Pastore sfruttato per 1,50 all’ora: ” Ho bisogno di un lavoro, voglio restare qui”

BRINDISI- (Da Il7 Magazine) Aveva 15 anni quando è arrivato in Italia, era su un gommone con altre cento persone. È sbarcato in Sicilia, poi è stato in un campo a Napoli e da oltre un anno è a Brindisi. Alì ha 20 anni, scappato dal Gambia dove non ha più nessuno, solo una sorella e la seconda moglie di suo padre. I suoi genitori sono morti anni fa, a 14 anni non aveva più nulla, neanche un tetto dove dormire. E così decide di fuggire, voleva arrivare in Italia: in quel meraviglioso paese. Un lungo viaggio: dal Gambia al Senegal, passando per il Mali, poi in Niger e alla fine in Libia dove resta un anno vivendo negli stenti in un quartiere di periferia dove ci sono le case degli immigrati.Un quartiere ghetto dove si vive tutti insieme per cercare di difendersi dagli attacchi. Con 300 dinari, che corrispondono a circa 180 euro, riesce ad imbarcarsi su un gommone per raggiungere l’Italia, la bella Italia, quella della pizza e del calcio. “Siccome ero piccolo – racconta in un mix di italiano e inglese – mi sono venuti incontro e mi hanno fatto imbarcare anche con pochi dinari che avevo accumulato con qualche lavoretto in Libia”. È di media statura Alì, il viso di un ragazzo di 20 anni, un fisico muscoloso abituato a lavorare. Ha i capelli colorati. Il mediatore culturale che lo accompagno, lo rimprovera: “Non devi colorarti i capelli, serve che ti presenti in ordine quando cerchi un lavoro – gli dice con fare affettuoso – l’aspetto è importante. Questi segni da delinquenti non servono. Tu sei una brava persona”. Il mediatore è un altro ragazzo, lui è del Malì è in Italia da oltre 10 anni, si è integrato ormai bene. I suoi amici per scherzare lo chiamano l’Italiano. Alì guarda il suo amico e annuisce, consapevole della bontà del consiglio. Il mediatore spiega che in Africa quei capelli sono simbolo di delinquenza.  Dal 7 settembre Alì vive al dormitorio di viale Provinciale San Vito, da quando i carabinieri di Brindisi hanno arrestato  due coniugi di Tuturano proprietari di una masseria accusati di sfruttamento nei suoi confronti. Alì da oltre un anno lavorava e viveva nella masseria di contrada San Paolo, faceva il pastore, si occupava delle pecore. Lavorava senza sosta, senza neanche un giorno di riposo: oltre 10 ore al giorno per 600 euro al mese, oltre a 50 euro per il cibo. Non esisteva domenica, né festivi: 1 euro e 50 all’ora. “Non lavoravo solo quando pioveva – racconta il ragazzo – e mi venivano tolti i soldi. Iniziavo la mattina alle 5 con la mungitura, poi pulivo il secchio e portavo il gregge al pascolo sino alle 11,  uscivo di nuovo il pomeriggio dalle 15 alle 19. Ogni giorno per oltre un anno”. Alì aveva il permesso di soggiorno scaduto a maggio, e lui era convinto di avere un contratto di lavoro, la padrona le aveva detto di avere il contratto con un’altra azienda agricola vicina. In realtà poi i carabinieri hanno scoperto che era fittizio. “Io avevo bisogno di lavorare e del contratto – spiega ancora – per poter rinnovare il permesso di soggiorno. Accettavo di lavorare in quelle condizioni proprio per questo. Io voglio restare a vivere qui. Non voglio andar via”. Il padrone le aveva dato un tetto per dormire: un vecchio capannone che poco si prestava ad una casa. Dormiva su una rete senza materasso in condizioni igienico sanitarie terribili, come un animale. Nello stesso capannone c’era una specie di bagno per fare i bisogni, qui anche un fornello per cucinare. “Spedivo la maggior parte dei soldi in Gambia alla seconda moglie di mio padre – dice – da noi si usa così. Ora ho paura di quello che accadrà, il mio permesso di soggiorno è scaduto e senza quello nessuno mi riassumerà. Io voglio restare in Italia, a Brindisi. Mi piace questa città, è tranquilla. La gente è brava. Mi piace la fontana della piazza”. Alì è un ragazzo molto semplice, che nella vita non ha avuto nulla. Cammina sempre con uno zaino sulle spalle, con le all’interno le poche cose che ha. Sarebbe disposto a fare qualsiasi lavoro pur di restare. In Gambia non ha più nessuno. Ma senza permesso di soggiorno nessuno gli fa un contratto di lavoro. Ora spera di poter ottenere un permesso di giustizia, visto quello che gli è accaduto nella masseria di Tuturano, ma se questo dovesse essere rigettato, rientrerà nelle nuove disposizioni del decreto sicurezza, è sarà un clandestino. Ora vive le sue giornate al dormitorio, senza fare nulla, dove si perde ogni dignità. Il suo sogno? Non lo sa, non sa rispondere. Sono centinaia i ragazzi che si trovano nella sua stessa condizione. Durante l’intervista ad Alì si avvicina un altro ragazzo: alto, muscoloso, ben vestito, parla molto bene l’italiano, è gentile ed anche sorridente. Ha 28 anni, è del Mali. Lavora nei campi, raccoglie pomodori, carciofi, uva. Tutto quello che capita, per 5 euro all’ora, sei ore al giorno. È arrivato in Italia nel 2016, salvato in mare da una nave Ong. Ha lavorato per un anno nei terreni di un “padrone” di Carovigno, ma nel contratto è stato dichiarato solo per 7 giorni. “Ho scoperto dopo un anno – racconta il 28enne – che mi risultavano solo 7 giorni lavorativi. Purtroppo queste situazioni sono coperte anche dalle leggi esistenti. Sette giorni sono troppi pochi sia per il permesso di soggiorno che per aver diritto alla disoccupazione. Ma prendere o lasciare. Non abbiamo altra scelta”.

Lucia Portolano per Il7 Magazine

 

 

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