BRINDISI -(da Il7 Magazine) Sentivamo le sirene e il rombo degli aerei che volavano raso terra e i colpi delle mitragliette che ci inseguivano mentre correvamo verso i rifugi”. Sono trascorsi 77 anni da allora ma Evelina Villa quelle immagini le ha ancora fissate nei suoi occhi e nel suo cuore. Evelina oggi ha 85 anni ma quando la città di Brindisi venne prese di mira dai bombardieri inglesi, durante la seconda guerra mondiale, di anni ne aveva solo nove. “Certe cose non si possono dimenticare, ero una bambina- dice- e come tutti i bambini si fatica a capire cosa è la guerra, a concepire la violenza e la paura ma una volta che queste cose le vivi non le puoi più dimenticare”.
Evelina, che all’epoca viveva con la sua famiglia in via Porta Lecce, nel cuore del centro storico di Brindisi, almeno una volta al giorno era costretta a inseguire la salvezza nei rifugi antiaerei e nelle botteghe dove centinaia di brindisini, proprio come lei, cercavano di ripararsi dalle bombe e dai proiettili dei soldati inglesi. “Abitavamo in via Porta Lecce , tra queste quattro mura dove oggi c’è la mia merceria- racconta la donna- Abitavo qui con mia padre, mia madre e i miei fratelli. Ogni volta che sentivamo le sirene che ci avvertivano dell’attacco dei bombardieri cominciavamo a scappare. Il rifugio più vicino era quello in fondo alla strada, proprio all’ingresso di Porta Lecce, prima dell’arco. Era un cunicolo stretto e buio. Con noi c’erano tante altre persone, famiglie con bambini, anziani. Stavamo lì in silenzio, accendevamo i ceri per farci un po’ di luce e aspettavamo che tutto finisse”. Erano gli anni ’40 quando la città di Brindisi venne presa di mira dalle truppe nemiche, gli aerei inglesi puntavano a distruggere l’arsenale e il porto. La città era un punto strategico e costituiva un’importante base militare. I libri di storia raccontano che Brindisi subì i principali attacchi aerei nei mesi di novembre e dicembre 1940 e nei mesi di gennaio, febbraio, marzo, aprile, novembre e dicembre 1941. In una di queste terribili incursioni aeree Evelina perse gran parte della sua famiglia, la nonna, la zia con quattro figli piccoli, la sorella della nonna con il marito e altri parenti. “Undici di noi morirono sotto i bombardamenti- dice Evelina ricordando quella tragedia come se l’avesse ancora sotto gli occhi- è impossibile dimenticare”. Era la notte tra il 7 e 8 novembre 1941, Brindisi era avvolta nel silenzio quando le sirene cominciarono a squillare.
“Stavamo dormendo, poi abbiamo sentito le sirene e mio padre ci ha detto di uscire da casa e scappare- racconta Evelina- io avevo il pigiama , ero scalza, durante la fuga persi le ciabattine. Corremmo verso la prima bottega. All’epoca i posti sicuri erano i rifugi antiaerei o le botteghe perché erano più solide. Quando siamo entrati c’era già tanta gente , ci siamo stretti, stretti, l’uno con l’altro. Mi ricordo che la gente ripeteva sempre una litania: “San Lorenzo mittiti a mienzu”. Evocavano San Lorenzo affinchè si mettesse tra di noi e ci salvasse. Avevo paura, ero piccola, avevo solo nove anni. Dopo due ore l’attacco era finito, ma aspettammo ancora un po’ e poi uscimmo”. Quella sera quando Evelina e tutti gli altri rifugiati uscirono per strada si trovarono dinnanzi ad uno scenario apocalittico: “Solo macerie, macerie e urla. Intere palazzine rase al suolo, non c’era più nulla- dice la donna- sentivamo la gente da sotto le pietre chiedere aiuto. Mio padre cominciò a correre verso casa di mia nonna, in via Cittadella. Ma quando arrivò la palazzina non c’era più, era stata distrutta dalle bombe. Vidi la gente scavare con le mani. Quella notte morirono undici di noi, morì la nonna, la zia Lucia con i suoi quattro bambini, la sorella della nonna con il marito che erano appena tornati dal viaggio di nozze”. Nessuno di loro, nessuno dei parenti di Evelina riuscì a uscire da casa e raggiungere il rifugio. La notte tra il 7 e l’8 novembre 1941 persero la vita 80 brindisini, morirono tanti bambini e 21 vittime non furono mai identificate. Le bombe inglesi sventrarono la città. “Anche la nostra casa fu in gran parte distrutta- ricorda Evelina- la culla dove dormiva mio fratello era stata bruciata. A quel punto mio padre ci portò tutti via. Andammo a Trepuzzi dove rimanemmo per cinque anni. Lui però tornava ogni giorno a Brindisi perché doveva lavorare, era un progettista, disegnava gli aerei militari e avevano bisogno di lui. Avevamo perso tutto la casa, le nostre cose. Vivevamo del pezzo di pane che lo Stato ci dava e che ritiravamo con la tessera”. Nel bombardamento di novembre Evelina e la sua famiglia persero quasi tutto, segnati dal profondo dolore lasciarono la città e aspettarono la fine della guerra rifugiandosi a Trepuzzi. Di quel periodo Evelina non ha un oggetto o una foto. Il sorriso ritorna sul suo volto quando finalmente tutto è finito e nel 1946 torna a casa sua , a Brindisi. Qui frequenta l’istituto superiore magistrale e la sua vita riprende. Una delle prime foto che testimoniano la sua rinascita è uno scatto proprio del periodo della scuola superiore, Evelina è seduta in posa con le trecce accanto alle sue compagne di scuola e sorride. “Dopo la guerra mio padre rimise in piedi quel che restava della nostra casa- racconta- ma non ci andammo più a vivere. Con il passare degli anni poi mi sono sposata , ho avuto due figli, e con mio marito abbiamo aperto qui l’attività”. Oggi Evelina è vedova e continua a condurre l’attività di famiglia. Ogni giorno Evelina apre la sua merceria in via Porta Lecce, qui il tempo sembra essersi fermato: ci sono prodotti di tutti i tipi, matasse di cotone , bottoni, soldatini di plastica e saponi di marche come non se ne vedono più . In sottofondo la radio che suona musica anni ’60. Evelina, bella come in quella foto dei tempi del magistrale, è dietro al bancone e sorride ma i suoi occhi hanno una luce un po’ malinconica, sono gli occhi di chi ha visto l’orrore della guerra e non lo ha mai dimenticato.
Lucia Pezzuto
(da Il7 Magazine)
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