BRINDISI- ( da il7 Magazine) Questa terra la conosceva già bene, arriva a dirigere la procura di Brindisi dopo anni nella direzione distrettuale antimafia di Lecce. Cataldo Motta nel 2016 lasciò proprio a lui la guida della Dda. Antonio De Donno da oltre tre mesi è a capo della procura brindisina e sin da subito ha dovuto fare i conti con le emergenze del territorio.
Gambizzazioni, sparatorie per strade, nell’ultimo mese questa città sembrava ripiombata negli anni 90. Che cosa sta succedendo?
Intanto con gli arresti lo Stato ha dato una risposta decisa ed immediata. Un segnale forte che è un importante deterrente per dimostrare che non lasceremo spazio alla ripresa di questi fenomeni criminali. C’è stato un rigurgito improvviso di violenza che non ha una spiegazione, che non si inquadra in vecchie logiche di mafia. Perché non tutta la criminalità è mafia.
Che cosa rappresenta questa guerra allora?
Parlerei meglio di gruppi che hanno preso il sopravvento per il controllo del territorio, e si è scatenata la lotta. Abbiamo però impedito al gruppo di crescere. Si è trattato di un episodio.
Che tipo di criminalità è quella dell’intera provincia?
Restano i clan storici. Ma soprattutto è evidente una forte microcriminalità. Ci sono multi furti e rapine e qualche estorsione. Nella provincia in particolar modo c’è il fenomeno del caporalato ancora molto vivo. Ma quello che preoccupa è una certa tendenza al disagio familiare. C’è un disagio sociale diffuso. Troppi sono i casi incendiari, soprattutto di autovetture, di difficile interpretazione. Lo stesso accade anche nel leccese. Ma in generale le denunce in questa provincia mantengono la media del Salento.
Quale è la sua prima fotografia su Brindisi?
Le classifiche ci dicono che è la terzultima città per povertà e la penultima in questioni ambientali. Tutto questo è evidente. C’è un disagio socio-economico e ambientale. È una città ripiegata su stessa che non riesce a fare il salto di qualità nonostante abbia tutte le risorse. Porto, aeroporto. E soprattutto vedo una grande differenza tra il capoluogo e la provincia, quest’ultima è riuscita a puntare sulle sue eccellenze. Il capoluogo è immobile.
Perché questa differenza secondo lei?
Penso che delle responsabilità siano da ritrovare negli anni del contrabbando in cui in tanti si sono cullati con quella ricchezza. Brindisi non ha ancora completato il percorso complesso dopo l’ uscita . Ma io sono fiducioso, vedo uno spiraglio, perché in questi mesi ho notato che c’è tanta gente che non vuole accettare questa marginalità e cerca un riscatto. Una gran fetta di popolazione vuole trovare una strada per un percorso virtuoso. La città però ha bisogno di più modelli istituzionali anche amministrativi ed economici. Serve sinergia tra gli enti.
La nuova campagna elettorale è vicina. Ci sono diverse inchieste giudiziarie che riguardano alcuni progetti del Comune di Brindisi. Sarà fatta chiarezza prima delle elezioni?
La magistratura non fa calcoli politici. Ma le dico solo che le indagini sugli interessi pubblici saranno trattate con priorità. Così come una particolare attenzione sarà rivolta alle questioni ambientali e alla tutela dell’economia legale.
Nella provincia di Brindisi ci sono sei comuni commissariati, a breve si potrebbe aggiungere anche Francavilla Fontana. Negli ultimi anni ben quattro sono stati i sindaci arrestati. Quanto questo influisce sullo sviluppo del territorio?
C’è un’esigenza di normalità. Devono governare gli enti locali e non lo Stato. Il mio auspicio è che le amministrazioni tornino a essere gestite dai sindaci. Noi facciamo il nostro lavoro, non vogliamo comuni commissariati. La magistratura non interferisce con la politica. Hanno due compiti diversi e separati. Non possono collaborare ma neanche entrare in conflitto. Uno controlla l’altro. A parte l’operato della magistratura c’è anche una debolezza politica, che non è tipica solo del Brindisino. C’è qui una classe imprenditoriale che meriterebbe maggiori supporti. I presupposti ci sono mancano i supporti.
Cosa intende per supporti?
Serve una politica forte che lavori in sinergia con associazioni e enti per creare economia. Mancano punti d’incontro.
Durante un incontro pubblico lei ha detto che la mafia vince contro lo Stato sul piano dell’immagine. Vuol dire che non c’è via d’uscita?
No. Una via d’uscita c’è. Ci siamo resi però conto che la mafia imprenditrice, quella che investe, dà lavoro, crea ricchezza, ma quando noi andiamo a sequestrare interferiamo su situazioni occupazionali. Loro danno lavoro, noi lo togliamo. La collettività si sente depauperata. Per questo servono strumenti legislativi compensativi. E un importante passo avanti su questo è stato fatto. Il 19 novembre prossimo entrerà in vigore il decreto legislativo che modifica il codice antimafia. In questo provvedimento sono state inserite delle misure che danno maggiore tutela all’esigenze economiche affinchè le imprese, e quindi i lavoratori, vengano salvaguardati. Bisogna rimettere queste realtà imprenditoriali nel circuito economico. Solo allora lo Stato sarà più forte. Perché è chiaro che tanti disagi familiari e sociali dipendono dalla mancanza di lavoro.
Lucia Portolano
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