INTERVENTO- Il carbone di Brindisi e l’acciaio di Taranto rievocano a buon diritto l’Europa di 63 anni fa quando, nel 1951, si dette origine alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).
Alla vigilia di elezioni europee che costituiscono uno spartiacque tra passato e futuro, non è bene chiedersi cos’è accaduto nel territorio della provincia di Brindisi in questi sessant’anni? E qual’ è il suo futuro?
Facciamo un viaggio a ritroso con una immaginaria macchina del tempo e fermiamoci in terra di Brindisi l’11 dicembre del 1926, 87 anni fa, alla nascita della Provincia voluta da Mussolini per gemmazione dei territori delle province di Lecce e di Bari. E’ il giorno storico dell’arrivo a Brindisi del primo prefetto di questa terra, Ernesto Perez. Egli si insedia in un territorio che conta 229.000 abitanti e nel quale le maggiori opportunità di lavoro sono offerte dal “Cantiere Navale Brindisino”, dalla società “Cementi Salentini”, dalla produzione di mattonelle di carbone, di sapone e di ghiaccio; il prefetto scopre inoltre una pregevole e diffusa lavorazione di botti di legno, assieme a numerose fabbriche di spiriti e industrie di fichi e a molti frantoi e stabilimenti di produzione di vino, i cui filtrati sono richiestissimi all’estero; viene pure a conoscenza che ben 7.000 operaie sono occupate nella lavorazione del tabacco in una ventina di aziende.
Ripartiamo da qui e torniamo verso il presente, lasciando Ernesto Perez ad arrabattarsi con il bilancio per recuperare le ingenti somme occorrenti all’acquisto del chinino per fronteggiare la malaria e la tubercolosi.
Durante il nostro viaggio immaginario nel tempo, vediamo la popolazione via via raddoppiarsi, il peso dell’industria crescere, anche se l’agricoltura la vediamo mantenere un ruolo primario. In breve, vediamo l’economia brindisina svilupparsi progressivamente nei servizi, ma su di una base industriale molto contenuta, con un tasso industriale inferiore al resto della Puglia, nonostante –e questo colpisce- vediamo sempre più svilupparsi una rete di infrastrutture che sembra andare oltre la media nazionale.
Ma fermiamoci a Brindisi nell’anno 1990. E’ l’anno nel quale il CERPEM (Il Centro Ricerche socioeconomiche Per il Mezzogiorno), in uno studio sulla situazione e le prospettive dell’industria manifatturiera di Brindisi, rileva che la sua economia è stata segnata dalla logica della industrializzazione per poli (chimico, energetico, aeronautico), e individua in ciò l’origine dei limiti strutturali dello sviluppo locale, per quella creazione di monoculture produttive, la cui fissità e rigidità dei profili formativi e professionali avrebbe determinato poi in futuro –predice- un mercato del lavoro senza sbocchi e senza prospettive, con inevitabile crescita della non occupazione. Vedremo che l’anno 2014 essa segnerà il record del 30%!
Siamo ritornati nel tempo presente. E’ impressionante “scoprire” un paesaggio industriale simile a quello appena lasciato nel 1990! Ma davvero la macchina del tempo ci ha riportato alla Brindisi del 2014!?
Come prova del nove, decidiamo di sfruttare la macchina per farci un giro veloce in Europa.
Non v’è dubbio, siamo nel 2014, perché vediamo che il Continente si trova nel pieno dell’era della “de carbonizzazione” – considerata vitale per la sopravvivenza del pianeta. E si vede che da tempo esso è entrato nell’era della produzione “pulita” dell’acciaio, grazie all’utilizzo del sistema cosiddetto di “sinterizzazione” (detto in soldoni, di doppia depolverizzazione), chiamato Meros (Maximed Emission Reduction Of Sintering). Lo vediamo ad esempio in Austria a Linz, dove da un super inquinamento negli anni ’70, si è passati al quasi azzeramento dell’inquinamento da diossine, polveri e metalli pesanti, cioè alla fabbrica d’acciaio meno inquinante d’Europa. Sorvoliamo poi l’impianto di Duisburg in Germania, che ci ricorda, gemello com’è per tipologia, quello di Taranto –non a caso preso a modello di risanamento per l’ILVA, come ci informa in un convegno a Brindisi sulle bonifiche, il sub commissario Edo Ronchi-, dove si attua da tempo immemore un trattamento delle polveri tecnologicamente moderno, sono impiantati modernissimi captatori di fumi, e dove i parchi e i nastri trasportatori sono ovviamente chiusi!
Sì, siamo nel 2014, e Brindisi sembra essersi fermata al 1990, a 24 anni fa!
“Brindisi è ritornata ad essere una piccola provincia agricola”, si lascia amaramente andare il Presidente di Confesercenti, a commento dell’impietoso quadro del “benessere” locale, fotografato dalla divulgazione dei redditi del 2012 da parte del Ministero dell’Economia, a causa della crescente desertificazione industriale e occupazionale, originatisi, guarda caso, nei settori della chimica, dell’energia e aeronautico.
E’ come se il territorio di Brindisi, piccolo per dimensione e per volume di attività economiche, in tutto questo tempo fosse stata sospeso in un eterno presente, appiattendosi permanentemente sull’esistente, più che “industriarsi” a costruire un futuro diverso e migliore.
Eppure, c’è chi ancora oggi si ostina ad addossare la colpa del doloroso Prodotto Interno Lordo provinciale a un’autodistruttiva logica del Nimby -in realtà allo sviluppo ideale e sostenibile che non c’è mai stato e che non c’è!-, più che a quello che è stato realmente determinato, non ostante l’analisi, gli obiettivi e le 8 Azioni di ripresa suggerite dal CERPEM, fatti propri e divulgati per illuminante paradosso dal Centro Studi di Confindustria, tramite Assindustria locale, non da un fanatico ambientalismo del tempo.
Alla luce di questa retrospettiva storica si può comprendere meglio quanto il dramma odierno del destino lavorativo degli operai di Edipower, per citare un esempio attualissimo, non sia affatto figlio di un ottuso ambientalismo che ne vuole la chiusura, ma quanto piuttosto invece di quel miope, frenetico, incessante prodigarsi di una intera classe dirigente tesa a far fallire l’accordo del 1996 con il Governo, che prevedeva la chiusura nel 2004 di un catorcio industriale, altamente inquinante, ma con la contestuale salvaguardia di tutti i posti di lavoro, attraverso il transito programmato della residua forza lavoro (al netto dei pensionamenti naturali e dei prepensionamenti facilitati), nell’Ente di Stato Enel, siglato unitamente a un importantissimo protocollo aggiuntivo che definiva le misure e individuava i fondi per il risanamento e il rilancio ecosostenibile dell’economia territoriale!
Gli è che la cosiddetta “via adriatica allo sviluppo” dei distretti produttivi, affermatasi proficuamente in altre province, si è sempre stranamente interrompa ai confini della nostra, nonostante tante iniziative, come il recente Salone della nautica, che però non hanno fatto mai né fanno di per sé economia di sistema.
A Brindisi non si è forse perso più tempo ogni volta ad azzuffarsi per “scegliere” il Presidente dell’Autorità Portuale più che per promuovere la modernizzazione e l’internalizzazione della sua infrastruttura naturale storicamente più vincente, quale è sempre stato il suo porto, magari ideando di innestare su una moderna politica portuale un mercato della formazione, in favore di una nuova occupazione professionale?
Eppure, già nel suo nome, derivante dal messapico Bsedov (testa di cervo), Brindisi evoca quel porto il cui efficace, polifunzionale utilizzo, ha sempre determinato la rinascita della sua economia, le sue stagioni più felici, fin dai tempi dell’impero romano per passare all’epoca delle crociate e per finire a quella della “Valigia delle Indie”, nelle quali si è sempre sfruttato l’invidiata ed esclusiva condizione della nostra terra d’essere il naturale luogo di frontiera e di cerniera dell’Europa con l’Oriente!
Intanto, mentre qui noi sembriamo “correre” sempre incontro a un immobile presente, nella consumistica America, dal classico conteggio dei consumi come misura della ricchezza di una Nazione, sul quale si basa il Prodotto Interno Lordo, è in atto il passaggio alla Produzione Lorda (Gross Output), fondamentalmente basata su indicatori relativi alla produzione manifatturiera e alla qualità delle tecnologie impiegate, nonché sulla capacità di risparmio. Non è ancora l’avveniristico Prodotto Interno della Felicità, come misuratore del benessere delle Nazioni del futuro, ma è certamente una strutturale evoluzione dalla capacità consumistica alla competitività manifatturiera, attraverso l’innovazione, la ricerca, l’etica del risparmio. Del resto, da diverso tempo in Europa s’è fatta strada l’idea che occorra partire da nuovi indicatori dello sviluppo, compendiabili nella Felicità Interna Lorda, che ha radicali conseguenze sulle stesse produzioni. Anche da noi l’ISTAT ne indica 12, tra i quali la salute, l’istruzione, il lavoro, la tutela del paesaggio, la qualità della politica e della sicurezza…-, riassunti nell’acronimo BES (Benessere Equo e Sostenibile), omologo all’“indice dello sviluppo umano” ideato dal premio Nobel per l’economia, l’indiano Amartya Sen, funzionale non tanto o non solo per misurare il benessere (o malessere) esistente, ma soprattutto per delineare e orientare scenari di sviluppo più compatibili con la qualità del benessere delle comunità e che siano “comparabili” con indicatori dello sviluppo sostenibile che le Nazioni Unite nel 2015 si apprestano a dichiarare validi per tutti.
In questo scenario globale ed europeo, che sta sempre più assumendo nuovi indicatori che orientino qualitativamente crescita e sviluppo, Brindisi vuole continuare a essere il simbolo dell’Europa che sta morendo e che non vogliamo più, mentre in tante province d’Italia è in corso quella “resilienza”, come la chiama il sociologo Bonomi, e cioè quella ristrutturazione silenziosa e “visionaria” delle imprese che punta sul capitale umano e sulle punte di eccellenza, più avanzate, nella qualità dei prodotti e dei processi produttivi, come sta accadendo a macchia di leopardo a Prato, in Brianza, a Pescara, a Terni, a Livorno…, come ci informa il recente Rapporto del Censis, “Alla ricerca del vigore”?
Un territorio in crisi come il nostro non è forse proprio in passaggi cruciali come quello attuale che deve cogliere l’occasione per autodeterminare il proprio destino sul solco della sua migliore tradizione industriale manifatturiera, partendo però dai punti europei più alti della modernizzazione tecnologica e ad alto valore aggiunto, superando gli storici handicap dimensionali con intelligenti “farsi rete” delle imprese, e nei settori schiusi a un sicuro futuro (dall’edilizia sostenibile alle nuove frontiere tecnologiche dell’aerospazio, da una previdente e moderna ri-funzionalità del porto -magari “verde” a zero emissioni- ai distretti energetici del futuro fondati sull’economia dell’idrogeno, dal coraggio della sperimentazione dei prototipi che stanno rivoluzionando l’agricoltura a politiche di facilitazione del ritorno a casa, della “delocalizzazione al contrario” in corso di diverse nostre imprese), insomma, sviluppando quei settori economici e quelle manifatture, in un connubio osmotico con l’Università e i centri di ricerca, capaci di inserirsi nelle politiche dell’Industrial Compact europeo, che non potrà non avviarsi dopo le elezioni del 25 maggio, magari sotto l’impulso della presidenza italiana nel semestre europeo?
Può la classe dirigente attuale e la sua cultura industriale avvicinare Brindisi a un’Europa così lontana?
O non è forse venuto il momento, non più rimandabile da tempo, proprio perché si colloca in un passaggio di fase come quello europeo che impone nuovi orizzonti, di avviare una riconversione “ecologica” della politica e della cultura politica, della cultura d’impresa, della stessa funzione sociale delle rappresentanze dei lavoratori, delle funzioni e delle rappresentanze istituzionali e di governo, che siano locali o regionali, o europee, non limitata cioè ai veleni della chimica di ieri (come, aimè, al silicio di domani!), ma estesa a quello che è stato efficacemente chiamato “sistema Brindisi”!?
Forse solo così e solo allora, per dirla con Pasolini, potrebbe cominciare a Brindisi un “discorso sopra la realtà” non soffocato tra il conservatorismo dominante e un rullante sfascismo senza prospettive.
C’è bisogno di un discorso nuovo ma con interpreti diversi, a Brindisi, nei nostri paesi, alla Regione, in Europa, che accenda una speranza negli occhi di chi ha oggi vent’anni e non vuole fuggire da questa terra.
Ernesto Musio, Pd
Eccellente esposizione,ricca di contenuti;peccato che ci manchi la materia prima: “interpreti” illuminati che pensino non già al proprio interesse ma a quello della collettività.Questa materia prima continuerà a mancare se anche in coloro chiamati ad eleggerli persisterà la mancanza dei principi della comunità:dedizione,abnegazione,altruismo,integrazione morale;elementi tutti essenziali al perseguimento di interessi e fini collettivi.