BRINDISI- (Da Il7 Magazine) Per due mesi ha combattuto il virus ed oggi con la donazione del suo plasma cerca di aiutare le altre persone ammalate di Covid. Enrico Antonica, chirurgo di 59 anni originario di Galatina, è uno dei medici dell’Ospedale Perrino di Brindisi contagiato dal virus e che oggi può dire: “io ce l’ho fatta”. Impiegato nel reparto di Chirurgia del nosocomio brindisino da marzo a maggio ha lottato contro il Covid, superando momenti critici insieme alla moglie anche lei contagiata.
“Ho contratto il virus in ospedale ai primi di marzo, quando ancora la diffusione del Covid era una notizia lontana per noi. Si pensava alla Cina mentre noi in Italia non eravamo ancora preparati- racconta Antonica-In quel periodo seguivo un paziente senza adottare criteri particolari, era un uomo del posto e non sapevamo che contatti avesse avuto. All’inizio nessuno di noi ha pensato che potesse avere il virus ed invece dopo un po’ ho cominciato a stare male”. Il medico, quindi, contrae il virus durante il suo servizio in ospedale, in un momento in cui la città ancora non immagina cosa si sarebbe scatenato da lì a pochi giorni. La stessa struttura sanitaria non era pronta ad affrontare la pandemia ma medici, infermieri, operatori sanitari senza risparmiarsi ingaggiano una battaglia senza precedenti. Enrico Antonica non richiede il ricovero, resta a casa ma il suo diventa un lungo calvario fatto di paure e difficoltà.
“All’inizio ho avuto un decorso tranquillo, avevo la febbre , un malessere generale, debolezza, in parole povere sembrava un’influenza fortissima ma con il passare dei giorni i sintomi sono peggiorati. Son stato male per venti giorni e nel frattempo ho infettato anche mia moglie- dice- Per due mesi siamo rimasti chiusi in casa con tutti i disagi della situazione. La sera, quando andavamo a letto ci guardavamo in faccia con la paura di ciò che sarebbe potuto accadere durante la notte. Ero consapevole dei rischi, sentivo e vedevo quello che stava accadendo. La gente in terapia intensiva, le difficoltà respiratorie, la morte. Ho cercato di restare tranquillo anche se stavo male, sono stati due mesi di calvario, i servizi venivano a casa a visitare me e mia moglie, eravamo soli, anche perché non abbiamo figli. E’ stato difficile anche per la gente che abita accanto a noi, in qualche modo si avvertiva il disagio, venivamo considerati gli untori. Sono uscito da casa i primi di maggio, dopo due mesi esatti di malattia sono potuto tornare a lavoro”. Una volta che il tampone ha dato esito negativo il chirurgo è potuto tornare al suo lavoro in ospedale ed è proprio in ospedale che dal Centro Trasfusionale gli propongono di contribuire alla terapia iperimmune per la cura del Covid.
“In ospedale la dottoressa Antonella Miccoli mi ha detto che potevo donare il plasma ed aiutare gli altri a guarire- racconta- A luglio ho fatto la prima donazione ed il 29 ottobre la seconda. Questo perché il mio titolo anticorporale è ancora molto alto. La procedura è sicura e non porta nessun rischio”.
La Regione Puglia è stata una delle prime regioni in Italia ad iniziare a maggio la sperimentazione per la immunoterapia passiva con plasma raccolto da pazienti guariti da infezione Covid-19. La terapia con il plasma, già utilizzata per Ebola e Sars, è una immunoterapia passiva sperimentale e consiste nella somministrazione al paziente degli anticorpi presenti nel plasma dei pazienti guariti.
Come si legge sul sito del Ministero della Salute, la terapia con plasma da convalescenti prevede il prelievo del plasma da persone guarite dal Covid-19 e la sua successiva somministrazione (dopo una serie di test di laboratorio, anche per quantizzare i livelli di anticorpi “neutralizzanti”, e procedure volte a garantirne il più elevato livello di sicurezza per il ricevente) a pazienti affetti da Covid-19 come mezzo per trasferire questi anticorpi anti-Sars-Cov-2, sviluppati dai pazienti guariti, a quelli con infezione in atto. Gli anticorpi (immunoglobuline) sono proteine coinvolte nella risposta immunitaria che vengono prodotte dai linfociti B in risposta ad un’infezione e aiutano il paziente a combattere l’agente patogeno andandosi a legare ad esso e neutralizzandolo. Questo meccanismo d’azione si pensa possa essere efficace nei confronti del Sars-Cov-2, favorendo il miglioramento delle condizioni cliniche e la guarigione dei pazienti.
“Oggi quando lavoro nel mio reparto sono un po’ più tranquillo, in questi mesi sono cambiate tante cose, siamo un po’ più preparati rispetto all’inizio. Ora si fanno più tamponi e l’esito è già pronto in qualche ora, prima bisognava aspettare da una settimana a dieci giorni ed in più scarseggiavano i reagenti. Oggi invece è possibile fare i tracciamenti e la donazione di plasma iperimmune da una speranza ai malati gravi- dice-
Poi l’idea di poter aiutare gli altri mi rinfranca , so che il mio plasma è stato dato alla moglie di un medico che ora sta meglio. Non sono un eroe e ne mi sento tale, sono uno a cui è andata bene”. Antonica si considera una persona fortunata ma la preoccupazione resta per tutti coloro che gli sono intorno. L’escalation di contagi degli ultimi giorni è un segnale drammatico di come si stia evolvendo la situazione e la paura più grande è che la struttura sanitaria possa collassare.
“Se oggi i contagi aumentano in modo esponenziale è colpa di tutti quelli che se ne fregano dei problemi della gente, e soprattutto si tratta dei ragazzi che non si rendono conto del peso che ha il loro comportamento. L’età media dei contagiati si è abbassata, al momento la rianimazione è gestibile ma tutto può esplodere da un attimo ad un altro- conclude- Dobbiamo tener conto che non esiste solo il Covid, dobbiamo evitare gli assalti al Pronto Soccorso, piuttosto, in prima battuta, bisogna rivolgersi al medico curante e chiedere di fare anche il vaccino antinfluenzale. Se l’ospedale si intasa non si riesce a dare assistenza a tutti i malati che ne hanno realmente bisogno”.
Lucia Pezzuto per Il7 Magazine
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