Il regista brindisino Ravone: “La malavita è lontana, ma il Paradiso resta un quartiere emarginato”

BRINDISI- (Da Il7Magazine) Ogni quartiere ha un passato, una storia da raccontare, quella del Paradiso a Brindisi è fatta di contrabbando, sparatorie ma anche di partite a calcetto tra i ragazzi, di famiglie che si spartivano il pane e di un parroco  che   scendeva per strada  a fare a botte con i delinquenti. Un quartiere dalle mille contraddizioni che ancora oggi paga lo scotto del totale disinteresse delle amministrazioni che negli anni si sono avvicendate e di quelle promesse non mantenute, fatte solo per raccattare consensi. Nonostante questo c’è chi come Benito Ravone, regista brindisino, nato e cresciuto al Paradiso, ha ancora un legame forte con il quartiere e i suoi abitanti. “Il Paradiso è ancora oggi un bel quartiere- dice- fatto di gente vera. Io sono cresciuto tra le piazze e l’oratorio. L’affetto per i miei compagni di calcetto non è mai cambiato e quando oggi, oramai adulti, ci incrociamo, ci basta solo uno sguardo per capirci”. La vita nel quartiere anche con il passare degli anni è rimasta sempre la stessa, ci sono stati periodi molto bui, gli anni novanta, il contrabbando, le sparatorie ma non è mai mancata la voglia di riscatto.

“Quando ero adolescente le piazze erano il centro di ritrovo, noi ragazzini eravamo sempre giù per strada- racconta Ravone- C’era poco ma stavamo bene. Si stava sempre tutti insieme, ma i nostri genitori non ci perdevano d’occhio. Eravamo tanti piccoli gruppi in piazza Egnazia, via Buonarroti ci si vedeva alla controra, anche in piazza Mommsen dove c’era il campetto di bocce, ora è completamente abbandonata”. Ravone come gli altri ragazzi del quartiere ha vissuto anche il periodo del contrabbando. Negli anni ’90 il Paradiso fu indicato come la culla della Marlboro City, le case erano i depositi di “bionde”, le stecche di sigarette che la notte arrivavano con gli scafi dall’Albania venivano smerciate per strada e quel business illegale permetteva a tante famiglie di vivere anche in maniera agiata. Ma è con la guerra tra i clan che la gente comincia ad avere paura e le sparatorie per strada impongono il coprifuoco anche ai ragazzini.  “Nel periodo del contrabbando e la mattanza della Scu abbiamo cominciato ad avere paura- dice Ravone-  Ricordo ancora l’attentato un attentato su piazza Mercato, uno di noi ragazzini rimase ferito. Da un momento all’altro cominciammo ad avvertire quel senso di insicurezza. Il coprifuoco lo facevamo noi. All’imbrunire eravamo tutti a casa. Nessun rimaneva per strada”. Il pericolo in quegli anni diventa, purtroppo,  anche uno stile di vita. Gli adulti sfruttano l’ingenuità e l’innocenza dei ragazzini facendo leva sul denaro facile e più di qualcuno ci casca. “Un giorno stavamo giocando a calcetto ed uno dei miei amici si sollevò la maglietta sotto, infilato nei pantaloni aveva “il ferro”- racconta , ancora , il regista brindisino-  Avrò avuto 12, 13anni. Era l’età dell’innocenza che per molti era già perduta. Giocavamo, sudavamo e ci sbucciavamo le ginocchia ma lui nei pantaloni aveva la pistola. Ci assomigliavamo e per questo molta gente ci confondeva. Una volta tornai a casa e mia madre cominciò ad urlare perché qualcuno gli aveva riferito che avevo rubato una macchina, ma non ero stato io, era stato il mio amico che mi assomigliava. Questo per dire che i miei genitori, come tanti altri, erano attenti. Certo non tutti avevano un padre o una madre, qualcuno viveva con i nonni, qualcun altro aveva il papà in prigione. Ma tra di noi ragazzini ci volevamo bene e quando eravamo in piazza a giocare , non c’erano differenze. Molti erano ragazzi con l’adolescenza sottratta dagli adulti. C’è stato anche il periodo dell’eroina, un altro periodo difficile”. Quel periodo , per quanto difficile, è un periodo che Ravone ricorda con affetto, forse perché alla fine tra il marcio c’era sempre del buono. Oggi la vita è cambiata, il contrabbando di sigarette nel quartiere non c’è più e gli stessi contrabbandieri si sono dovuti reinventare. “Oggi questa gente dal passato ingombrante ha un atteggiamento diverso- prosegue Ravone- un tempo entravano nei bar, che fungevano da punti di ritrovo, e la facevano da padrone. Ora non è più così, quando certa gente entra nel bar si sente quasi fuori posto e si comporta diversamente rispetto al passato,  i codici sono cambiati. Penso che la nascita dei grandi negozi, del supermercato, delle case antiracket abbia contribuito a portare persone nuove. Del resto il Paradiso è stato sempre un bel quartiere, ha sempre avuto una posizione strategica, è vicino l’aeroporto e anche vicino al quartiere Casale. Peccato che sia abbandonato a se stesso. Intorno  al 2000 era cambiato ma ora è di nuovo isolato. Qui i politici si fanno vedere in campagna elettorale,  lo corteggiano per i voti, ma poi  lo svendono e lo trattano come un pezzente”. Benito ha l’amaro in bocca quando dice questo, non si rassegna al fatto che nessuno in questi anni, tra gli amministratori che si sono avvicendati, abbia avuto la forza e il coraggio di fare qualcosa di buono per aiutare il quartiere. Intanto il tempo passa ma l’affetto per quelle piazze, quelle strade e quelle persone un tempo compagni di gioco non cambia. “Oggi restano sono gli occhi di quei ragazzi, dell’amico che magari si è fatto 25 anni di galera, quando lo incroci non servono le parole , ti parla con lo sguardo, e capisce che l’affetto è rimasto , ti vuoi bene anche se poi nella vita hai percorso strade diverse- dice Ravone- Gioventù di altri tempi, oggi i ragazzi del quartiere non li capisco più. Sono ragazzi che vedono passare tanta cocaina, prima era una prerogativa solo degli adulti ricchi e viziati. Qualche tempo fa ho tolto il saluto ad un mio amico che prima faceva il contrabbandiere ed ora vende cocaina ai ragazzi, non lo posso accettare. Prima bene o male il mercato della droga era sotto controllo, c’era il boss di quartiere e non si muoveva nulla se non lo diceva lui e certe cose non accadevano.   Questi giovani hanno oramai uno sguardo che non riesco a leggere”. Il Paradiso resta così un quartiere dalle mille sfaccettature ma fondamentalmente  sempre con la stessa impronta, nonostante il tentativo di qualcuno che non si arrende e continua a lavorare. “Il quartiere visto dall’esterno non è affatto cambiato, è sempre uguale , abbandonato a se stesso, ma con un punto interrogativo quello del domani. E la gente forse è anche più povera- aggiunge il regista-  La Corazzata è l’immagine del fallimento di questo quartiere.  Mi madre ci ha aperto un bar, c’è anche una macelleria e un minimarket. Qualche d’uno non si arrende ma l’ambiente intorno è sempre quello degradato. L’estate scorsa l’amministrazione comunale ha fatto realizzare dei murales, sono belli ma sinceramente ci sono interventi più importanti, poi manca anche la base: la piazza. Questi murales sono solo specchietti per le allodole, niente di più.  Un tempo  c’era l’oratorio ed aveva un senso fino  a quando c’è stato Don Vincenzo che si batteva per il quartiere. Oggi c’è solo la chiesa per chi vuole partecipare alle funzioni religiose. Insomma se dovessi dirlo con i colori prima il Paradiso era verde, giallo, oggi è grigio che è peggio che dire nero, perché grigio non è niente”.

Benito Ravone, 44 anni, la metà dei quali vissuti nel quartiere Paradiso di Brindisi. Oggi  è un regista. Nel 2019 ha prodotto un film documentario che si ispira proprio al quartiere Paradiso : “T.L.E. contro la bandiera”. E’ un scorcio della città di Brindisi nei difficili anni ’90, gli anni del contrabbando, che il regista ha vissuto sulla sua pelle, attraverso le piazze e le strade del suo quartiere, il quartiere Paradiso.

Lucia Pezzuto per Il7 Magazine

 

 

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*