BRINDISI- (di Amedeo Confessore) Mi sono chiesto subito dopo la sirena finale che promuoveva Brindisi sul campo di Brescia (68-74), cosa definisce e qualifica nel gioco della pallacanestro una grande squadra.
Mi sono tornati in mente grandi classici del passato: i Celtics del 65 o i Lakers dell’87, sicuramente i Bulls dell’era Jordan, oppure i miei amati Knicks del titolo vinto al Garden con Willis Reed che entra nell’arena zoppicante e segna i primi 4 punti di una gara 7 passata alla storia, per finire gli Spurs campioni di coach Popovich esempio finale di magia, sacrificio e talento.
Più vicine alle nostre latitudini le diverse incarnazioni del basket jugoslavo e come ultimo avamposto romantico la Spagna del decennio scorso pillola finale di una pallacanestro che univa fondamentali e disciplina tattica europea alla nota creatività americana.
E’ rimasta in piedi Brindisi nell’ultimo quarto, quando Brescia è rientrata nel punteggio e l’incertezza sull’esito dell’incontro diventava palpabile, in quel contesto di affanno, dove la lucidità si offusca e il radar tecnico è ingannato come se fosse una finta boa lanciata dal sommergibile per far perder le tracce, quello che serve è la presenza fisica, la rabbia sportiva da cercare nell’ultimo residuo di forza a disposizione e infine un grammo di fortuna che occorre sempre quando si ambisce a sedersi dalla parte giusta del tavolo.
La quasi straordinaria capacità del team brindisino di trovare pesi e misure adatti al contesto e ai momenti della partita emerge come l’ancora intorno alla quale si svolge il racconto sportivo di quest’anno che ad oggi possiamo definire memorabile.
John Bostic diventa la cartina di tornasole di questo discorso, arrivato per sostituire D’Angelo Harrison è entrato con facilità nei meccanismi e nei respiri tecnici di Brindisi, “easy way, easy go” canterebbe Marianne Faithfull, del circolo Pickwick messo in piedi da coach Vitucci.
Poi certo ci sarebbe da raccontare la partita, di Thompson che lascia immaginare con lo scorrere del tempo il giocatore che deve diventare per ambire ancora più in alto, montare uno slow-motion per visualizzare meglio gli istinti cestisti di Willis e le geometrie di Bostic oltre al gran lavoro di cucitura di Bell e del resto della squadra che vede alternarsi diverse luci rispetto al contesto in cui è chiamata in causa.
Brescia è rimasta intrappolata nelle proprie paure, come risucchiata per lunghi tratti nel viaggio all’interno della vertigine di gioco brindisina, come ha dichiarato coach Buscaglia alla fine della gara in conferenza stampa: “ Non siamo stati ordinati e non riusciamo a fare un passo in più. Devo analizzarla con calma perché questa partita mi dà fastidio”.
L’orizzonte lungo invece muove le ambizioni di coach Vitucci:“Una bella vittoria in una partita che abbiamo sempre guidato pur soffrendo nel secondo tempo a causa della loro reazione. E’ stata una partita molto fisica, dura, con tanti contatti ma abbiamo mantenuto la lucidità necessaria nei momenti cruciali del match vincendo con merito. Siamo a sei vittorie su sette partite nel girone di ritorno, otto vittorie in trasferta in campionato, numeri importanti di grande crescita e conferma della nostra stagione tra campionato e coppa. Guardiamo avanti, non c’è tempo per fermarsi“.
La prossima fermata di Brindisi sarà mercoledì sera in Israele, in casa dell’Hapoel Holon per una gara essenziale nelle ambizioni da Final Eight della squadra pugliese.
Il futuro non è stato ancora scritto.
Amedeo Confessore
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