BRINDISI – Michele Placido è ‘Re Lear’ al Teatro Verdi di Brindisi. La vertigine del potere e la fragilità umana al centro di una delle più spietate opere di William Shakespeare. Coregista e protagonista Michele Placido, il dramma elisabettiano è in scena al Nuovo Teatro Verdi i prossimi 18 e 19 febbraio (ore 20.30).
Le parole sublimi di William Shakespeare accendono le passioni, mettono a nudo fragilità e segrete inquietudini, ambizioni e paure, in un’affascinante indagine sull’animo umano: racconta la voluttà del potere, la superbia, l’ira e la cecità dei mortali, e l’amaro insegnamento del dolore che spinge a riconoscere la verità.
È Michele Placido a curarne la regia (con Francesco Manetti) e a vestire i panni del vecchio e volubile sovrano dei Britanni, una delle figure più complesse e affascinanti del teatro shakespeariano, in cui si riuniscono la regalità e la fragilità della vecchiaia, l’abitudine al comando e l’improvviso precipizio in cui viene a cadere, l’irruenza giovanile e la tempra del patriarca.
Un testo immortale. E come tutti i capolavori della letteratura universale capace di adattarsi ai tempi e di essere sempre attuale. Scritta tra il 1604 e il 1606, poco dopo l’incoronazione di Giacomo I, la tragedia di «Re Lear» segna la fine di un’epoca. Per questo nello spettacolo di Michele Placido il palcoscenico in cui si muovono i personaggi è disseminato di macerie: sono i simboli del ciclo continuo di catastrofi e ricostruzioni. Ed è proprio qui, nel sangue e nella distruzione, che si intuisce ancora una volta il potenziale di rinascita, la speranza ultima e profonda che risiede nei valori dell’amore e della verità.
Lo specchio del mondo di oggi. Shakespeare esplora il mistero dell’umanità, che disperde semi di violenza e autodistruzione e sembra non imparare spargendo nei secoli gli stessi orrori. Lear esprime in questo dramma l’incapacità di tolleranza nei rapporti umani e civili. Ma le catastrofi sono davvero inevitabili?
La tragedia è una metafora illuminata sull’amore e il dovere, sul potere e la perdita, sul bene e il male, racconta della fine di un mondo, del crollo di tutte le certezze di un’epoca, dello sgomento dell’essere umano di fronte alla misteriosità delle leggi dell’universo. Lear è un re che rinuncia al trono per tornare a essere uomo tra gli uomini. Da questa abdicazione, che è l’abbandono delle convenzioni che tengono insieme l’organismo sociale, egli riparte. Spogliato ormai dal proprio ruolo intraprende un percorso alla ricerca della comprensione di se stesso.
La metafora è tutta qui: l’uomo cade sotto il peso dei suoi stessi errori, l’umanità si ritrova al buio ma la comprensione delle sue malefatte la aiuta a rialzarsi e riprendere il filo della civiltà. La storia è drammaticamente ciclica. E occorre passare dal dolore, dalla pazzia, dal rimorso, per potersi riappropriare della ragione. Il palcoscenico è la distruzione del mondo. Lear affronta la fuga e l’esilio ed è finalmente costretto, in un’amara presa di coscienza, a fare i conti con gli errori del passato, fino a cadere nella follia; solo passando attraverso il dolore, ritrova il senno e la ragione, giusto in tempo per comprendere appieno l’orrore e il peso della sua disgrazia. Abdica dall’essere centro del mondo per rifarsi bambino.
La psiche di Lear va in frantumi, e con lui il mondo intero. La natura si scatena, gli uomini, nudi e impauriti, lottano per la loro sopravvivenza. «Re Lear» mette in scena un testo che nella sua visione della società è più contemporaneo che mai e mette alla prova il talento di un attore come Michele Placido che ha raggiunto, dopo i successi in teatro e sul grande e piccolo schermo, la piena affermazione artistica.
Michele Placido, interprete e coregista, firma anche la traduzione e l’adattamento del testo con Marica Gungui. Accanto al protagonista spiccano i nomi di Gigi Angelillo (Conte di Gloucester) e di Francesco Bonomo (Edgard), Federica Vincenti (Cordelia) e Francesco Biscione (Kent). Originale anche l’impianto scenico. Non esistono quinte e gli attori, quando non sono in scena, restano sempre alla vista del pubblico e spettatori di se stessi. Un paesaggio da fine del mondo è ben rappresentato dalla scenografia di Carmelo Giammello. Sul palcoscenico, da una gigantesca corona crollata tra le macerie (simbolo del potere) emergono infatti i volti della storia.
BrindisiOggi
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