INTERVENTO/ Amati figli,
L’antifona d’ingresso della celebrazione della “Domenica delle palme”, che ci introduce nella Settimana santa, recita così: «Gloria a Te che vieni, pieno di bontà e di misericordia». Stiamo completando il cammino quaresimale, anche se le condizioni storiche ci hanno portato a stare fermi, chiusi in casa. Nella tragedia umana, sanitaria e sociale, siamo invitati ad avere uno sguardo di fede. Guidati dalla Parola di Dio, vorrei offrirvi alcuni punti di riflessione su questo tempo e sulla Pasqua ormai vicina.
Cadiamo nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande (2Sam 24, 14) Questa frase è stata pronunciata dal re Davide quando si stava per abbattere il flagello della peste sul suo popolo. In un momento di prosperità, il re si era creduto superiore a Dio e padrone della storia, ma torna presto a capire che l’uomo è una piccola cosa. La pandemia di queste settimane ci fa sentire impotenti, rifugiati in casa per sfuggire a un nemico invisibile. Che cosa fare, quando siamo impotenti davanti al male? Umanamente ci si dispera, nella fede cresce la speranza. In questa Quaresima siamo tornati a riconoscerci fragili, abbiamo riscoperto che siamo piccoli,
che la vita è importante e che non si fonda sul successo, che oggi c’è e domani è spazzato via. Il Triduo pasquale ci aiuta a fare ancora un passo decisivo: consegnarci a Dio. È un atto esplicito della volontà e della fede, con cui mettiamo da parte l’orgoglio e facciamo della debolezza un punto di forza: «Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui la mia salvezza» (Sal 62, 2). Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie (Lam 3, 22). Disperazione significa ritenere che Dio non sia dalla mia parte, che abbia un amore a termine. Questa è la più grande tentazione e, nel momento della prova, si affaccia sempre. Chi di noi non ha sentito in queste settimane la paura di essere abbandonato? La Quaresima ci porta a riconsiderare la Pasqua di Israele, fuggito dall’Egitto, ma per quarant’anni ancora nel deserto, prima di giungere alla Terra promessa. Così siamo noi: abbiamo trasformato il benessere, la tranquillità, l’onnipotente conoscenza che ci offrono i mezzi di comunicazione nella meta della nostra vita, ma il traguardo non è questo. La pandemia ci sta conducendo nel deserto e questo ha un tratto paradossalmente positivo: liberarci dai pesi del mondo per incontrare Dio. Come farlo? Nel triduo pasquale, da giovedì sera alla notte di Pasqua, vi invito a valorizzare il silenzio. Vi chiedo di meditare la passione e morte di Gesù, che si è fatto povero, è stato umiliato, «insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia» (1Pt 2, 23). Nel deserto ha camminato Israele, lì è stato tentato Gesù; la pandemia non è il nostro deserto, ma è la prova che ci fa scoprire tutto ciò che ha reso arida la nostra vita.
Ma il cammino non è terminato: «Il Signore dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza» (Os 6, 2). Un samaritano vide e ne ebbe compassione (Lc 10, 32) Nella società dell’indifferenza e dell’annullamento di Dio, Egli torna a visitarci. La pandemia può diventare un’opportunità di rifondazione della nostra vita: darsi nuove priorità, cogliere l’essenziale, aiutare chi ha meno. Il Signore Gesù è il “buon samaritano”: non un personaggio in vista, non uno che ha bisogno di mettersi in mostra per il bene che fa; è ai margini, non viene riconosciuto e tanto meno apprezzato, disprezzabile agli occhi dei potenti e di quelli che vogliono avere sempre l’ultima parola. Quello stesso Signore che abbiamo messo ai margini torna a piegarsi su di noi e ci consola nel personale medico e sanitario che aiuta i malati, nei sacerdoti che continuano ad animare la vita di fede, nel senso di responsabilità dei governanti e chi si occupa dell’ordine pubblico, nella cura di chi tiene pulite le nostre città o garantisce i beni di prima necessità, nella bontà di chi condivide qualcosa di proprio con chi è solo e ha perso il lavoro: in questo io vedo il segno della speranza e la presenza di Cristo. Vi dico «grazie» per ciò che fate, specialmente per il bene silenzioso, non “gridato” attraverso i social. Avere compassione significa portare su di sé i pesi dell’altro, condividendo nel silenzio. Questa Quaresima ci ha offerto l’opportunità di cambiare vita. Il Triduo pasquale diventi l’occasione per elevare a Dio le nostre suppliche, da casa, nel silenzio, seguendo tutte le opportunità che i mezzi di comunicazione ci daranno per pregare. Guardiamo il Crocifisso, leggiamo e meditiamo dalla Bibbia la Passione di Gesù, confidiamo in Lui. Domenica prossima sarà la Pasqua di risurrezione, anche per il nostro cuore e per la nostra fede.
Vi benedico,
Domenico Caliandro
Arcivescovo di Brindisi-Ostuni
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