BRINDISI – L’uomo dietro il naso da Clown raccontato da Cristiana Zongoli, responsabile della Clown Terapia di Brindisi. L’impegno dei clown dal momento della formazione alla messa in pratica delle attività per far riscoprire la gioia di vivere a chi risiede negli ospedali, due le parole d’ordine: sorriso ed umorismo.
La Clown terapia a Brindisi è nata il 31 marzo 2007, in seguito ad un investimento della British Gas (durato fino al 2012) che ha permesso a questo nuovo progetto di partire con il botto. All’inizio ci sono state poche adesioni, come capita spesso quando si sonda un terreno inesplorato, ma ben presto il numero degli aspiranti clown è cresciuto notevolmente.
La giornata tipo del gruppo di clown Terapia inizia alle 8.30, quando si comincia a fare il giro di tutte le stanze per chiedere ad ogni singolo paziente, famiglia e medico come è andato il risveglio, se ci sono ansie, preoccupazioni, operazioni in vista.
“C’è un mito da sfatare quando si parla di Clown Terapia – annuncia la responsabile, Cristiana Zongoli, – non bisogna pensare che ci si occupi solo ed esclusivamente di bambini, noi ci prendiamo cura anche delle famiglie, perché se sono sereni i genitori, saranno sereni di rimando anche i piccoli che sono ricoverati al reparto. Ci interessiamo anche degli anziani, che magari hanno bisogno di compagnia o semplicemente di una chiacchierata. Siamo presenti in medicheria e siamo riusciti anche ad accompagnare i pazienti fino in sala operatoria”.
La Clown Terapia ha l’obiettivo primario di far riscoprire la gioia del vivere con il sorriso e l’umorismo, creando ambienti e situazioni salutari che valorizzino il rapporto umano e interventi socio-sanitari necessari, per avere la persona al centro dell’attenzione e della cura.
Per Zongoli è importante che si capisca appieno il taglio che loro hanno voluto dare alla Clown Terapia: “Il Clown va immaginato come una sorta di morbido e soffice cuscinetto che si frappone fra il medico e il genitore. Noi siamo lì per confortare il genitore dopo aver ricevuto una notizia che potrebbe spezzarli il cuore o gioire con loro in caso di guarigione. Siamo il lato emotivo di ciò che accade nel reparto, bello o brutto che sia”.
È obbligatorio, pertanto, essere ammessi alla Scuola Internazionale di Clown Terapia (SICLOT) diretta da Fulvio Moramarco, direttore dell’Unità operativa del reparto di Pediatria dell’ospedale Perrino di Brindisi. La scuola è strutturata in cinque macroaree che gli allievi devono apprendere: medicina, clown, comunicazione e design, ecologia ambientale e tecniche complementari.
“Ogni reparto ha la sua particolarità ed all’interno del reparto ogni paziente ha i suoi bisogni, per tanto è importare educare i futuri clown terapisti in modo adeguato. – racconta Cristiana Zongoli – io non posso rischiare che in una situazione difficile, come la tragica morte di un minore o peggio un infante, uno dei miei colleghi scoppi in lacrime e debba essere il genitore a consolarlo. È umano esserne dispiaciuti e tutti quando torniamo a casa ammortizziamo il colpo, ma quando abbiamo su quel naso rosso dobbiamo essere pronti ad essere di supporto, altrimenti abbiamo fallito. Per questo io ci tengo ad una formazione sincera, i ragazzi devono essere consapevoli della situazione che andranno a vivere.”
“Informarsi del programma della giornata è essenziale per noi – continua – noi dobbiamo sapere se un bambino subirà un’operazione durante la giornata, perché così sappiamo come rapportarci con lui. Lo possiamo preparare mentalmente all’operazione, sarebbe inutile farlo giocare con gli altri se la sua testa si trova altrove”.
Dalle 14:30 alle 18:30 c’è il secondo turno di clown terapia, dove i bambini giocano, si divertono e grazie alla sala cinema possono visionare dei cartoni Disney per non pensare, per un momento, al luogo in cui si trovano. L’ultimo turno viene svolto dalle 20 alle 23 di sera ed è il turno più importante, non tanto per i bambini, quanto per i genitori, che hanno un momento per potersi andare a prendere un caffè, tornare a casa per prendere il cambio dei vestiti o semplicemente rilassarsi per un istante mentre il figlio gioca con i clown.
“Il ruolo del clown terapeuta è molto più articolato di quello che appare. Ogni cosa del clown è studiata: il nome d’arte, l’abito che indossano, la scelta dei colori, fin anche il trucco. La crescita si ha quando il clown si guarda dentro e anziché rifiutare le sue emozioni, prende forza da esse. Il clown non deve pensare che con il naso rosso tutto posso, ma deve avere l’umiltà e la pazienza di entrare in punta di piedi nella vita dei pazienti” conclude Cristiana Zongoli.
Alberta Esposito
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