando c’era come il fuoco a mare“. Allora viene da chiedersi se non sia una guerra silenziosa, quella dell’integrazione, che si sta da tempo combattendo; ed ancora, quali effetti a lungo termine produrrà l’inevitabile fenomeno dello spostamento di massa di intere popolazioni se, ancora oggi, da ambo le parti, le aspettative di una risoluzione efficace diventano sempre più un miraggio e se l’organizzazione internazionale di integrazione economica e politica preposta a realizzare tali aspettative latita.
E noi cittadini da che parte stiamo? Al di qua o al di là del muro dell’indifferenza?
Angelo Rizziello
La domanda in chiusura dell’articolo è meglio che rimanga senza risposta. Anzi, vogliono farla rimanere senza risposta. Conviene. Contrariamente si avrebbero poco piacevoli, anzi bruttissime, sorprese. Sarebbero le sorprese della realtà, di una realtà che tanti non vogliono vedere sopratutto coloro che sulla pelle dei disgraziati ci ha creato un bellissimo business.Hanno paura che finisca.E che cada quel muro di falsità , di ipocrisia , di sepolcro imbiancato buonista che tantissimi hanno pubblicamente , ma che in privato hanno ben altre idee.E mi fermo qui, che è sempre meglio…..