INTERVENTO/ Deposito di gas nel porto di Brindisi: tornano i fantasmi del passato. Quella di collocare a Brindisi un deposito costiero di gas metano è certamente una idea brillante ma solo per chi, nella politica brindisina, ha sempre vissuto di espedienti.
Addirittura tra i “benpensanti” c’è anche chi va oltre e propone di far realizzare a Edison il deposito di gas proprio sulla colmata di Capo Bianco che è stata, nella metà degli anni 2000, il simbolo della lotta al rigassificatore della LNG British Gas.
Proprio la localizzazione di Capo Bianco mise in evidenza il problema, sia per la sicurezza del traffico marittimo ma soprattutto per la stretta vicinanza ad 11 impianti ad alto rischio di incidente rilevante.
Al netto, naturalmente, delle procedure autorizzative viziate dalle tangenti.
Nonostante le arcinote vicende giudiziarie che hanno riguardato la LNG British Gas, che proprio a Capo Bianco voleva costruire un mega bombolone di gas, pare che qualcuno si sia dimenticato di qualche piccolo dettaglio di enorme sostanza.
Quel qualcuno ha dimenticato, o peggio, fa finta di aver dimenticato, che per diverso tempo la cittadinanza e le Istituzioni locali hanno portato avanti un’aspra battaglia per impedire la costruzione di un enorme “mausoleo” a Capo Bianco che avrebbe portato solo mortificazione del porto, ulteriore devastazione ambientale e un ulteriore grosso rischio di incidente rilevante per tutta la città e le zone adiacenti.
Ci fanno sorridere certe dichiarazioni rese a mezzo stampa da parte di alcuni esponenti politici locali e regionali che, secondo loro, intravedono una irrinunciabile possibilità di sviluppo dell’area portuale con un grosso deposito di gas costruito proprio nello stesso identico luogo dal quale fu cacciata in malo modo la multinazionale inglese.
La solita scusa di dare risposte al dramma occupazionale di questa città è il cavallo di troia per infilare tutto l’inverosimile, non fosse altro che in funzione degli interessi particolari dei “soliti pochi”.
Questi “soliti pochi” sono abili nel perverso gioco al ribasso del ricatto occupazionale, economico e sociale.
Basta fare leva sulla debolezza e pochezza politica cronica in cui versa il territorio brindisino da qualche decennio a questa parte, propagandare fischi per fiaschi e… les jeux sont faits, rien ne va plus.
Ma poco importa per costoro se ancora una volta a pagare le conseguenze di scelte scellerate come questa è l’intero territorio brindisino.
E’ vero, zes, zone franche doganali, recovery found, next generation UE, e altro ancora stanno facendo luccicare gli occhi a molti “approfittatori” improvvisati dell’ultima ora.
La disgrazia vera è che tra questi ci sono anche i nostri bravi “benpensanti” che sono così convinti di aver ragione tanto da arrivare a credere di poter fare affari approfittando, appunto, del buio della mancanza di una idea di un modello di sviluppo alternativo e fatto a misura dei bisogni della città e, se vogliamo, del pianeta nel senso lato.
Non è una coincidenza che la Commissione bilancio e programmazione del Consiglio Regionale presieduta da Fabiano Amati di recente ha previsto di candidare al finanziamento di ben 100 milioni di euro, tramite il recovery found, proprio Capo Bianco per il rifacimento delle banchine (in origine ne erano stati previsti addirittura 20 milioni di euro!).
A questo punto ci viene spontaneo immaginare che le bitte lungo le banchine e le catene dei parabordi da banchina saranno certamente in oro massiccio 24 carati!
Nella stesura del piano regionale di proposte progettuali da candidare al finanziamento tramite il recovery found per il settore ambiente è previsto uno stanziamento di circa 2 miliardi e mezzo di euro.
Buona parte di queste somme saranno destinate alle bonifiche dei siti inquinati importanti come il sito ex fibronit e altri ancora.
Ma guai a destinare un solo centesimo alla vera bonifica di Micorosa, la più grande discarica abusiva mai realizzata in Europa, estesa per una superficie di 50 ettari, con una profondità media di 9 metri nella quale ci sono stoccati circa 1 milione e mezzo di metri cubi di rifiuti tossici, nocivi e cancerogeni!
In ogni caso il vergognoso assalto alla diligenza è iniziato e si fa sempre più spinto.
In Italia ormai questo squallore si sta diffondendo a tutte le latitudini e Brindisi non può permettersi il lusso di rimanerne fuori.
Invece Brindisi per il prossimo futuro ha bisogno di una progettazione più organica e coerente indirizzata al raggiungimento dei traguardi della Unione Europea di eliminare del 55% le emissioni climalteranti per renderle neutre entro il 2050.
Non è da molto che il Comune di Brindisi ha dichiarato l’emergenza climatica con un atto politico ben preciso che guarda al futuro, verso una transizione energetica che deve vedere il progressivo abbandono delle fonti fossili.
Brindisi ha subito i drammi e le devastazioni in nome di un modello di sviluppo portato in dote dalle multinazionali della chimica e dell’energia che hanno imposto solo la logica del profitto a prescindere.
Brindisi ha bisogno di cambiare direzione per scrollarsi di dosso un trascorso infelice pesantemente segnato dalle storture di un sistema deleterio.
E purtroppo, vuoi per la memoria corta e vuoi per la cattiva abitudine di arraffare tutto l’arraffabile di questi nostri simpaticissimi “benpensanti”, a Brindisi stanno tornando i fantasmi del passato.
Movimento No Tap provincia di Brindisi
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