Dal raddoppio del Petrolchimico alla vigilia della grande esplosione, la sesta puntata

LA STORIA- Superate le dure lotte per l’abbattimento delle gabbie salariali, iniziò per il  petrolchimico di Brindisi un periodo di forte espansione delle attività produttive.

antonelli petrolchimico1I lavori di ampliamento, avviati  nel maggio 1968 con la costruzione di un nuovo cracking (P2T), proseguirono e furono completati  in un triennio, con  la realizzazione degli impianti: P30B (butadiene), P4B (polietilene), P9R (polipropilene), P33 (cloruro di vinile monomero), P18B (policloruro di vinile), DMS (magazzini per lo stoccaggio dei prodotti finiti, GT11 (centrale elettrica). L’investimento complessivo fu di oltre 100 miliardi di lire.

Quando fui assunto, nel maggio 1969, direttore di stabilimento era il dr. Giuseppe  Bertone. Nel Servizio Sicurezza lavoravano 150 persone ripartite in cinque sezioni operative (antinfortunistica, antincendio, controlli di legge, controlli non distruttivi, sicurezza impianti). Gran capo era il dott. Vito Santamato. Mi inserirono in antinfortunistica. Lavoravo con un collega anziano in un ufficio posto sull’infermeria. Dopo la  medicazione, gli infortunati lievi passavano dal nostro ufficio. Ci facevamo  raccontare cosa era successo, poi compilavamo la scheda di prima denuncia interna d’infortunio. Se c’era  un infortunio grave, l’autoambulanza partiva dall’autorimessa e si recava sul reparto. Il medico di turno decideva se prestare soccorso in stabilimento o disporre l’immediato trasporto  dell’infortunato in ospedale. Rispetto ai primi anni di marcia del petrolchimico, gli  infortuni erano diminuiti di gravità ma erano ancora numerosi.

Dario Amodio, che ho già ricordato per aver fondato e  diretto “Ventisette”, uno dei primi giornali sindacali, dopo la fusione di Polymer con Montecatini era stato inserito, prima di me, nel servizio Sicurezza. Il vicedirettore servizi, ing. Simonini, riconoscendo in lui  buone capacità redazionali, gli aveva  proposto di forgiare  un notiziario aziendale  da distribuire ai dipendenti per sensibilizzarli sui temi della sicurezza. Nacque così, alla fine del 1969, “Sicurezza di Fabbrica”.

 

A quel tempo io stavo preparando la mia tesi di laurea in Sociologia. Il titolo era: “Un efficiente sistema di comunicazioni sociali, come strumento di partecipazione e consapevolezza, ai fini della sicurezza sul lavoro in una grande azienda industriale“.

Avevo anche proposto ai miei capi di realizzare uno studio sul fenomeno infortunistico di stabilimento, potendo a tal fine utilizzare la gran massa d’informazioni registrate nelle schede di prima denuncia interna, relative a migliaia di eventi (inclusi gli infortuni lievi), verificatisi negli anni precedenti. Dovetti però discutere a lungo con i responsabili del centro di  elaborazione dati per convincerli a predisporre uno specifico programma informatico. Ne valse la pena. Vennero fuori risultati sorprendenti e preziosi. Li utilizzai innanzi tutto per correggere alcune convinzioni che circolavano nel Consiglio di Fabbrica (il primo eletto in sostituzione della Commissione Interna, del quale facevo anch’io parte). Numerosi delegati erano convinti che molti infortuni occorressero a causa delle  eccessive ore di straordinario, che costringevano soprattutto  operatori d’impianto e manutentori a lavorare fino a dodici ore al giorno. Era la stanchezza, secondo questa teoria, a favorire gli infortuni. La distribuzione temporale degli eventi mostrava però l’esatto contrario. Il maggior numero di infortuni nei precedenti cinque anni si era verificato il primo giorno lavorativo dopo il riposo settimanale, nelle primissime ore. La frequenza diminuiva progressivamente nei giorni successivi, fino a diventare minima nell’ultimo giorno lavorativo prima del riposo.

 

Dati alla mano, dimostrai che non era la stanchezza a favorire gli infortuni ma le particolari condizioni psico-fisiche dei lavoratori al rientro al lavoro dopo il riposo settimanale, che non riuscivano a recuperare immediatamente un rapporto ottimale con l’ambiente lavorativo, in termini di ritmi, movimenti, posizionamenti, percezioni del rischio. Più frequenti erano pertanto gli urti contro strutture, le cadute in piano o da dislivelli, i contatti accidentali con sorgenti di calore, ecc.

 

Dallo studio vennero fuori altre informazioni interessanti: gli infortuni aumentavano considerevolmente nei mesi estivi; le cadute, gli urti, le inalazioni di sostanze irritanti erano gli eventi più frequenti; l’80% degli infortuni si verificavano in situazioni lavorative non rischiose; le parti del corpo più colpite erano le mani, gli occhi, i piedi; le lesioni più frequenti erano contusioni, strappi muscolari, tagli, ustioni;  i comportamenti imprudenti più diffusi erano il mancato uso di indumenti protettivi e l’inosservanza delle procedure di sicurezza. Scoprimmo infine che vi erano  lavoratori “polinfortunati”, con un numero  di infortuni 4 – 5 volte superiore alla media dei colleghi di reparto. Ne ricordo in particolare uno, lavorava al reparto P12 (cloro soda); era una persona animata di buona volontà ma aveva evidenti problemi di percezione del rischio. Quando, dopo l’ennesima medicazione, veniva nel mio ufficio per la prima denuncia di infortunio lo sfottevo dicendo: “…se  nel petrolchimico ci fosse un nido di serpi, per curiosità o sbaglio, tu certamente ci metteresti una mano  dentro !!”. Il mio studio, corredato di grafici, tabelle, commenti, fu inviato ad altri stabilimenti del Gruppo; penso sia stato utile anche lì per orientare le iniziative di sensibilizzazione e formazione antinfortunistica del personale.

 

Nel dicembre 1970 Amodio lasciò la direzione di Sicurezza di Fabbrica per assumere  altro incarico. Io subentrai. Dovetti però superare iniziali diffidenze della direzione di stabilimento, che non apprezzava  il mio impegno sindacale, anche se non poteva negare la mia competenza in materia di comunicazioni e analisi dei comportamenti. Alla fine, a condizione che le bozze del notiziario fossero sottoposte preliminarmente all’approvazione del capo della sicurezza e del direttore di stabilimento, mi affidarono l’incarico.

 

giornale montecatiniA dispetto di quelle eccessive preoccupazioni, Sicurezza di Fabbrica nei due anni successivi consolidò tra le maestranze di stabilimento l’apprezzamento accumulato con Dario  Amodio. Il giornale conteneva notizie, commenti, istruzioni e indubbiamente favorì la riduzione degli infortuni causati da ignoranza, negligenza, inosservanza delle norme di  sicurezza. Ai concorsi della sicurezza partecipavano 900 – 1000 lavoratori ogni mese (tra coloro che avevano risposto positivamente a semplici quiz veniva sorteggiato un premio di 10.000 lire).

 

Tutto ciò non sgombrò il sospetto del direttore di stabilimento, dott. Angelo Scapini, che nella scelta e stesura delle notizie io lasciassi trapelare idee e sensibilità sindacali. Non era vero e  non era possibile, considerate le preliminari censure alle quali era sottoposto il notiziario. Fatto sta che per la fine del 1972 fu decisa la cessazione delle pubblicazioni. Un paio di mesi prima avevo però inviato alcune copie all’ENPI (Ente Nazionale Prevenzione Infortuni), per partecipare a un concorso giornalistico indetto dallo stesso Ente. Agli inizi di dicembre, ultimo mese di pubblicazione, il presidente, dr. Giambattista Preda, mi informò con lettera personale che a “Sicurezza di Fabbrica” era stato assegnato il primo premio per la sezione stampa aziendale. La RAI lo aveva vinto  per la sezione stampa radio-televisiva e il Corriere della Sera per la stampa quotidiana.

 

Il dr. Scapini non voleva comunque mandare proprio me a  Roma per ritirare quel premio. Lo convinse il capo del personale, dr. Gerardo Pinto. Non è che lui nutrisse nei miei riguardi maggior simpatia, comprendeva però più del direttore che di un eventuale divieto si sarebbe parlato a lungo in fabbrica, negli ambienti sindacali, e non certo per lodarlo. Appena rientrato a Brindisi la targa d’argento  mi fu comunque immediatamente requisita e per molti anni restò sulla scrivania del dr. Scapini, poi passò su quella dei suoi successori, fino a quando uno di questi, l’ing. Zappaterra, prima di lasciare lo stabilimento decise di restituirmela.

 

Dopo la cessazione delle pubblicazioni di Sicurezza di Fabbrica, continuai a occuparmi per un paio di anni di prevenzione infortuni. Il petrolchimico era stato suddiviso in sei aree di prevenzione; ad ognuna era stato assegnato un tecnico dell’antinfortunistica. Capo reparto  era allora il dr. Costanzo, un laureato in chimica originario di Benevento. Si diceva che fosse un lontano parente di Padre Pio. Per tutti noi dell’antinfortunistica quello era il maggior merito che  potevamo riconoscergli. Come area di prevenzione antinfortunistica mi furono  assegnate le officine centrali. Vi lavoravano oltre 500 persone. Ottenni buoni risultati, agendo quasi esclusivamente nel versante della sensibilizzazione e formazione antinfortunistica del personale.

 

sicurezza premiazione petrolchimicoAlla fine del 1973, il dr. Costanzo fu trasferito in un altro stabilimento. Io ero uno dei potenziali candidati per sostituirlo, ma non fui scelto. Sia pure a malincuore chiesi di lasciare la sicurezza. La mia richiesta fu immediatamente accolta e fui spostato nel Centro di Formazione, che era collocato nell’ex Direzione Polymer, all’estrema periferia del petrolchimico. Entravo così a far parte, senza entusiasmo, della Direzione del Personale. D’altro canto, tenuto conto della mia formazione ed attitudini, non vi erano molte  alternative. Mi aveva preceduto, ed era diventato direttore del Centro, Dario Amodio. Poiché non era stato lui a chiedere  il mio trasferimento, non fu entusiasta nel rivedermi. Mi lasciò  un paio di mesi a fare poco o niente, poi si rese conto che potevo essere un prezioso collaboratore e mi affidò il coordinamento dei  corsi di formazione alla sicurezza.

 

Transitavano in quegli anni per il  Centro di Formazione centinaia di operatori d’impianto, analisti, manutentori. Venivano organizzati anche corsi per assistenti tecnici e capi reparto,   più raramente, stage di aggiornamento sui processi di polimerizzazione per piccoli gruppi di ingegneri provenienti da Paesi in via di sviluppo (Libia, India), con i quali Montedison aveva buoni rapporti commerciali e di collaborazione.

 

Il trasferimento nel Centro di Formazione, lontano dal baricentro della fabbrica, non aveva tuttavia eliminato del tutto il mio impegno sindacale. Con altri amici, valenti tecnici, partecipavo alla redazione di fogli sindacali. Ricordo “CdF. Era l’acronimo di Consiglio di Fabbrica. Tra il 1973 ed il 1976 uscirono quattro numeri unici. I temi più trattati erano quelli della salute in fabbrica. Denunciavamo con insistenza i rischi del cloruro di vinile monomero (CVM).

Il CVM, a differenza di altre sostanze presenti in fabbrica (cloro, bromo, mercurio, aromatici, anidride ftalica, ecc.), non era stato considerato per molti anni pericoloso, tantomeno cancerogeno. Il personale Montedison, ed ancor più quello delle imprese appaltatrici, era esposto senza particolari precauzioni. Le gravi conseguenze dell’esposizione al CVM, ipotizzate  per la prima volta nel 1969 al Congresso Internazionale di Medicina del Lavoro di Tokio da un medico della Solvay, Pierluigi Viola, furono definitivamente confermate in Italia a seguito di un’indagine epidemiologica commissionata da Montedison all’Università di Milano, condotta nel 1971 dal prof. Cesare Maltoni negli stabilimenti di Brindisi, Marghera, Terni.

Nella prima metà degli anni ’70, il sindacato nel petrolchimico aveva aumentato forza ed adesioni, con l’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, la costituzione della Federazione Unitaria CGIL – UIL – CISL, l’inquadramento unico operai – impiegati e tante altre conquiste contrattuali. Vi aderivano gran parte degli operai ed anche numerosi impiegati tecnici ed amministrativi.  Il Consiglio di Fabbrica era composto da un centinaio di delegati, al suo interno era costituito un Comitato Esecutivo. I rapporti con la direzione erano tenuti da tre coordinatori (uno per ciascuna organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa). Il personale distaccato a tempo pieno per attività sindacali o per la   gestione dei servizi sociali (Commissione Ambiente, Fondo di Assistenza Integrativa Malattia Infortuni, Spaccio Aziendale, Dopolavoro) superava trenta unità. La direzione Montedison accettava questi costi obiettivamente elevati  con la  speranza di  mitigare i conflitti che in quegli anni esplodevano frequentemente, partendo anche da gruppi di lavoratori di singoli reparti.

Una forte polemica scoppiò tuttavia  giugno del 1972 tra le stesse organizzazioni sindacali, in occasione di un duro sciopero per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. La Federchimici CISL avrebbe voluto accogliere le richieste della Direzione Montedison di porre al minimo tecnico alcuni impianti, con riciclo della produzione, come avvenuto in precedenza. UILCID e la Filcea CGIL si opponevano affermando che “bisognava fare il maggior danno possibile a Montedison che non aveva tenuto  fede agli impegni di maggiori investimenti ed ha determinato licenziamenti di centinaia di lavoratori metalmeccanici”. Si tentò di raggiungere una posizione unitaria convocando i tre direttivi, ma i dirigenti della Federchimici CISL non si presentarono. Gli impianti in discussione furono fermati e Montedison mise in ore improduttive 37 lavoratori nella fase di riavviamento. Dopo altri scioperi nei mesi di luglio ed agosto e la minaccia della direzione di sospendere dal lavoro fino a 800 lavoratori, si arrivò a settembre alla  sottoscrizione di un nuovo accordo per la costituzione di comandate in occasione di scioperi per i  processi continui a caldo, al solo fine  di  salvaguardare la sicurezza degli impianti .

 

Tensioni come queste, ed anche peggiori, si verificavano tra la  prima e seconda metà degli anni ’70 in tutti i petrolchimici. I vecchi modelli e stili di gestione del personale non erano più adeguati. Oltre alle competenze tecniche, i supervisori di linea, i quadri intermedi ed  i dirigenti, dovevano essere più capaci di comunicare, coinvolgere, motivare i propri collaboratori. Fu deciso pertanto di creare ad Angera, sul lago Maggiore, un Centro di Formazione Manageriale per i quadri dirigenziali ed intermedi del Gruppo. A capo di questa struttura fu messo il  prof. Franco Giacomazzi (gambizzato nel maggio 1978 dalle Brigate Rosse). I formatori furono selezionati all’interno ed all’esterno della società. Anche a me fu offerto di far  parte di quel team. Rifiutai. Mi sentivo troppo legato a Brindisi e al petrolchimico. Mi fu comunque affidato successivamente il coordinamento dei seminari di formazione manageriale e leadership organizzati direttamente a Brindisi per i quadri intermedi del petrolchimico (tenuti tra il  1975 ed il 1976  presso il Grand Hotel di Rosa Marina).

Ci sarebbe tant’altro da ricordare in quel periodo, preferisco però riferire alcuni eventi significativi, tratti dalla cronaca, che in quegli  anni si verificarono oltre i recinti  della cattedrale.

18 aprile 1970.  Si diffonde la notizia che Montedison ha intenzione di costruire, affacciato sul canale Pigonati, al posto della vecchia fabbrica di fertilizzanti, un impianto per lo stoccaggio di additivi antidetonanti per carburanti (piombo tetraetile). I permessi sono già stati concessi ma la pericolosità dell’impianto (rischio di esplosioni e inquinamento) suscita forti preoccupazioni e resistenze sindacali. L’impianto non si farà più. Finirà a Bussi (AQ), dove creerà negli anni successivi gravi problemi d’inquinamento ambientale.

 

29 agosto 1971.  A largo di Brindisi, sulla motonave greca “Heleanna”, si verifica un incendio, forse per lo scoppio di una bombola a gas: ventiquattro morti, 271 feriti. I soccorsi accorrono da Brindisi, Monopoli, Bari. Il comandante Demetrios Anthipas è arrestato per aver abbandonato la nave tra i primi e perché il traghetto era sovraccarico di passeggeri (1110 persone con scialuppe per sole 694.)

 

27 gennaio 1972. In un convegno provinciale sulla chimica si prende atto che il piano d’investimenti a Brindisi che era stato annunciato da Montedison per 150 miliardi è stato di fatto ridimensionato. Viene anche criticata la scarsa propensione della società a favorire lo sviluppo di nuove imprese per la lavorazione delle materie plastiche, così come previsto dal Piano Chimico Nazionale.

 

27 settembre 1972. Viene immatricolata l’autovettura BR100.000. Sono quasi raggiunti i livelli nazionali di motorizzazione, cioè  una vettura ogni cinque abitanti. Nel 1959, prima dell’insediamento di Montecatini, le autovetture erano una ogni quaranta abitanti.

 

21 novembre 1972 Il ministro della sanità, on. Gasparri,  in  visita a Brindisi, dichiara che l’ospedale Di Summa: “Èè il migliore che abbia visitato. E’ un complesso ospedaliero che si pone all’avanguardia anche rispetto a quelli delle zone più industrializzate ed avanzate del Paese, sia per la modernità ed efficienza delle attrezzature che per l’alta qualificazione del personale di ogni ordine e grado” . 

 

15 dicembre 1972.  Viene  costituita la Federazione unitaria CILSL – UIL – CGIL. Fanno parte della Segreteria  D’Aloisio, Iurlaro e Scalera per la CGIL; Colombo, Piliego e Landella per la CISL; Milani, Capone e Pacifico per la UIL.

 

Gennaio 1973.  Vengono resi noti i dati del traffico nel 1972: sia  il porto  con +10%, che l’aeroporto, con +50%, hanno registrato  un forte incremento di passeggeri rispetto all’anno precedente.

 

23 marzo 1973. Viene  effettuato con successo il collaudo del  ponte che collegherà la  Commenda con il nuovo quartiere di Bozzano scavalcando il canale Patri.

 

13 maggio 1973. Nel giro di 48 ore si verificano due infortuni mortali a lavoratori edili, uno nel nuovo quartiere di S. Elia ( Giuseppe Bagnulo ) ed uno a S. Vito dei Normanni ( Costatino Rado ).

 

Lavorare in Montedison, all’inizio della seconda metà  degli anni ’70, è ancora considerato un  privilegio. Le fiaccole e le luci del petrolchimico illuminano la notte e segnalano ai numerosi turisti diretti o provenienti dalla Grecia, già  a molte miglia di distanza, la prossimità della terraferma.      Si sta però avvicinando una data, quella della notte tra il 7 e 8 dicembre 1977, che  segnerà  tragicamente la storia della “cattedrale” .

 

Giuseppe  Antonelli (6. Continua)

2 Commenti

  1. La “sicurezza” è un “investimento”, non un “costo”. Nella prossima puntata narrerò come e perché l’8 dicembre 1977 si verificò l’esplosione del P2T. Ricorderò i costi umani, impiantistici e produttivi che tale evento provocò;elencherò le maggiori modifiche degli standard costruttivi degli impianti che lo stesso impose alle società petrolchimiche. Molte di quelle innovazioni potevano essere pensate ed attuate prima del tragico incidente, ma anche a quei tempi, caro Paolo, qualcuno credeva che sulla “sicurezza” di potesse risparmiare …

  2. Caro dottore, ora la sicurezza è un costo molto gravoso, per i nuovi manager che hanno come unica visione: il mercato.
    Bellissimo come al solito.

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