BRINDISI- Porto, le associazioni ambientaliste scrivono al Governo chiedendo l’autonomia. Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta a firma di Italia Nostra Brindisi, Legambiente Brindisi, WWF Brindisi, Medicina Democratica, A.C.L.I. Provinciali Brindisi, Fondazione “Tonino di Giulio”, Medici per l’Ambiente, Anpi Brindisi, Forum Ambiente Salute e Sviluppo, Salute Pubblica, No al Carbone, Puliamoilmare Brindisi, Associazione “Vogatori Remuri Brindisi”, ANPI Brindisi.
“Brindisi: Politica portuale – Proposta di Commissariamento dell’AdSPMAM –
Scorporo e Autonomia del porto di Brindisi.
Le scriventi associazioni portano alla Vostra attenzione quanto esposto nei seguenti punti:
A – Obiezioni e osservazioni critiche sono state espresse su diversi aspetti del Piano Regolatore Portuale, un PRP che nella realtà è una corposa variante, confezionata a misura di determinati progetti che si vorrebbero realizzare. In pratica si tenta di creare lo strumento per consentire la loro realizzazione in un’idea molto soggettiva di porto che non corrisponde alle sue potenzialità e alla sua polifunzionalità. Uno strumento di pianificazione che, soprattutto, non ha “dialogato”, né ha intenso farlo, con altre realtà istituzionali, anzi spesso sovrapponendosi e prevaricandole tanto che il maggior partito della maggioranza dell’attuale Amministrazione Comunale ha sentito la necessità di sottolineare che «…il vero problema è che l’Autorità portuale continua a voler dettare le regole di sviluppo del territorio, a volte calpestando quel minimo di dignità che la città dovrebbe avere, senza dialogare con le istituzioni. Un’autentica monarchia».
Aspetto, questo, lamentato anche dal Consorzio ASI di Brindisi che domanda «come possa il Piano Regolatore Portuale definire e normare (in maniera assolutamente irrituale ed illegittima) aree di esclusiva competenza del Consorzio stesso, dove l’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale non ha alcuna autorità né alcuna possibilità prescrittiva». Il Consorzio elenca poi nel dettaglio le evidenti anomalie rilevate nel nuovo Prp dell’Autorità di sistema.
L’Enel Produzione SpA, dal canto suo, afferma nelle sue osservazioni al PRP che «sul territorio brindisino la normativa ASI appare essere quella di miglior riferimento per lo sviluppo di progetti produttivi/logistici, una normativa che comprende tutti gli indici ai quali appellarsi per la regolamentazione delle aree produttive industriali» e che, al contrario, «la potenzialità del progetto di transizione energetica della Società Enel non appare completamente adattabile con la normativa del Piano Regolatore Portuale da attuarsi sulle aree di proprietà del Porto Medio e della Centrale di Cerano». In questa osservazione emerge come in Brindisi vi sia una realtà produttiva già strutturata e adiacente con cui rapportarsi costruttivamente – e condividere lo sviluppo – ma di cui l’attuale management dell’Adspam non ha tenuto minimante in debito conto.
D’altronde, anche la stessa Versalis S.p.A. – nel suo ricorso al TAR del Lazio del 20/09/2021 -, prendeva atto dell’assoluta mancanza di valutazione degli aspetti legati alla sicurezza della propria attività, lamentando anche che la soluzione presentata da Adspam: «non presenta sufficienti garanzie in termini di possibilità di ormeggio per ridotto spazio di manovra presso il punto di ormeggio n. 7, prevista eliminazione definitiva del punto di ormeggio n. 5», ed ancora «non pare considerata la normale operatività del Pontile». In buona sostanza le motivazioni sono tutte incentrate sul fatto che la scelta di realizzare, così come rappresentata nel PRP, la colmata di Fiume Grande rende inutilizzabile sostanzialmente il molo polimeri e in pratica collidendo e frustrando la vocazione industriale dell’Ambito Porto Esterno.
Anche la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio BR-LE scrive, tra l’altro, che «si ritiene non corretto l’approccio mirato alla sempre maggiore sottrazione di superficie allo specchio acqueo» riferendosi in particolare all’«enorme banchinamento proposto per l’area antistante la piattaforma di Capobianco e verso le Pedagne rispetto a quello dei banchinamenti già autorizzati per Costa Morena est e Capobianco», dopo aver valutato, ovviamente, l’esistente.
Del resto pure l’Ordine degli Architetti, sempre nelle osservazioni al PRP, «ritiene che le opere per la previsione dei dragaggi, siano opere necessarie all’ottimale utilizzo delle banchine per lo sviluppo delle attività portuali, mal rappresentate dal progetto in questione, per la parte riguardante l’ubicazione del recapito finale, incompatibili e dannose sia con lo sviluppo basato su criteri innovativi e sostenibili del territorio, della città, del porto». Riguardo la colmata viene specificato, oltretutto, che legare questa alla realizzazione di altre opere non è stata solo una decisione incomprensibile poiché non necessaria né tantomeno opportuna. Se veramente si sarebbero voluti fare i dragaggi c’erano tutte le condizioni per farli e da tempo. Ma, ancora, l’Ordine degli Architetti oltre a rilevare una scarsa documentazione a supporto delle scelte, rimarca che «questa limitata documentazione nel riportare le caratteristiche peculiari di una del particolare area industriale quale quella di Brindisi, che costituisce un unicum con il Porto ed ha specifici caratteri produttivi, si estende a tutta la narrativa analitica riferita alle potenzialità di un territorio di grande complessità, ma a ns. avviso costituisce solo una generalizzazione, senza estrarne ed esaltarne le vere potenzialità, di conseguenza senza ricercare e proporre soluzioni idonee. Infatti, nell’elencare le caratteristiche operative esistenti del Porto (p.4-PRP Relne), non si riporta alcun dato analitico sulla natura dell’area industriale e del polo chimico che utilizzano il porto ed in particolare la parte a loro destinata come pertinenze logistiche. Ovvero non si analizzano/studiano le realtà produttive presenti, la loro tipologia e specificità produttiva, il loro fabbisogno in termini di approvvigionamento di materie da lavorare e commercializzare come prodotti esportati. Non si analizza in definitiva il ciclo produttivo nella sua interezza e complessità, e non si definisce correttamente quale infrastruttura sia più idonea. Come pure rileva la “assenza di dati analitici specifici nell’analisi swot nel rappresentare i vari punti forza/debolezza e soluzioni, relativi alla tipologia della realtà industriale presente»
E’ superfluo far notare come ci sia una scarsa attenzione verso una realtà produttiva altamente strutturata e di corpose dimensioni che nel Porto trova un terminale ideale per realizzare un insieme produttivo generatore di occasioni di lavoro e prosperità per un territorio e di riflesse per il paese Italia, al contrario vi è la sensazione che una entità amministrativa così allargata sia distratta e poco attenta alle presenze e potenzialità produttive.
Queste “osservazioni” menzionate, oltre quelle delle associazioni di cittadinanza attiva e di altri enti, rilevano, nella sostanza, una inconciliabile differenza di visione su vari aspetti di tale idea del porto e nella politica portuale portata avanti dagli attuali vertici dell’AdSPMAM che, ignorando del tutto i punti di vista espressi dagli attori pubblici e privati del porto e trascurando taluni aspetti come, ad esempio, la logistica, mortifica la tradizionale vocazione polifunzionale del porto. Osservazioni avanzate da più attori che sono, oltre ogni evidenza, differenti tra loro e con finalità diverse – in quanto espresse da organi dello Stato, amministrazioni pubbliche del territorio, operatori economici, non fanno altro che dimostrare una non condivisione della idea del porto che si vuole imporre da parte dell’Adspmam e una impostazione negativa da parte della stessa del suo rapporto con la realtà economica, istituzionale e civica del territorio. Quindi un grave scollamento tra chi ha in mano il destino funzionale ed economico del porto che influisce sul futuro del territorio, creando decise conflittualità sociali e tra istituzioni.
B – E’ doveroso inquadrare meglio la situazione, per farlo è necessario rammentare alcune questioni.
Il Decreto Lgsl.vo n. 169 del 4 agosto 2016, sostituendosi alla legge 1984/94, attuò la riforma delle Autorità Portuali, trasformandole in “Autorità di Sistema” e modificandone profondamente la governance.
Dal nuovo quadro emerse l’accorpamento tra loro di realtà portuali che persero dunque l’autonomia, e, nell’attuazione di tale disegno, il diverso peso politico dei territori riuscì ad incrinare il pur opinabile concetto alla base della riforma. I porti sono stati accorpati, partendo dalla individuazione in capo ad ogni Sistema della qualità di “porto Core” nel porto principale, con la risultante di compromettere le possibilità di sviluppo dei porti “accorpati” a favore di quelli che già avevano beneficiato delle spinte politiche – come indiscutibilmente avvenne nel caso di Bari a discapito di quello di Brindisi – che li avevano fatti rientrare nell’elenco comunitario.
In Puglia con Brindisi, in Sicilia e Calabria con Messina, in Liguria con La Spezia e Savona, si sono avuti eloquenti esempi di tale penalizzazione di porti e interi territori, che vedevano così evidenziato il loro minore peso politico rispetto a porti e territori limitrofi ben più forti e fagocitanti (Bari per Brindisi, Gioia Tauro per Messina, Genova per La Spezia e Savona).
È comunque necessario sottolineare come la riforma sia stata applicata subendo spesso la pressione di interessi politici territoriali.
In Puglia, poi, la realtà descritta è stata tanto più evidente se si rammenta la modifica in corsa della riforma, operata a seguito di decise sollecitazioni della politica barese, che ha evitato l’Autorità di Sistema regionale prevista nel disegno originario, pur di non sottostare all’unione Bari-Taranto e non perdere la sede dell’Ente. Brindisi e il suo porto, quindi, hanno finito per essere ancora più marginalizzati a causa del divenire appendice di Bari e non più parte di un sistema territoriale omogeneo.
Oggi, a diversi anni di distanza da quella riforma, ne sono chiare le conseguenze, che confermano quanto in molti si era preconizzato: il porto di Brindisi ha continuato a perdere gli asset che possedeva (carbone e rinfuse), senza che chi di dovere abbia sentito la responsabilità, o la capacità, di costruire per tempo e in modo strutturato quelle valide alternative che l’avrebbero messo nelle condizioni di competere per la conquista di nuovi traffici (containers, logistica integrata, crociere, ro-ro).
Le possibilità per il porto di Brindisi di giocarsi le proprie carte e di rincorrere le opportunità di mercato che sarebbero raggiungibili grazie alla propria collocazione geografica, alla propria dotazione infrastrutturale, alle reti di trasporto terrestre che vi si incrociano, alle ingenti dotazioni di spazi retro portuali, sarebbero consentite unicamente se il territorio fosse messo in condizione di autodeterminarsi, con la riconquistata autonomia gestionale.
Tutto ciò premesso ed esposto nei punti A e B, risulta evidente una decisa discrasia quale conseguenza delle incompatibili modalità di interlocuzione e di confronto. Diviene conseguentemente impellente oltre che necessario, interpretando un diffuso idem sentire, chiedere il ritorno all’autonomia gestionale e amministrativa del porto di Brindisi. Per raggiungere tale obiettivo si rende necessario l’azzeramento dei vertici dell’attuale ente portuale e il suo commissariamento per gestire, appunto, tale transizione. Un’autonomia che si chiede con determinazione, così come già realizzata per alcune realtà e richiesta da altre ancora. Tale rivendicazione non significa non accettare un confronto e la co-pianificazione con le altre realtà portuali, ma evitare che territori più forti politicamente riescano a dominare a svantaggio dei reali ed effettivi fattori localizzativi che rendono Brindisi un territorio logisticamente molto appetibile, come nella attuale conformazione amministrativa che vede il Porto di Bari come maggior attrattore di investimenti e di traffici e il porto di Brindisi sacrificato ad un ruolo subalterno di scalo energetico del sistema portuale esistente, con evidenti ripercussioni negative sull’economia dell’intero territorio salentino.
Se il porto di Brindisi tornerà autonomo, si farà sinergia degli interessi territoriali dell’intera area salentina, e avrebbe modo di rientrare nella programmazione dei porti comunitari “Core” e potrebbe sviluppare una strategia di completamento infrastrutturale efficiente e realmente rispondente alle esigenze.
Recentemente l’impresa è riuscita al porto di Messina che, con un articolo inserito nella “legge mille proroghe” (art. 22-bis inserito nel D.L. n.119 del 23/10/2018, poi convertito in legge), ha ottenuto lo scorporo dalla Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Meridionale e Ionio”.
Il sopra richiamato idem sentire consentirà oltre alle sottoscritte associazioni anche la politica, non solo locale, le istituzioni del Salento, l’Università, gli operatori economici e finanziari, di fare sistema e porre questo obiettivo come volano per l’economia.
Siamo certi che quanto scritto innanzi sarò preso nella giusta considerazione, valutando indispensabile per il benessere del territorio una auto determinazione”.
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