Polemica zona nafta: “Vi espongo tutti i fatti e anche i documenti, basta con le strumentalizzazioni”

INTERVENTO- La polemica accesa dal Sig. D’Attis e altri commentatori riguardo alla presunta “rinuncia” della “zona nafta” da parte del Comune di Brindisi, essendo la stessa basata sulla falsità e mistificazione della realtà, non richiede  una risposta politica, ma di una ricostruzione dei fatti che permetta all’opinione pubblica di farsi un’idea dopo averli conosciuti.

La politica sì che deve agire, ma alla sua azione, in perfetta sinergia tra maggioranza e opposizione, deve essere anteposta la verità dei fatti.

La zona nafta del porto di Brindisi rientra tra le aree oggetto di un accordo risalente al 16 dicembre 1999, di cui una prima fase si è realizzata immediatamente (scambio tra Comune e Marina Militare, rispettivamente dei Capannoni “ex-Saca” lato mare e del parcheggio di Via Spalato) e una seconda, al momento non ancora attuata. Tale seconda fase, assistita da un finanziamento CIPE di 32, 5 miliardi delle vecchie lire, prevedeva che la Marina Militare, in cambio della realizzazione di un nuovo deposito nafta in località Capo Bianco, restituisse all’Autorità Portuale la vecchia zona nafta del Seno di Levante, che quest’ultima avrebbe dovuto bonificare.

I fondi CIPE erano destinati parti a una cosa, parte all’altra. Tutto scritto nero su bianco e sottoscritto da Ministeri, Comune, Regione e tutte le Amministrazioni competenti in materia.

Secondo questo Accordo, dunque, la zona nafta sarebbe dovuta essere acquista dall’Autorità Portuale, la quale, a sua volta avrebbe dovuto provvedere alle “…relative opere di completamento e bonifica e definitiva sistemazione…”, con l’impiego delle risorse appositamente previste.

Ricordo che quella pianificazione è figlia di una visione che negli anni ’90 e anche prima, era ampiamente condivisa a Brindisi; ovvero realizzare la stazione marittima nel Seno di Levante, lì dove era concentrato pressocchè tutto il traffico passeggeri (Proposta n.1 di Brindisi Prodest, progetto Iri-Bonifiche, Valigia delle Indie, ecc…).

Tra l’altro, una base condivisa tra le strategie politiche dell’epoca era che parlare di porto e parlare di città fosse la medesima cosa, e che l’obiettivo cardine fosse quello di liberare più aree possibili dalle servitù militari.

A quegli atti sono seguiti anni di inerzia e di vicende alterne, come il tentativo di dirottare i finanziamenti del CIPE sulla caserma “Carlotto” del battaglione S. Marco, fallito poi per il diniego dei Ministeri competenti.

Come si arriva a questa bizzarra proposta formalizzata e nota come “Addendum 2012”?

In questa fase,  rileva la posizione di piena e convinta condivisione espressa dal Comune di Brindisi nel verbale del 17/9/2010 – Amministrazione Mennitti, delegato Dott. Chiantera – che nulla eccepisce in merito al destino delle aree ex-POL per le quali, tra l’altro, non si parla più espressamente di bonifica. E’ un passaggio cruciale; infatti sulla scorta di tale verbale, redatti i progetti sulla Carlotto, si perviene alla firma del così detto “Addendum all’accordo di programma del 16/12/1999” siglato il 18/1/2012 per il Comune dal Commissario Pezzuto. Il Commissario infatti, sulla scorta del parere formale espresso dall’Amministrazione Mennitti, il 17/9/2010, nulla eccepisce e quindi sottoscrive l’atto nel quale si stabilisce all’art. 2 comma 2 che: <<la Marina Militare avvierà le operazioni di consegna – come già previsto dall’Accordo di Programma sottoscritto in data 16/12/1999 – delle aree di cui sopra alla Capitaneria di Porto di Brindisi che, contestualmente, le trasferirà all’Autorità Portuale di Brindisi, della parte in uso dell’attuale Deposito POL nel Seno di Levante ….. omissis … >>.

Fortunatamente, come già detto, l’ipotesi “Carlotto” viene bocciata dai Ministri competenti, perché ritenuto inammissibile l’utilizzo dei fondi CIPE per opere non portuali.

Nel 2016, dopo una nuova fase di stallo che porta i fondi CIPE quasi alla perenzione, viene tentato il “colpo di mano”: l’11 marzo viene convocato un tavolo tra Autorità Portuale, Marina Militare, Regione, Provincia, Comune, Capitaneria, sul quale compare un documento (definito “addendum 2016”), nel quale è previsto che l’intera somma del CIPE venga destinata ad un progetto di “ristrutturazione e ammodernamento dei moli del comprensorio Difesa” mentre, per la prima volta, viene scritto che “…la parte di quest’area (ndr.: la zona nafta) non strettamente necessaria ai fini portuali sarà oggetto di contestuale immissione nella disponibilità del Comune, che qui si impegna a sue spese ( sic!) al suo totale recupero per usi urbani, previa bonifica della superficie.”.

Sottolineo: volevano prendersi tutti i soldi, compresi quelli destinati alla bonifica della zona nafta, e lasciare quest’ultima area al Comune nello stato di fatto attuale, lasciando al Comune la  responsabilità di detenere, praticamente nel centro della città, un’area altamente inquinata e per la cui bonifica occorrerebbero diversi milioni di euro che, anche ad averli, non sarebbero potuti essere legittimamente spesi su un suolo che rimarrebbe comunque demaniale, e quindi non di proprietà comunale.

Questo addendum fu firmato da tutti, ma non dal Commissario Castelli…. giustamente.

Nel luglio scorso, Marina Militare e Autorità Portuale chiesero un incontro alla Sindaca; nel corso della riunione le sottoposero quel medesimo documento, chiedendole di sottoscriverlo.

La Sindaca, supportata dai suoi collaboratori, valutò subito la non rispondenza del documento agli interessi dell’Ente da lei amministrato, avviando un’interlocuzione finalizzata a riportare i contenuti almeno a quelli relativi all’Accordo di Programma del 1999 (parte del finanziamento destinato alla bonifica della zona nafta, parte per le esigenze della Marina Militare).

L’urgenza di definire il tutto era comunque dettata dal fatto che i fondi CIPE (oggi di € 17 milioni e mezzo), sono già in “perenzione” e sarebbero stati definitivamente persi nel febbraio 2017.

La trattativa, tenuta riservata per espressa richiesta dei militari, è stata serrata, a tratti anche dura, ma col buon senso e fermezza nella difesa degli interessi del territorio, ha condotto a una conclusione positiva: l’Autorità Portuale redige due progetti per il finanziamento CIPE, uno per la bonifica della zona nafta, l’altro per la ristrutturazione dei moli della Difesa; in cambio la Marina Militare lascia libere le aree in argomento.

Cosa fare su queste aree?

Intanto, la fascia lungo le banchine, immediatamente liberata, consentirà finalmente di “chiudere” quel “circuito unico doganale” da tanti anni invocato, mentre le superfici ora occupate dai serbatoi, una volta bonificate a cura dell’Autorità Portuale, come si legge nel documento, “…saranno prese in consegna dall’Autorità Portuale, salvo ulteriore e successivo accordo tra questa ed il Comune per una sua possibile valorizzazione anche ai fini urbani”.

Ma c’è di più: l’Autorità Portuale si è formalmente impegnata, ove i fondi CIPE si dovessero rilevare insufficienti per la bonifica (nessuno sa, infatti, cosa nasconde in realtà quel sottosuolo), a completare la stessa a proprie spese.

In particolare, l’efficacia dell’azione condotta trova riscontro nel verbale dell’incontro del 28/7/2016 (al quale presenziarono per il Comune anche il Notaio Errico ed il Dott. Zizzi) dal quale si evince, leggendolo  senza tema di smentita, che:

<<  Di concerto tra tutti gli intervenuti si conviene dunque, nell’ambito dello studio di fattibilità dei lavori occorrenti alla riqualificazione ed ammodernamento delle infrastrutture portuali della Base Navale di Brindisi da redigersi a cura dell’Autorità Portuale, già costituente l’allegato “1” dell’addendum, di stralciare dalla somma ad oggi ancora perente ai fini amministrativi pari a 32,5 MLD delle vecchie lire di cui al finanziamento ex delibera CIPE 143/1999, una quota afferente i costi necessari per la più volte citata bonifica dell’area ex – POL. Ferma la presa in consegna della suddetta area in capo all’Autorità Portuale di Brindisi (sempre per il tramite della Capitaneria di Porto), salvo ulteriore e successivo accordo tra questa ed il Comune per una sua possibile valorizzazione anche a fini urbani. >>

Ad ulteriore conforto e riprova della bontà e lungimiranza della decisione presa, c’è da evidenziare che già nella nota del 10/7/2017 di conferma del CIPE del finanziamento si riscontra che l’Autorità Portuale si sta facendo carico, in aggiunta ai circa 1,3 milioni di euro stanziati in origine per la bonifica delle aree ex-POL, di altri 2 milioni di euro che il Comune di Brindisi non avrebbe avuto alcuna possibilità di poter reperire nell’attuale e prossimi bilanci. Ciò rappresenta per tutti una confortante garanzia (comunque posta come vincolo nella trattativa) che le aree possano concretamente essere bonificate e non, come qualche Consigliere iper ottimista consigliava di fare, con la sicumera tipica di chi non ha responsabilità amministrative delle quali rendere conto, affidarsi a futuri reperimenti di risorse ……

Si consideri, a tal riguardo, che i famosi 17 milioni di Euro, per le considerazioni sin qui esposte, mai e poi mai sarebbero potuti essere utilizzati dal Comune di Brindisi per espressa attuazione dell’Accordo di Programma del 1999, che li destinava in buona parte  (30 miliardi di vecchie lire) all’originaria previsione del nuovo deposito combustibili della Marina, da realizzare a Capo Bianco, ed in piccola parte alla bonifica dell’area ex-Pol (2,5 miliardi).

Questi fondi, ormai caduti in perenzione, sono stati salvati perché lo Stato Maggiore della Marina Militare ha prodotto notevole pressione sul CIPE, manifestando le esigenze del suo nuovo modello di difesa che necessitava di banchine operative ed efficienti su Brindisi, al fine di movimentare rapidamente, nelle possibili aree di crisi, le sue forze da sbarco e le strutture ONU, entrambe dislocate n Brindisi.

Un’ultima considerazione, probabilmente oziosa ma opportuna: la destinazione delle aree ex-Pol nel PUG immaginato dal DPP approvato nel 2006 dalla Giunta Mennitti, a cosa era finalizzata? Come alcuni valenti personaggi che si atteggiano a notisti ed intellettuali, hanno ammesso che vi era da parte di alcuni la volontà di utilizzare l’area in questione, una volta bonificata (…a spese di chi?) per la realizzazione di complessi residenziali di lusso, con rada e posto barca privati assegnati ai fortunati condomini. Ma questi signori, che oggi cavalcano l’onda pre-campagna elettorale, lo sanno che quelle aree sarebbero comunque dovute essere sdemanializzate, prima di realizzare interventi residenziali di tale natura? Inoltre, sanno com’è complesso e procedimentalizzato il processo di sdemanializzazione disposto dal Codice della Navigazione? I fortunati futuri proprietari di quegli appartamenti vista porto con posto barca, sono forse rimasti delusi nelle loro aspettative unitamente agli imprenditori e finanziatori della operazione?

Per il Sig. D’Attis, non si deve permettere alcun “santone” di replicare alle sue accuse?

Se ne faccia una ragione, il Sig. D’Attis; la falsità e strumentalità delle sue affermazioni va smascherata, e per questo non servono i santoni, ma semplicemente persone che conoscono i fatti ed hanno l’umiltà e la pazienza di esporli.

A lui si chiede almeno la capacità di prenderne nota.

Perchè questi sono i fatti. I documenti posti alla loro base sono consultabili da chi vi ha interesse.

Questa, la verità dei fatti, è la base sulla quale la politica, i commentatori, i cittadini hanno il diritto ed il dovere di confrontarsi.

 

Giampiero Campo già Ass. all’Urbanstica

 

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