No ad una riforma “pasticciata”

INTERVENTO/In questi giorni di lutto amaro è difficile parlare di vacanze, di feste. Ma ci sono feste che non sono né religiose né pagane ma feste della democrazia. Come lo sono state le feste dell’Unità quando il confronto c’era e la democrazia si respirava nelle discussione sulle tesi politiche.
Oggi “l’ansia da prestazione” sul referendum ha messo in evidenza che questo spessore democratico, che era il sale delle feste dell’Unità, si è assottigliato tanto da farle sembrare delle riunioni di condominio nelle quali le fazioni si fronteggiano come bande. Ed i sostenitori del No al referendum hanno subito un forte ostracismo tale da costringere l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) a disertare le feste dopo essere stati per decenni invitati d’onore.
Renzi ha voluto da subito mostrare i muscoli ma il suo ipertrofismo si è rivelato sterile ed arrogante. Tanto da essere costretto ad una clamorosa marcia indietro con chiamata alle armi dei comitati per il “SI”, passando da una rifondazione dei telegiornali molto più ardita di quella di berlusconiana memoria (mi si perdoni l’accostamento ardito!!!) per renderli più edulcorati e più faziosi.
C’è una difficoltà ad affrontare la discussione con argomentazioni che entrino nel merito della questione e perciò spesso si legge, quale semplificazione fuorviante dei sostenitori del SI, che quello della minoranza del PD sia un NO a prescindere .
Non credo sia così.
Il NO è anzitutto diretto al metodo utilizzato per arrivare al nuovo disegno costituzionale e poi ai contenuti della riforma stessa ed è diffuso tra persone che, come me, cercano di comprendere, con gli strumenti a disposizione, e leggendo ed ascoltando chi propone caldamente il SI, cosa è bene per il Paese e cosa no.
Certo i sostenitori del No a prescindere ci saranno e non saranno pochi. Saranno i NO della “Buona Scuola”, del “Jobs Act”, della spesa per la ricerca sempre più striminzita, della distanza sempre più profonda tra ricchi e poveri, senza contare quelli delle promesse fatte e non mantenute e che si potrebbero sintetizzare in un PIL disastroso e nelle percentuali dei giovani disoccupati.
Ma è stato lo stesso Renzi a chiedere un SI a prescindere, o un NO a prescindere, ponendo il voto referendario come una sentenza ovvero un gradimento sul suo operato di uomo solo al comando, delegittimando in un certo senso qualunque giudizio consapevole ed informato sulla riforma costituzionale e sull’Italicum.
Ha voluto spostare il piano della discussione sulla personalizzazione ma di personalizzazioni la storia politica del nostro paese ce ne riporta di devastanti.
La necessità di cambiare la costituzione è sacrosanta ma cambiarla facendosi prendere dall’ansia da prestazione per dimostrare di essere politicamente prestanti è ben altra cosa.
Coinvolgimento ed ascolto delle opposizioni e delle minoranze avrebbero sicuramente prodotto una riforma meno approssimativa e pasticciata. Come approssimativo appare mettere semplicisticamente in relazione il “ridimensionamento del Senato ” con il risparmio sulla spesa pubblica. Piuttosto perché cercare il consenso dell’antipolitica invece di spiegare che non si è avuto il coraggio di eliminare definitivamente il Senato nell’ottica del superamento definitivo del bicameralismo perfetto? Ma è più importante il superamento del bicameralismo pensato come sistema di contrappesi a garanzia contro eventuali rigurgiti autoritaristici o il risparmio di soldi pubblici?
In verità la riforma costituzionale contiene delle novità importanti ancorché necessarie come la limitazione al ricorso alla decretazione d’urgenza.
Ma se è vero che è sotto gli occhi di tutti la necessità di “ammodernamento” è altrettanto vero che la riforma è assai pasticciata; ad esempio la riforma del Senato che ne prevede la “trasformazione” in espressione delle autonomie territoriali mal si concilia con il mantenimento del divieto di mandato imperativo senza quindi prevedere vincoli stringenti di rappresentanza del proprio territorio.
E’ opportuno, quindi, da qui al referendum, studiare con attenzione la riforma costituzionale che importanti costituzionalisti tra cui Valerio Onida, che ha fatto parte della commissione di saggi individuati da Napolitano per avanzare le proposte di riforma, hanno giudicato negativamente per articolare proposte di aggiustamento che tengano presente sempre meno gli equilibrismi ed opportunismi politici e sempre più la “res pubblica”. E sperare che la stampa offra ulteriori spazi alle tesi del NO.
C’è anche il tema fondamentale della riforma elettorale.
Il 4 ottobre la Corte Costituzionale è convocata a discutere della costituzionalità dell’Italicum a seguito della sentenza del Tribunale di Messina.
Ed infatti è opportuno sottolineare che essa non ha né lo spessore ne la portata della riforma costituzionale. Tuttavia essa è strumento attuativo dei principi di vita democratica del nostro Paese.
Da più parti l’Italicum è stato giudicato un sistema elettorale incapace a garantire rappresentatività democratica e governabilità, in quanto gli eletti non sarebbero espressione degli elettori ma dei partiti. Molte sono state le ricette proposte; tra queste quella del Prof. Giovanni Sartori che ha proposto il maggioritario a doppio turno con il quale gli elettori avrebbero potuto scegliere il proprio candidato ideale. Ma L’Italicum ha in se i medesimi vizi del Porcellum, riproponendo un’eccessiva sproporzione tra i voti e i seggi attribuiti con il premio di maggioranza e la lesione della libertà di voto dell’elettore con il voto bloccato sui capilista, che possono anche essere candidati in più collegi.
La riforma costituzionale e la nuova legge elettorale sono ineludibili ma non credo che fretta ed approssimazione debbano essere le cifre che possano guidarne la gestazione.
In seguito sarà necessario approfondire le ragioni del NO ad una riforma pasticciata e pensata più per dare maggior credito al Presidente del Consiglio che per modernizzare un paese che è incapace anche di immaginare un futuro di crescita.

Con la Carta Costituzionale i padri costituenti hanno inteso fissare i principi ed i fini che lo Stato si pone e sui quali vengono regolati i rapporti con e fra i cittadini.
Sono cambiati i tempi rispetto a quelli in cui la Carta Costituzionale fu scritta ed è quindi necessario cambiare la Costituzione; ma ogni cambiamento di questa natura avrebbe bisogno di essere prima di tutto compreso a fondo e quindi declinato senza colpi di mano.

Cristiano D’Errico

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