Pasqua, i cibi della tradizione raccontati da Anna, 94 anni

BRINDISI – La Pasqua, checché ne dicano i proverbi, è un momento che, in genere, si passa in famiglia, coi propri cari. Ci si ritrova, per le vacanze, con parenti che non si vedono da tempo e si trova il tempo per recuperare quelle sensazioni che riportano indietro negli anni, un po’ come Proust, tanto per scomodare a sproposito un gigante della letteratura, quando, nella sua Ricerca, riassaporava con l’olfatto le sue adorate madeleine.

Profumi, odori, fragranze che, al giorno d’oggi, sono sepolte, per il resto dell’anno, dall’omologazione olfattiva dei fast food e dei pasti pronti che troppo spesso siamo costretti a trangugiare, stritolati da un ritmo frenetico che ci impedisce di fare della mensa un momento di condivisione non solo del cibo ma anche dei sentimenti. A Pasqua, fortunatamente, tutto rallenta e l’appuntamento quotidiano con la tavola si riappropria per qualche giorno del suo ruolo centrale, grazie anche e soprattutto alle abbondanti libagioni che si susseguono senza soluzione di continuità, fino al fatidico sbottonamento dei pantaloni, causa capacità massima raggiunta.

La Pasqua, come il Natale, ha i suoi riti, religiosi e laici, il suo copione, il suo profumo e i suoi sapori: Pasqua non sarebbe Pasqua se mangiassimo il panettone, sarebbe Natale! Questo assioma vale a tutte le latitudini, sebbene declinato in modi sempre diversi: sono migliaia i manicaretti, gli intingoli, le leccornie pasquali che è possibile assaggiare su e giù per lo Stivale e la loro sopravvivenza, quasi dappertutto, è dovuta a minute signore avanti con l’età che custodiscono decenni di esperienza di vita e di cucina. Donne che, almeno dalle nostre parti, hanno lavorato la terra, allevato la prole, sfamato le famiglie e che non hanno mai negato, nei giorni di festa, la tavola delle grandi occasioni con le preparazioni tipiche del periodo.

Anna, ‘Nnina per i nipoti, ha 94 anni. ‘Nnina, tanti anni fa, era una “meshtra”: quando, una volta, non ci si poteva permettere il ristorante, nelle grandi occasioni come i matrimoni si chiamava la “meshtra” che cucinava a domicilio per i clienti. Volendo usare una parola moderna e molto in voga quest’usanza potrebbe essere definita come l’antenato del catering. ‘Nnina è ancora la “meshtra” per i suoi nipoti e posa, tra il fiero e l’imbarazzato, con la sua ultima creazione pasquale: “lu puddicashtru”. Per chi non lo conoscesse, “lu puddicashtru” è la denominazione latianese del pupo con l’uovo, un classico della Pasqua brindisina. «A casa mia – racconta ‘Nnina – non mancavano mai. Fin da quando ero piccola, tornavamo dalla campagna nei giorni prima della Pasqua e, con la mamma, le zie e le nonne, preparavamo l’impasto con farina, olio, sale, lievito…».

Non di soli puddicashtri, però, è fatta la Pasqua in tavola a Brindisi e dintorni. «Pasta reale, amaretti, spumetti, cupeta… C’erano le mandorle e con quelle preparavamo i dolci». In molti, forse, non avranno mai assaggiato nessuna di queste delizie, almeno non preparate da mani tanto esperte. ‘Nnina potrebbe essere definita un’integralista della tradizione, a casa sua si fa tutto ancora come una volta: le mandorle si macinano ancora con una vecchia macchinetta a manovella e tutti gli utensili, quelli coi quali impasta, stende, lavora, non hanno meno di 50, 60 anni. Ce ne sono addirittura alcuni di più vecchi. «Con gli attrezzi nuovi – sentenzia severa – non si ottiene lo stesso sapore».

Lo stesso vale per le ricette: nulla di scritto, tutto si fa a occhio. Nell’era dello show cooking e del food porn, con cuochi e chef che imperversano 24 ore al giorno su tutti gli schermi a dispensare dosi e ingredienti con precisione d’alchimista, questo è impensabile. Eppure, nonostante l’aleatorietà delle preparazioni, il risultato è sempre eccellente e, incredibilmente, uguale a se stesso, anno dopo anno. Le si crede sulla parola anche se i fatti, garantito, le danno ragione. Finché ci saranno delle donne come ‘Nnina la Pasqua, il Natale, il carnevale e tutte le altre ricorrenze conserveranno il loro gusto inconfondibile. Proteggiamo e coccoliamo tutte le ‘Nnine del mondo, magari cominciando da quelle che abbiamo accanto: nonne, mamme, zie, vicine di casa che sembrano un po’ matte. Nelle loro mani, nei loro cuori c’è un importante pezzo delle nostre tradizioni, delle nostre radici. C’è un importante pezzo di noi.

Maurizio Distante

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