BRINDISI-«Alle superiori mi chiamavano Jeff e il soprannome presto si trasformò in Neffa, come il calciatore paraguaiano della Cremonese. Se esordissi oggi userei il mio nome e cognome, ma ormai mi ci sono affezionato». Il Neffa del pallone era un semisconosciuto Gustavo Alfredo Neffa, che, arrivato nella società grigiorossa in prestito dalla Juventus, ebbe in realtà scarsa fortuna nel calcio italiano. Un brocco, insomma, il cui nome, però ha portato fortuna a Giovanni Pellino tanto che, ora, di Neffa ce n’è uno solo ed è quello de “La mia signorina” e di “Molto calmo”, ultima fatica discografica e big thing dell’estate musicale 2013, ospite sabato 10 agosto sul palco di Torre Regina Giovanna, ad Apani, Brindisi.
Svelato l’arcano, procediamo. Chi è Neffa? Non per fare una seduta di psicoanalisi ma, a giudicare dalla varietà e dalla complessità dei tuoi lavori, uno dei quali si intitola proprio “I molteplici mondi di Giovanni, il cantante Neffa”, non si riesce a inquadrare un genere, un cliché in cui inserirti comodamente.
«È talmente tanta la musica che mi piace e che ascolto che ho imparato a farmi guidare da lei. Ho bisogno di mantenere un rapporto sano e franco con la musica e questa cosa va avanti da prima che imparassi a parlare, ce l’ho dentro. Quando suonavo la batteria, (ai tempi degli Impact e dei Negazione, ndr), a un certo punto ho cominciato a sentire che non era quello che volevo fare, così ho mollato e ho fatto altro. Questo mi aiuta anche a mantenere un’onestà nei confronti di chi mi ascolta e di chi ci mette dei soldi per comprare i miei dischi e assistere ai miei concerti. Ho sempre fatto scegliere alla musica la direzione da prendere per muovermi con la massima onestà possibile. Non mi piace suonare o mettere in un cd roba che non mi va di suonare, di cantare o di ascoltare, non faccio calcoli quando compongo le mie canzoni. L’unica bussola rimane la musica, è lei che traccia la rotta».
Il tuo ultimo lavoro, “Molto calmo”, ha sfornato due singoli, la titletrack e “Quando sorridi”, diventati uno dei must musicali di quest’estate. Pezzi così si studiano a tavolino?
«Se fossi così bravo, li avrei fatti tutti così (ride, ndr)! Direi, invece, che ora sono un po’ più maturo e ho imparato a concentrare nelle canzoni la giusta intensità. Ad esempio, in alcuni dischi precedenti ho messo 15-16 canzoni perché avevo tanto da dire. Ora, riascoltandoli, penso che riuscirei a trasmettere le stesse cose in 12-13 pezzi più intensi. A 3 anni dall’ultimo disco, quello con J-Ax, “Due di picche”, e a 4 dal mio ultimo lavoro solista, “Sognando contromano”, ho sentito il bisogno, la necessità, di essere incisivo più che mai. Al decimo disco, uno ci pensa su mille volte e, se si decide di farlo, lo si deve fare solo se si sente la propria musica viva, capace di trasmettere ancora qualcosa a chi l’ascolta. La gente, spesso, conosce solo i singoli ma, per me e per come questo lavoro è concepito, l’album è formato da 12 hit. Ho scritto e suonato aspettando l’ispirazione. Non ci sono scelte effettuate a tavolino e pezzi costruiti ad arte. Ho seguito l’ispirazione e, a volte, bisogna saper aspettare perché l’ispirazione non c’è sempre. E, allora, quando tutto sembra mancare, ci si allena per farsi trovare pronti. Io, ad esempio, in questi casi mi chiudo in studio a provare e riprovare mille soluzioni diverse su quanto ho già scritto e inciso».
Il disco è stato registrato, riporto testualmente, “a casa mia”. Davvero?
«Certo! La tecnologia attuale garantisce una qualità elevatissima in spazi e costi relativamente contenuti. Negli anni ’80, solo per acquistare un ottimo mixer, servivano un miliardo di lire: figurati quanto poteva costare mettere su uno studio! Ora, invece, fortunatamente, non è più così».
Tra i tanti Neffa ascoltati negli anni, ce n’è uno che non si vedeva da tempo, quello che si è affacciato per la prima volta al grande pubblico, il Neffa rapper. Sta tornando, per caso e grazie a “Dove sei” in cui duetti con Ghemon?
«”Dove sei” è un pezzo che ha l’ambizione di essere r’n’b che, poi, in fondo, va a braccetto col rap. L’hip hop, però, è uno stile di vita. Se fai hip hop non fai altre musiche: puoi mischiarlo col jazz, col soul ma ha canoni stilistici ben precisi. Io non riesco ad appartenere a gruppi che fanno di schemi rigidi la propria ragion d’essere, è una cosa che ho scoperto negli anni, durante il mio percorso artistico e musicale. Mi sembra riduttivo rifarsi a una sola corrente: è come se volessimo appiattire la natura che, di per sé, è complessa. Io vorrei poter fare, se ne ho voglia, un disco di polka, dopo “Molto calmo”. Vorrei poter sempre seguire la musica e battere le strade su cui mi porta».
Una settimana fa, sul palco di Torre Regina Giovanna, dove ti esibirai tu il 10 agosto, è salita la tua compagna, Nina Zilli, accompagnata da Fabrizio Bosso. C’è la possibilità, un giorno, di vedervi nello stesso momento, sullo stesso palco per unire le vostre personalità artistiche?
«Penso proprio di sì. Siamo persone che amano profondamente la musica e che la condividono molto. È impossibile che una cosa del genere non accada ma non sappiamo ancora né quando né come. Ma, sicuramente, accadrà».
Maurizio Distante
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