Il ministero dimezza la centrale a gas di Enel, Rossi: “Il governo fa solo proclami, servono nuovi investimenti”

BRINDISI – (da il7 Magazine di Lucia Portolano) Dal carbone al gas, con una centrale ad un solo gruppo da 800 megawatt. La fase di decarbonizzazione della centrale Enel Federico II di Brindisi passa dal gas, con lo scopo finale di produrre in futuro energia solo con le rinnovabili. Per ora la riconversione della centrale di Cerano prevede una centrale a turbogas con un solo gruppo. È stato il ministero per la Transizione energetica ad indicare ad Enel di ridurre il proprio progetto che sino ad un anno e mezzo fa prevedeva una centrale con due gruppi a gas per un totale di 1600 megawatt. La commissione Via (valutazione di impatto ambientale) durante la fase di analisi del progetto ha inviato alla società energetica diverse prescrizioni, tra queste anche quelle di ridurre l’impianto. Una necessità dovuta alla distribuzione di produzione a gas tra le varie società che ne avevano fatto richiesta in questa fase di transizione dal fossile alle rinnovabili. Le prescrizioni erano state inviate a marzo scorso ad Enel e alle istituzioni locali. Nella nota si legge che “nell’analisi delle alternative tecnologiche  la Commissione ritiene necessario descrivere almeno quelle alternative ragionevoli che compendino l’opportunità di conservare la produttività del sito, incrementandone l’efficienza e la compatibilità ambientale dell’opera. In particolare devono essere esaminate quelle alternative che prevedano una produzione anche parziale basata sulle fonti rinnovabili o una più contenuta taglia dell’impianto”.

Enel ora attende le autorizzazione per il nuovo impianto a produzione a gas. Entro il 2025 ci dovrà essere lo spegnimento totale dei tre gruppi della centrale a carbone, così come previsto negli accordi internazionali per la decarbonizzazione . A marzo scorso la società energetica ha spento definitivamente  il gruppo 2 di Cerano, la centrale ora marcia con tre gruppi. Questo vuol dire riduzione di produzione di energia e di utilizzo del carbone con tutto ciò che ne deriva nelle attività dell’indotto. E già ci sono le prime ripercussioni con i contratti d’appalto in scadenza, è in corso per esempio la vertenza Sir, la società che si occupa dello scarico e carico del carbone che ha dovuto ridurre il personale.

Enel da parte sua sollecita le autorizzazioni. Lo scorso anno il direttore Enel Carlo Tamburi aveva lanciato un monito: “per poter dire addio al carbone entro tale data – aveva spiegato – occorre che gli iter autorizzativi italiani siano rapidi e con tempi certi. Solo così si potrà fare affidamento su un mix di impianti da fonti rinnovabili e gas che permetta di abbandonare definitivamente questo combustibile fossile”. La stessa società avrebbe tutti gli interessi a rispettare la data del 2025, avendo infatti ottenuto importanti fondi etici deve mantenere gli impegni assunti a livello internazionale sull’utilizzo delle rinnovabili. Ed per questo che ha presentato anche un progetto per un parco fotovoltaico a ridosso della centrale, quella che da sempre è area sin (sito di interesse nazionale), che seppur considerato terreno agricolo non è coltivabile visto le condizioni ambientali della falda e del terreno. Una parte del più ampio progetto sul fotovoltaico, con la realizzazione di uno stazione di accumulo, (necessaria per l’energia rinnovabile nelle ore in cui manca il sole) è in attesa di autorizzazione presso il Ministero. A livello globale, nel 2019, la capacità installata di Enel da fonti rinnovabili ha superato per la prima volta quella da fonti termoelettriche, e nel primo trimestre del 2020 la produzione di energia elettrica a zero emissioni ha raggiunto il 64% della generazione totale del Gruppo. L’obiettivo a lungo termine è la completa decarbonizzazione del mix entro il 2050, con una serie di traguardi intermedi come il completamento del phase out dal carbone in Italia entro il 2025 e a livello globale entro il 2030.

Attualmente la Federico II dà lavoro a 300 persone dirette, con un indotto di circa 400 persone. La conversione cancellerebbe gran parte di questo indotto che si basa sulle attività legate alla movimentazione del carbone e quindi  anche sulle attività portuali, oltre alla manutenzione e alla logistica. Il carbone arriva via mare. Un impianto a gas non potrebbe garantire lo stesso tasso occupazionale, e il gas arriverà da terra attraverso la rete Snam. La realizzazione della nuova centrale a gas, anche se oggi ridotta, e dei parchi fotovoltaici garantirebbe per un lasso di tempo l’occupazione di nuova manodopera, ma nella fase successiva il regime occupazionale sarebbe ridotto. Fermo restando la bonifica dei luoghi, lo smontaggio del nastro trasportatore e del camino. Ma sul territorio la società starebbe pensando anche ad una nuova attività con la realizzazione sulle proprie aree, d’accordo con l’Autorità portuale, di depositi doganali. È stato lo stesso presidente dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale, Ugo Patroni Griffi, a parlare di un incontro tra lui,  il direttore delle Agenzie delle Dogane Marcello Minenna, e il direttore Enel Tamburi, in cui si è ipotizzato il riutilizzo di strutture esistenti per incrementare il traffico merci in un’ottica di economia circolare e di nuove opportunità per il territorio e l’occupazione. Questo alla luce del riconoscimento di una Zona Franca Doganale (ZFD) inserita nelle Zes  che porterebbe dei vantaggi a livello fiscale con la possibilità di gestire le merci in transito e di produrre  ‘made in Italy’ in sospensione di Iva e dazi. La creazione dei depositi così da attrarre un nuovo traffico merci. Per ora la questione sembra però ferma.

Intanto una parte della politica, in particolar modo il parlamentare di Forza Italia Mauro D’Attis ha espresso preoccupazione per la riduzione da due a un gruppo della futura centrale a gas. D’Attis ha parlato di un disimpegno di Enel sul territorio brindisino e chiede delle risposte alla società. Nel frattempo sollecita anche il sindaco Rossi a chiedere chiarimenti ad Enel sugli impegni futuri.

Il sindaco da parte sua invoca invece l’intervento del governo per gestire questa delicata fase di transizione. “È stato il Ministero a chiedere ad Enel di ridurre l’impianto –afferma Rossi – fermo restando che una riduzione del gas porterebbe solo benefici ambientali, e ben venga lo smantellamento del nastro trasportatore e del camino. A livello occupazionale non cambia molto se si tratta di passare da due ad un gruppo a gas. È tutto il resto che merita un confronto e un dialogo. La problematica tutta deve essere affrontata con il governo, che per ora sulla transizione energetica ha fatto solo tanto proclami e nulla più”.

Rossi ha chiesto un incontro al governo per discutere della questione Brindisi: “Ritengo che ci sia la giusta attenzione sul Taranto e una non giustificata assenza su Brindisi. Con la decarbonizzazione avremo un problema sull’indotto per almeno 500-600 persone che riguardano logistica e manutenzione, oltre alle attività del carbone. Servono nuovi investimenti che formino nuove professionalità. Intanto molti lavoratori saranno impegnati nello smantellamento degli impianti e nella bonifica, ma serve pensare ad altro”.

Il sindaco chiede un impegno serio sull’idrogeno verde. “L’Italia è indietro rispetto agli impegni e alle opportunità sull’idrogeno – aggiunge – non esiste nessun impianto sull’idrogeno verde in tutto il paese.  E Brindisi può inserirsi in questo sviluppo e creare una filiera. L’Asi può produrre idrogeno verde con i due impianti di fotovoltaico che intende realizzare. Ha gli spazi giusti. L’idrogeno porta importanti ricadute occupazionali ed è qui che si può nascere l’idrogeno valley con la contemporanea realizzazione di un centro per la decarbonizzazione alla Cittadella della ricerca. Ma ripeto, per fare tutto questo serve il governo”.

1 Commento

  1. “Attualmente la Federico II dà lavoro a 300 persone dirette, con un indotto di circa 400 persone. La conversione cancellerebbe gran parte di questo indotto che si basa sulle attività legate alla movimentazione del carbone e quindi anche sulle attività portuali, oltre alla manutenzione e alla logistica”.

    Cari Politici serve pensare ad altro e non alla conversione di un impianto da carbone a gas in contraddizione con gli obiettivi sul clima dell’Italia e dell’Unione Europea.

    Una costa devastata da scelte politiche antiche e sbagliate. Un tratto di Puglia meraviglioso che, se fossero stati fatti investimenti per il turismo avrebbe portato molto più lavoro che a solo 300 + 400 persone, oltre infiniti ritorni economici per le zone circostanti con una rivalutazione turistica di Brindisi e di tutta la sua provincia.

    CONVERTIAMOCI AL TURISMO!!!

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