INTERVENTO/Miei cari figli,
Il sacrificio di Cristo è un mistero profondo di amore che non si finirà mai di meditare.
In quest’anno dedicato alla riflessione pastorale sul vangelo della famiglia, vorrei concentrarmi specialmente sul sacrificio di Cristo come sacramento di unione e di riconciliazione.
San Paolo, nella lettera agli Efesini, definisce i suoi lettori «non più stranieri, né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19); questa novità è frutto del sangue di Cristo, che ha avvicinato i lontani, ha abbattuto con la sua carne l’inimicizia, ha riconciliato ciò che era diviso in un solo corpo per mezzo della croce (cf. 2,14-18).
Negli ultimi anni stiamo assistendo a rotture di trattati politici e a irrigidimenti internazionali. Queste crisi diffuse sono uno specchio delle fragilità sociali che interessano la cellula primaria della comunità umana, che è la famiglia. Le crisi familiari sono sempre esistite, ma spesso il pudore, la fede viva, senza trascurare certi condizionamenti sociali e religiosi, permettevano a una coppia di portare avanti la relazione, nonostante tutto. Oggi questa forza interiore sembra svanita. È più facile dividersi che rinvigorire l’unità. Gli ideali sono tramontati e rimpiazzati dall’individualismo per cui è giusto ciò che mi fa stare bene, al punto da sentir dire spesso che l’amore non è per sempre.
Noi cristiani non possiamo adeguarci. Il sacrificio di Cristo ci ha rinnovati e ci dà la possibilità di essere testimoni dell’amore immortale e, se ferito, risanante. Il peccato e le fragilità umane non prevalgono, se c’è la volontà di amare come Cristo, che è morto per salvare tutti, anche i nemici.
Il Papa più volte insiste nell’eliminare dal nostro vocabolario l’uso del termine “irregolare” per definire certe unioni familiari che non corrispondono alla prassi sacramentale. Occorre amare perché cristiani, educando al discernimento e all’ascolto di Dio, senza mai far sentire ai margini. Le parrocchie devono rimettere al centro dei loro progetti come costruire l’unità, che si ottiene amando tutti i membri della comunità come Cristo: amare tutti cristianamente, cioè non in base all’ossequio che ci viene riservato o al modo con cui si opera nella Chiesa, ma sacrificandoci.
Per la propria famiglia ognuno sarebbe disposto a dare tutto. Ebbene, san Paolo ci ritiene «familiari di Dio» e per questo dobbiamo costruire nei nostri ambienti ponti e non divisioni.
La celebrazione dei misteri pasquali ci rinnovi il cuore e ci doni occhi nuovi per amare tutti indistintamente e per fare delle nostre comunità cristiane una famiglia che ha per pietra angolare Cristo, morto e risorto per noi. Preghiamo per tutte le famiglie in difficoltà e per quelle che cercano sinceramente Dio. Il Signore ci doni famiglie sante che sappiano parlare ai giovani e li sollecitino a scelte forti in nome del Dio della vita.
Santa Pasqua,
Domenico Caliandro,
arcivescovo Brindisi Ostuni
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