Marco, l’infermiere che si è ammalato di Covid aiutando gli altri, ora è di nuovo in corsia

BRINDISI- (Da Il7Magazine) “Per un mese ho combattuto il Covid da solo, sono un infermiere e in qualche modo me la sono cavata ma oggi vedere la gente ricoverata stare male è dura” sono le parole di Marco Urso, un ragazzo di soli 23 anni che qualche mese fa si è scontrato con il male del nostro secolo: il Covid. Marco, infermiere di professione, si è infettato facendo il suo lavoro nel centro di riabilitazione San Raffaele di Ceglie Messapica. Per un mese intero è stato ostaggio del virus e per ovvie ragioni ha dovuto affrontare il suo calvario da solo. Oggi sta bene, ha superato la malattia e senza esitare è tornato in corsia, in uno dei reparti più difficili dell’ospedale Moscati di Taranto, quello degli Infettivi dove la gente la monitori attraverso le telecamere. Nonostante Marco sia un ragazzo forte non nasconde la difficoltà di scontrarsi ogni giorno con gente che soffre. Ma la sua esperienza personale gli ha insegnato tanto ed oggi, fortunatamente, la può raccontare.

“Sino ad aprile scorso lavoravo nel centro di riabilitazione della Fondazione San Raffaele di Ceglie Messapica, all’epoca decisi di trasferirmi in alcuni alloggi uso foresteria della struttura sanitaria per evitare di stare a casa con la mia famiglia- dice Marco- Facendo l’infermiere rischiavo di contagiare non solo me ma anche loro”. E’ fine marzo quando nella clinica saltano fuori i primi contagi da Covid. Dapprima una fisioterapista e poi a ruota 22 pazienti e 10 operatori sanitari, incluso il primario della struttura. Marco Urso è tra quei dieci operatori ma il primo tampone a cui si sottopone, stranamente, risulta negativo.

“Il primo aprile, quando in clinica erano già scoppiati i primi casi di Covid , mi sottoposero a tampone,  con me altri miei colleghi. Ma l’esito del mio all’inizio fu negativo. Dopo qualche giorno però cominciai a non sentirmi bene- racconta- Lo ricordo ancora era 15 aprile ed avevo appena finito il turno di pomeriggio. In quei giorni mi ero di nuovo trasferito, vivevo in un piccolo appartamento da solo. Quel pomeriggio quando tornai da lavoro avevo la febbre e problemi intestinali. Man mano che passavano le ore la febbre aumentava. Ho trascorso giorni con la febbre sino a 41, solo in casa, senza che nessuno potesse venire ad aiutarmi. Mia madre era disperata, voleva venire da me ma io non gliel’ho mai permesso. Il momento più difficile era la notte. Stare solo con la  febbre altissima, se succede qualcosa,  non sai come va a finire”.

Sono state settimane difficili per Marco, stava male ma anche in quel frangente il suo pensiero è sempre stato per gli altri. “Ho avuto il Covid per un mese intero. E una delle mie più grandi preoccupazioni era quella di non infettare gli altri. Fare l’infermiere è un mestiere che ho scelto e conosco i rischi ma chi mi sta intorno no- dice- Per questo la mia preoccupazione maggiore è sempre stata la mia famiglia e chi mi stava intorno. In un certo senso ho sempre pensato di sapermela cavare anche nei momenti difficili”. Il calvario del giovane infermiere è durato esattamente un mese, un mese in cui il 23enne ha dovuto fare i conti anche con la solitudine. “Ho sofferto tanto la solitudine in quel mese. Ero in casa solo e ogni giorno c’era qualcuno che mi portava da mangiare. Bussavano alla porta e lasciavano per terra le buste per poi andare via- racconta- Ogni tanto dal vetro della finestra vedevo i miei amici che passavano e si mettevano dall’altro lato del marciapiede per salutarmi. E’ stata dura. Il lockdown era finito il 4 maggio e la gente usciva finalmente da casa , non io che ero ancora intrappolato dal virus. E’ stato come se fossi in carcere”. Oggi Marco è guarito ma l’emergenza sanitaria c’è e la vive come un grande fardello da portare avanti. La sofferenza degli altri è anche un po’ la sua perché lui sa cosa significa combattere contro questa malattia.

“La paura del Covid c’è ancora ed è tanta. Lo vedo ogni giorno negli occhi delle persone che sono ricoverate. Oggi lavoro al Moscati di Taranto, nel Reparto Infettivi. Qui sono ricoverate 28 persone per Covid , quando passo al mattino le vedo da un monitor grazie a delle telecamere. E’ pesante vederle in quelle condizioni- racconta Marco- La gente ancora oggi non si rende conto del pericolo e delle conseguenze. E’ assurdo perché da marzo ad oggi la situazione è cambiata, è peggiorata se vogliamo. La scorsa volta era tutto più chiaro, contenuto, quando c’era un contagio si riusciva a circoscrivere i contatti e identificare le persone con cui il contagiato era stato. Oggi non è possibile, è complicato. I contatti non sono più tracciabili. Tutti sono a contatto con tutti”.

La guarigione ha dato a Marco una grande opportunità, quella di poter aiutare le altre persone affette da Covid. Questo giovane infermiere è diventato un donatore di plasma iperimmune. Grazie alla sua carica anticorpale può accelerare il processo di guarigione , là dove è possibile, delle persone contagiate. Marco da giugno a novembre ha già donato il suo plasma ben due volte.

“Oggi non sono più io il pericolo , ho un anticorpale molto alto che mi permette di aiutare anche gli altri con la donazione del plasma- dice- Quando ne ho sentito parlare alla tv, è stata una scoperta. All’inizio non sapevo che anche in Puglia si potesse fare. Mi sono documentato ed ho deciso di chiamare Bari. Qui mi hanno detto che anche  Brindisi era possibile donare il plasma. La prima volta che ho donato il plasma è stato il 9 giugno. E’ un semplice prelievo, il sangue viene filtrato dal plasma e ciò che resta viene rimesso in circolo, l’ago del prelievo è un po’ più grosso, magari perdi un’ora di tempo ma quell’ora serve a salvare un’altra vita . Dopo sei mesi sono tornato, i miei anticorpi erano ancora molto alti e così lo scorso 26 ottobre ho potuto donare un’altra volta”.

Lucia Pezzuto per Il7Magazine

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