“L’Italia alla canna del gas: L’unica indipendenza energetica si ha con le fonti rinnovabili”

INTERVENTO/ Si sta diffondendo una interpretazione delle ragioni della lievitazione del prezzo del gas e del caro bollette assolutamente non credibile e collegata alla guerra in Ucraina.

Il prezzo del gas è passato da 19 euro per MW/h all’inizio di gennaio 2021 a 180 euro per MW/h alla fine di dicembre dello stesso anno, per poi scendere anche al di sotto di cento euro per megawatt/h in piena guerra. Contestualmente, essendo i costi energetici direttamente fondati sul prezzo del gas, si è assistito già nel 2021 ad un sensibile rialzo dei costi in bolletta ed a guadagni stratosferici per le imprese del settore energetico e di quelle di produzione di energia elettrica, le quali nel 2021 hanno avuto extra ricavi pari 8,6 mld di euro, in gran parte giustificati dal prezzo “spot” del gas, mentre in realtà, gli acquisti di combustibile, circa pari all’80%, risalivano ad un periodo abbondantemente precedente.

Molta parte dei costi di materie prime e vari comparti industriali, hanno subito gli effetti di bolle speculative, ma è ingiustificato l’attribuire la causa diretta alla guerra e lo è anche il rimpiangere la non realizzazione di rigassificatori, per non parlare di chi oggi chiede di non rispettare gli impegni europei per la decarbonizzazione al 2025 e quelli di ridurre le emissioni climalteranti del 55% entro il 2030 e di azzerarle entro il 2050.

La realpolitik dei governi europei, che ha compresso il forte aumento dello sviluppo delle fonti rinnovabili registrato fra il 2010 e il 2013, ci ha sempre più reso dipendenti dal gas russo che oggi corrisponde ad un consumo annuo in Italia di 29 mld di metri cubi su un totale di 75 mld di metri cubi.

Il governo italiano dice di voler puntare all’indipendenza energetica e assume provvedimenti motivati dall’emergenza attraverso il decreto energia o il decreto aiuti, da un lato giustamente sostenendo comparti economici in difficoltà e famiglie, dall’altro non liberalizzando semplicemente procedure autorizzative da fonti rinnovabili, ma decidendo di aumentare “provvisoriamente” la potenza in esercizio di centrali termoelettriche a carbone (che hanno gruppi già dismessi e bonificati) e di nominare commissari per la realizzazione, calata dall’alto, di impianti che aumentino la fornitura di gas, quali le navi rigassificatrici a bordo.

Va sottolineato che nessuna delle soluzioni previste offre risposte immediate o rapide per diminuire o annullare la dipendenza dal gas russo e che la scelta eticamente condivisibile di tagliare quel miliardo di euro che l’Europa da ogni giorno alla Russia, non può certamente giustificare intese, a costi elevatissimi, con paesi altrettanto eticamente discutibili quali l’Egitto (caso Regeni docet) e il Congo che non sta offrendo alcun contributo nella ricerca della verità e dei responsabili dell’omicidio dell’ambasciatore Attanasio.

Le soluzioni previste daranno risposte fra la fine di quest’anno e la fine del prossimo e, nel frattempo, sarà necessario continuare a ricevere il gas russo.

Il GNL, a partire da quello degli Stati Uniti, ha costi enormi di fornitura, di trasporto e di rigassificazione. In particolare, le navi comportano i costi già annunciati dal ministro Cingolani per l’affitto (500 mln), ma anche costi enormi di ancoraggio davanti ai porti prescelti (c’è chi dice 15.000 euro al giorno), la necessità di rigassificare il GNL trasportato sulle gasiere a -160° con acqua di mare da reimmettere e la costruzione di una Pipe Line, da stabilizzare e mettere in sicurezza, di collegamento con la rete gas.

È evidente che ciò che viene rappresentato per colpire l’immaginario collettivo e sostanzialmente per favorire chi non vuole affatto l’uscita dai combustibili fossili (ENI in primis), utilizza la guerra come pretesto e altrettanto fa per quel che riguarda l’emergenza economica ed energetica, non riuscendo, fra l’altro, ad uscire dal giogo dell’anomala borsa di Amsterdam che controlla il mercato del gas.

La verità è che l’Italia è assolutamente inadempienti rispetto agli impegni assunti per quel che riguarda lo sviluppo delle fonti rinnovabili (0,8 GW/h all’anno invece delle 8 GW/h previste) e che sarebbe possibile, come l’organizzazione di Confindustria Elettricità futura ha ribadito anche a Brindisi in un convegno organizzato da Legambiente e CGIL, realizzare 60 GW di impianti da fonti rinnovabili in tre anni (Legambiente, Green Peace e WWF ne prevedono 90 entro il 2026), tagliando di 15 mld di metri cubi all’anno la dipendenza dal gas russo e quindi azzerandola in due anni, ma contemporaneamente investendo 85 mld di euro e creando migliaia di posti di lavoro nella intera filiera di fonti rinnovabili e cioè nella realizzazione e nella componentistica degli impianti, nella loro gestione e manutenzione e in quella delle reti intelligenti, nell’accumulo e nei pompaggi dell’idroelettrico (6,6 GW), nelle Hydrogen Valleys e nella mobilità.

Paradossale è il fatto che ENEL riconfermi la volontà di chiudere le centrali termoelettriche a carbone entro il 2025, di costruire poli energetici delle rinnovabili e filiere produttive che non si limitino ai pannelli fotovoltaici per 4 GW da creare a Catania, nel mentre c’è chi vuole lasciare il Paese alla canna del gas e non trasformare i poli energetici più compromessi, quali quello di Brindisi e Civitavecchia nel fulcro dei nuovi poli di produzione energetica e nelle nuove realtà industriali fondate sulle rinnovabili, addirittura ipotizzando proprio a Brindisi la collocazione di una delle costosissime navi di rigassificazione a bordo.

 

Doretto Marinazzo

Gruppo di lavoro energia Legambiente Onlus e responsabile commissione energia Legambiente Puglia.

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