BRINDISI- (Da Il7 Magazine) Gli operatori del 118 non vogliono essere chiamati eroi eppure come guerrieri ogni giorno indossano un’armatura fatta di tute, calzari, mascherine e guanti. Combattono da sempre in prima linea e sono pronti ad intervenire in ogni momento. Non sempre sanno cosa li aspetta quando arriva loro la chiamata dalla centrale ma da febbraio scorso affrontano un nemico che tutti oramai abbiamo imparato a conoscere: il Covid-19.
Ilaria Cazzato, è un giovane medico dell’ospedale Perrino di Brindisi, con la sua “armatura” viaggia su di un’ambulanza ed assieme ai suoi colleghi, ogni giorno entra nelle case della gente. In un momento di emergenza sanitaria , come quella che stiamo vivendo, il suo lavoro è molto complicato e, per affrontare ogni situazione che si presenza, ha bisogno di grande concentrazione ma anche di una buona dose di coraggio.
“Facciamo due turni diurni da sei ore ed un notturno di dodici ore. Sull’ambulanza siamo una squadra di quattro persone. Un medico, un infermiere, un soccorritore ed un autista- spiega- Le chiamate vengono gestite e smistate dalla centrale che avverte il persone sull’autombulanza più vicina. A disposizione oltre Brindisi ci sono anche le postazioni di Tuturano e Mesagne. In questo momento la stragrande maggioranza delle chiamate sono legate a persone che hanno il Covid o sospettano di averlo. Sono davvero tante”. Mentre arriva la telefonata la squadra è già pronta per partire con l’ambulanza. Non sempre viene comunicato loro cosa stanno per affrontare, spesso si parla di codice. Quello che spaventa di più è il codice rosso. “Basta una parola e tu sai già che ti troverai davanti ad una situazione difficile, oggi ancora di più perché il virus è in giro- racconta Ilaria- Ogni giorno facciamo tantissimi interventi, generalmente su persone che sono positive note. Si tratta di pazienti che magari stanno trascorrendo la quarantena a casa ma all’improvviso manifestano difficoltà respiratorie. Quando si entra a casa di una persona lo si fa con la massima cautela. Noi indossiamo tutti i dispositivi di sicurezza e ci sentiamo protetti ma si ha sempre paura di sbagliare, anche un piccolo gesto, un gesto involontario. Non so, ad esempio toccarsi il naso. Noi cerchiamo di rassicurare queste persone che vivono in una angoscia perenne, temono di peggiorare, di finire in ospedale intubati. Non sanno quale sarà il loro decorso. Così appena entriamo in casa di queste persone cerchiamo di tranquillizzarle. Lo scorso turno abbiamo avuto tre interventi, tutti e tre per persone positive al Covid. Una signora era talmente spaventata che piangeva. Le venivano continui svenimenti”. In questi casi la tensione è alta , ma ai medici e agli infermieri è richiesta concentrazione perché anche una semplice distrazione può costare cara.
“Questi stati d’ansia sono normali e comprensibili. E’ accaduto anche ai miei colleghi che sono finiti in quarantena. Pur facendo questo mestiere le paure sono le stesse- dice- Quelli che sembrano i sintomi di una semplice influenza all’improvviso possono evolversi e diventare qualcosa di più grave”. Nonostante la forza e il coraggio essere distaccati in momenti così difficile è quasi impossibile. Quel senso di umanità per la sofferenza e la paure altrui c’è sempre. E spesso anche quando il turno finisce quell’amarezza si continua a portarla dentro. In questi mesi i media hanno raccontato attraverso le immagini la morte e il dolore di chi è stato colpito dal Covid ma quelle immagini sono negli occhi dei medici e dei soccorritori tutti i giorni.
“Il momento più difficile è quello del distacco. Quando sai che è necessario portarli in ospedale. I famigliari piangono quando se ne va il parente perché hanno paura che non lo rivedranno. E’ il mio lavoro, so che devo essere forte ma ci sono situazioni che non possono non toccarti- dice Ilaria- Ci sono momenti davvero difficili. Durante la prima ondata abbiamo trasferito tanti nonnini dal Focolare in ospedale. E’ stato davvero brutto. Queste persone si sentivano sole, erano già da mesi che non vedevano i loro parenti e si sono visti portare via dall’unico luogo a loro famigliare. Mi è dispiaciuto tanto anche perché ero consapevole che le probabilità di tornare per molti di loro erano poche.
Anche qualche sera fa quando è arrivato in elicottero da Foggia un paziente di 74 anni. L’ho visto intubato nella barella di biocontenimento, era incosciente ma ho pensato a quel senso di solitudine e di lontananza dalla propria famiglia. L’uomo è stato ricoverato in terapia intensiva. Io penso che sia un momento difficile per tutti, per chi si ammala, per le famiglie degli ammalati ma anche per noi che assistiamo e ci prendiamo cura di queste persone”.
Quando finisce il turno Ilaria torna a casa. Ad aspettarla ci sono i suoi bambini di 7 e 11 anni.
“Non è facile tornare a casa da una giornata di lavoro, dopo aver visto e vissuto tante di queste situazioni- dice- Ogni volta che entro in casa tiro un sospiro di sollievo, guardo i miei bambini ma i primi minuti cerco di rimanere a distanza. Poi ho bisogno del loro calore e cerco l’abbraccio. La nostra vita è cambiata tanto anche sul luogo di lavoro. Noi lavoriamo di squadra e siamo tutti legati gli uni con gli altri. Prima si faceva gruppo, si faceva la pausa caffè in insieme, ci si scambiava un abbraccio dopo un bell’intervento. Ora non più. Ora si entra a lavoro ci si cambia, si indossano i dispositivi di sicurezza, tuta, mascherina, guanti, calzari, tutta roba che dopo sei o dodici ore di turno diventa insopportabile. Ma sei che è necessaria per te stesso e per gli altri. Da quando è cominciata la pandemia ad oggi le nostre conoscenze sono cambiate. A febbraio, marzo, non si sapeva un granché. Anche i dispositivi e le procedure che adottiamo oggi sono diverse. Oggi usiamo dei filtri aggiuntivi come maggiore protezione. La vestizione richiede tempo e bisogna essere meticolosi. Poi arriva il codice rosso ed hai quella scarica di adrenalina che ti porti dietro sino a quando non arrivi dal paziente perché non sai cosa ti aspetta”. La vita di un medico del 118 è tutt’altro che semplice e per Ilaria forse lo è ancora di più. Suo marito è un infermiere ed anche lui lavora nel 118, è sempre in giro con l’ambulanza e si ha l’impressione che i rischi si raddoppino. Ma come dice Ilaria, alla fine il lavoro che svolgono fa parte della loro vita ed i rischi, quelli, uno ce li mette in conto anche durante la pandemia.
“Io parlo tanto con i miei figli, spiego sempre loro tutto. E’ giusto che si sentano responsabilizzati. In famiglia ho la mamma che si dedica alla Croce Rossa, mio fratello che fa il vigile del fuoco e mio marito che lavora come infermiere sulle autoambulanze. In un certo senso è difficile non parlare poi con i bambini di determinati argomenti- dice- Invece mi fanno tanta rabbia quelle persone che si ostinano a non vedere ma soprattutto a non capire. Non è concepibile a questo punto negare l’evidenza. Farei fare loro un giro per i reparti”.
Lucia Pezzuto per Il7 Magazine
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