BRINDISI- (Da Il7 Magazine)Giampiero Carvone è stato ammazzato con un colpo di pistola alla testa a soli 19 anni, ma dietro la sua morte non c’è solo la mano del killer che ha premuto il grilletto, c’è la responsabilità civile di un territorio, istituzioni comprese, che troppo spesso dimentica di dare una possibilità ai propri figli. E’ quello a cui si pensa quando si percorrono le strade del quartiere Perrino di Brindisi, quel quartiere dove Giampiero è nato, cresciuto e morto prematuramente, quel quartiere dove oggi migliaia di ragazzi come Giampiero vivono.
Il Perrino è un rione periferico, sorge tra il cimitero comunale e la zona industriale, schiacciato dall’indifferenza del resto della città, vive di vita propria. Entrare qui è come entrare in una piccola comunità dove tutti conoscono tutti, dove ciascuno conosce i fatti degli altri e dove gran parte delle persone sono imparentate. Qui si dice che chi nasce al Perrino si sposa solo con gente del Perrino, perché i ragazzi crescono insieme, si conoscono tutti e si innamorano tra di loro. Si vive condividendo le gioie ma soprattutto i dolori e qui di dolori ve ne sono tanti. La maggior parte delle famiglie residenti in questo quartiere vive di stenti e di espedienti. I padri di famiglia non hanno un lavoro, se non saltuario, e mettere il piatto a tavola ogni giorno non è semplice soprattutto quando ci sono i figli. E’ per questo che talvolta la conoscente, la vicina di casa diventa una risorsa. E’ come una società di mutuo soccorso, chi può aiuta l’altro. Ma a volte tutto questo non basta. Le strade sono dissestate, non vi sono negozi se non un panificio e un bar sulla via principale e una rivendita di tabacchi. Però vi sono tanti ruderi, una scuola abbandonata, dove sino a qualche tempo fa vi abitavano abusivamente venti famiglie e una delegazione chiusa da anni di cui restano solo macerie. E poi c’è una piazzetta che costeggia via Tevere e si trova esattamente dinnanzi alla chiesa Cuore Immacolato di Maria, dove lo scorso lunedì si sono celebrati i funerali di Giampiero Carvone. Sulla quella piazzetta i ragazzi si riuniscono, parcheggiano i motorini, fumano, chiacchierano, crescono. Che sia giorno o che sia notte quello resta il punto di ritrovo e difficilmente ci si sposta per andare altrove. Oggi parlare con questi ragazzi è difficile, nessuno se la sente di commentare l’assassinio del loro amico. Sono scossi, turbati ma ancora di più increduli. “Io non mi rendo conto di quello che è successo- prova a dire una ragazza- ancora non ci credo. Ho passato una settimana a piangere per Giampiero e ieri averlo visto in una bara non mi è sembrato vero”. Troppo piccoli per affrontare un dolore, troppo piccoli per comprendere una morte così violenta. Per conoscere questi ragazzi e capire quello che provano e vivono sulla loro pelle bisogna andare oltre, oltre le apparenze e i luoghi comuni così come fanno gli operatori di Punto Luce, l’unico centro di servizi sociali che opera nel quartiere.
Qui cinque operatori ogni giorno dedicano il loro tempo a centinaia di ragazzi e alle loro famiglie nel tentativo di strapparli alla povertà educativa che li circonda. Nato nel 2014, in fase sperimentale come centro di aggregazione e poi come Punto Luce, fornisce due servizi: uno si occupa di seguire i bimbi da 0 a 6 anni con le loro famiglie e un altro segue i ragazzi dai 6 a 17 anni. Punto Luce è l’unico presidio sociale presente al Perrino, l’unico che indica la presenza del Comune nel quartiere, la sola struttura rivolta ai giovani. Qui si fa accompagnamento allo studio per le scuole elementari e medie, e poi una serie di attività ludiche e sportive.
“Noi abbiamo ogni giorno 60 bambini che vengono per fare accompagnamento allo studio- spiega Salvatore Barbarossa che da 11 anni lavora come operatore sociale ed educatore- Non riusciamo a prenderne di più al momento perché siamo solo cinque operatori. Abbiamo un bellissimo rapporto con tutte le famiglie, tra di noi c’è un legame forte”. Salvatore, come le sue colleghe, opera tutti i giorni, scende per strada, talvolta recupera i ragazzi anche da casa e li porta nel centro di Punto Luce.
“Noi non possiamo avere la pretesa di cambiare la cultura da un giorno ad un altro. Se c’è una cultura della morte, se c’è una cultura mafiosa , se c’è una cultura della devianza, uno dei principi cardine è quello di non pretendere, di non puntare il dito giudicante, ma bisogna tentare di stare affianco a queste persone per portarle su percorsi migliori, più sicuri- dice Salvatore- E’ importante andare per strada, far vedere che in te possono trovare una persona con cui parlare e una mano che li può aiutare e che se poi vengono al centro possono trovare più di un operatore sociale disponibile. Anche con i ragazzi funziona così, non puoi metterti su di un piedistallo e giudicare. Bisogna anche capire che ci sono famiglie che si mantengono grazie ad alcuni espedienti. Non glieli puoi togliere di punto in bianco, gli devi offrire un’alternativa”.
Ma al quartiere Perrino l’alternativa non c’è e se c’è si chiama “fame”. Sono decine le famiglie che ogni giorno si rivolgono alla parrocchia chiedendo un aiuto. Molta gente qui non ha i soldi per fare la spesa e mettere un piatto in tavola per i propri figli, gli uomini spesso chiedono persino le lamette per potersi fare la barba. Ed allora, dinnanzi alle difficoltà, qualcuno cerca altre strade, quelle che noi definiremmo le strade dei soldi facili. Ma in realtà di facile in questo quartiere non c’è proprio nulla.
“Io sono convintissimo che uno dei fattori importanti che creano la devianza è la logistica del quartiere, non è semplicemente trovarsi in periferia ma un quartiere come il Perrino è un quartiere chiuso a sandwich tra la zona industriale e cimitero- spiega Salvatore- Cosa si può venire a fare al Perrino, qui non ci sono negozi. Uno viene se ha un parente, un amico da andare a trovare, altrimenti cosa ci va a fare in un quartiere simile. Nulla. Non ci sono strutture sportive, non ci sono particolari luoghi di incontro anche la piazzetta è un luogo chiuso, nel senso che è frequentata solo dai ragazzi della zona e come tutti gli ambienti chiusi se aggiungi un nuovo elemento qualcosa cambia”. Si dice infatti che chi nasce al Perrino muore al Perrino, nessuno entra e nessuno esce. Ma anche per questo è una questione culturale da qui il ruolo degli operatori sociali che cercano di recuperare questi ragazzi dalle strade coinvolgendoli in attività che li aiutino a guardare oltre.
“Fino a ché la città non si accorge che bisogna cambiare il sistema educativo non si andrà avanti. Così come per ogni soggetto, per ogni bambino c’è il cosiddetto Pei, Programma educativo individuale, così per ogni quartiere bisogna creare un sistema educativo ad hoc- dice Salvatore- Ad esempio il rione Paradiso ha una connotazione diversa da quella del Perrino. Al Paradiso c’è stato un riciclo dell’economia che al Perrino non c’è stato. Al Paradiso hanno costruito le case per i dipendenti della polizia, hanno aperto i supermercati. Qui non c’è nulla di tutto questo. Eppure ho visto tanti ragazzi in gamba, desiderosi di imparare se solo ne avessero l’opportunità. Però probabilmente uno dei problemi di molti sono i punti di riferimento”. Avere un’opportunità vuol dire poter sperare di avere una vita migliore e le opportunità le hai se c’è chi te le fa vedere, da qui l’importanza dei punti di riferimento, come dice Salvatore. I ragazzi di questo quartiere spesso non hanno qualcuno che li sproni a cambiare a scegliere una strada piuttosto che un’altra e le stesse famiglie hanno ben altro a cui pensare. “I ragazzi di questo quartiere sono molto diversi tra di loro ma anche rispetto a quelli degli altri quartieri- prosegue- Una cosa bella è che i nostri ragazzi non sono poi così legati alla tecnologia, amano ancora stare per strada e giocare a pallone, c’è ancora una parte genuina di questi ragazzi che non puoi non notare se fai un giro da queste parti. Oggi è una cosa molto rara, questi ragazzi non sono fissati con il computer ma preferiscono avere delle relazioni reali. Purtroppo se non creiamo dei punti di riferimento, dei totem, delle vie da seguire prima o poi si perderanno. Le famiglie non hanno strumenti, per questo bisogna lavorare sulle famiglie. Un bambino non nasce già con la cultura criminale, se un bambino, un ragazzo si perde intorno ai quindici e i diciotto anni è difficile recuperarlo, quindi bisogna cominciare a lavorare un po’ prima, cominciare a cambiare le cose. Dovremmo uscire dalle strutture, siamo noi che dobbiamo andare loro incontro, portarli anche in altri quartieri e lasciare che interagiscano con gli altri ragazzi”.
Al quartiere Perrino ci sono tanti ragazzi che possono diventare una risorsa per la città ma prima bisogna prenderli per mano e aiutarli a crescere. In questi anni le istituzioni hanno fatto ben poco, anzi nulla. Ecco perché la morte di Giampiero Carvone suona come una sconfitta per tutti.
Lucia Pezzuto per Il7 Magazine
Rione Perrino e rione S paolo sono dei quartieri che nn offrono nulla e fa alimentare oltre alla noia dei comportamenti e dei stili di vita sbagliati perché nn hanno una luce ma un tunnel senza via di uscita quindi dopo l ultimo episodio tragico di quel povero ragazzo cerchiamo caro Comune di Brindisi di far rinascere questi quartieri cn punti di riferimento sani creativi e giusti per le persone che ci vivono create negozi, bar, parchi, fate qualcosa di concreto a fatti e nn solo a parole grazie
Mi associo a chi ha scritto tutto ciò bravo….