INTERVENTO/ Con l’era della meccanizzazione e l’affinamento delle tecniche di lavorazione dei prodotti quanto accade ha dell’assurdo.
In questi ultimi 10 anni vi è stata un’escalation impressionante di infortuni e morti sul lavoro, nell’ultimo anno poi – che non è ancora terminato – si è registrato per mano INAIL un incremento del 4,5% rispetto al 2017.
Lo stesso Istituto ha subito tranquillizzato dichiarando che l’incremento sia addebitabile agli incidenti plurimi occorsi in Liguria per il Ponte di Genova ed in Puglia per i braccianti stranieri ( Lesina e Foggia).
Poco consolante come analisi del dato, con questa dichiarazione si vuol comunicare che si sono modificate le ipotesi di infortunio: adesso prevalgono quelle collettive ai singoli casi.
Dunque, il dato è ancor più allarmante, perché significa che il caso isolato di infortunio all’interno di un’azienda, ora è sostituito molto spesso dall’infortunio collettivo. Questo perché la tensione da parte delle Aziende in favore della normativa sulla sicurezza si è fortemente attenuata, la sicurezza ha un costo ed in tempi come questi si sceglie di tagliare quello che non rappresenta un vantaggio diretto per l’imprenditore, con la conseguenza che si taglia sulla incolumità dei lavoratori.
Inoltre, l’Osservatorio sui Morti del Lavoro di Bologna al 30 novembre 2018 registra 664 morti sui luoghi di lavoro, a cui dovranno sommarsi i morti in occasione di infortunio in itinere e sulle strade in genere, che portano ad un totale di 1280 lavoratori.
Lo scorso 14 ottobre, in occasione della celebrazione della Giornata Nazionale per gli Incidenti sul Lavoro, il Governo è stato costretto a dover ammettere che aumenta in modo esponenziale il numero di infortuni sui lavoratori al di sotto dei 35 anni.
Di questo dovremo ringraziare le scellerate riforme a favore della precarietà del lavoro ed attenuazione delle relative tutele che, nell’ultimo decennio, sono state strumentalizzate a favore di un risanamento economico la cui matrice ha ben altre radici!
Questo dato è presto analizzabile poiché la precarietà generata dalla aberrante contrattualistica di lavoro non permette rapporti duraturi, all’interno dei quali il Datore non investe in formazione ed il lavoratore non ha la possibilità di acquisire l’esperienza necessaria. Prima ancora che si raggiunga il giusto equilibrio esperienza/lavoro sicuro il contratto è già terminato.
Per parlare di sicurezza, senza cadere nella demagogia, bisogna intervenire sui contratti di lavoro, a cominciare da quelli occasionali che coinvolgono soprattutto i giovani e non garantiscono loro adeguate tutele.
Interventi, poi, sono necessari anche sulla riforma previdenziale, oltre che ovviamente sulla messa in sicurezza delle strade posto che, una parte degli incidenti sul lavoro, avviene appunto in itinere o semplicemente su strada nelle ipotesi di lavoro nero.
La contrattazione può fare molto per l’innovazione culturale. I quasi 900 contratti al Cnel parlano di riduzione del costo del lavoro spendendo meno sulla sicurezza, quando invece su questo tema non dovrebbe esserci scambio.
Occorre convincersi che la formazione non è un costo, bensì un investimento.
A questa riflessione dovrà sommarsi quella secondo cui la più grande fabbrica di infortuni e di corruzione nel nostro Paese è il mercato degli appalti e prima di cambiare il Codice, entrato in vigore da troppo poco tempo per dover essere già modificato, occorre iniziare ad applicarlo in modo puntuale.
Antonio Macchia
Segretario prov Cgil Brindisi
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