“Bisogna guardare avanti ne ha bisogno la democrazia. Ecco perchè votare si”

INTERVENTO/Il referendum cui saremo chiamati il prossimo 4 dicembre può segnare un reale momento di svolta per la storia della nostra giovane Repubblica. La riforma, è bene ricordarlo, conferma in toto la prima parte della Costituzione: quella che ci fa dire che è «la più bella del mondo». La legge alla prova del referendum manda in soffitta alcuni pezzi anacronistici della Costituzione, poco aderenti alla domanda di uno Stato efficiente e moderno. Come il bicameralismo paritario: questo significa che l’iter di approvazione delle leggi sarebbe molto più veloce.

Siamo convinti che anche le norme facciano il loro tempo e che non esistano leggi universali che non seguano l’evoluzione della società e del mondo: questo vale anche per le regole fondanti che regolano la nostra democrazia, alcune delle quali risentono inevitabilmente del contesto storico nel quale vennero scritte e promulgate.

L’Italia ha bisogno di avvicinarsi al cuore dell’Europa, ai suoi tempi, a un orizzonte che deve una volta per tutte liberarsi della tensione del dopoguerra. La modifica della parte Seconda non è che una riflessione sul tempo presente, contiene il progetto di uno Stato che in settanta anni è cambiato, si è evoluto, si sono evoluti i rapporti con gli altri Paesi e con un sistema politico che oggi si pone nuove priorità e nuovi traguardi. E guarda necessariamente avanti.

La legge di riforma predispone lo Stato ai grandi cambiamenti in atto. Restare fermi significa indebolire la democrazia e rimanere invischiati in mille veti incrociati. La legge sfronda e alleggerisce. Basti pensare alla riduzione del numero dei senatori, che passerebbero da 315 a 100. I consiglieri regionali non potrebbero più percepire un’indennità più alta del sindaco del capoluogo di regione; i gruppi regionali non sarebbero più finanziati pubblicamente e le Province sarebbero abolite definitivamente.

Sarebbe abolito il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro e con esso i suoi 65 membri e si abbasserebbe  il quorum per la validità dei referendum abrogativi. Il nuovo Senato, infine, diverrebbe il luogo di rappresentanza dei Comuni e delle Regioni in modo tale che questi ultimi, attraverso i sindaci e i consiglieri che ne farebbero parte, potrebbero intervenire direttamente nel procedimento legislativo.

La riforma è la buona battaglia contro gli sprechi, i rami improduttivi della spesa pubblica, i doppioni istituzionali, e a favore di uno Stato dinamico, efficiente, competitivo, come già ricordato, più europeo. Le ragioni del Sì sono ragioni di opportunità. In caso di vittoria del No la Costituzione italiana, che tutti chiedono di cambiare, diventerebbe intoccabile. Chiedo chi e come potrebbe compiere un altro tentativo riformatore dopo due referendum falliti!

Se vogliamo, e questo è un aspetto che non merita di essere trascurato, la riforma riporta nel suo naturale alveo la genesi della Carta costituzionale: in effetti il progetto di Parlamento monocamerale fu abbandonato a favore di una via negoziale che portava al compromesso tra i due grandi partiti del dopoguerra: la Democrazia Cristiana voleva che il parlamento fosse composto da una Camera dei deputati, rappresentativa dei cittadini, affiancata da un’altra camera che rappresentasse il mondo del lavoro e le attività produttive. Il Partito Comunista voleva invece un parlamento monocamerale. Non riuscendo a decidere tra i due modelli, nacque il bicameralismo perfetto: la prima rinunciò alla rappresentanza delle attività produttive, il secondo al monocameralismo.

La sinistra era schierata per l’opzione monocamerale, con motivazioni diverse: secondo Nenni i due rami avrebbero minacciato la funzione legislativa rallentando il cammino di qualsiasi legge. Emilio Lussu si opponeva al bicameralismo sulla scorta della esperienza del senato fascista, che definiva una stalla. La seconda camera, diceva testualmente Lussu, è un duplicato vano, una specie di dama di compagnia. O Guido Iacometti, che parlava di camera della paura. O ancora Vincenzo La Rocca, che contrapponeva due ipotesi: se il Senato esprime la stessa volontà della Camera allora è un doppione; se invece esprime una volontà diversa, uno dei due rami non rispecchia la volontà popolare. Infine Palmiro Togliatti, più conciliante con la tesi bicameralista, che tuttavia in un frangente qualificò come bizzarria; una norma – era il pensiero di Togliatti – dettata dal timore e dalla prudenza di De Gasperi che, attraverso due camere, aveva pensato di poter attutire gli effetti di una posizione dominante del Partito Comunista o della Democrazia Cristiana.

Infine, la proposta di Paolo Barile, quella di una seconda camera formata da quattro rappresentanti per regione, uno scenario non dissimile al Senato ipotizzato dalla legge di riforma al vaglio del prossimo referendum confermativo.

Concludo ricordando quanto diceva, a questo proposito, Piero Calamandrei, uno dei padri nobili della nostra Costituzione. «La Costituzione italiana – affermava il grande giurista – è più che un documento giuridico, è uno strumento politico, è la promessa di una trasformazione sociale, è la Carta che fonda una civiltà pronunciandone regole e diritti». Pensando alla Costituzione torna in mente l’immagine dantesca di colui che, camminando con il lume dietro, «dopo sé fa le persone dotte»: la Costituzione repubblicana, più che segnare le conquiste raggiunte, segna e illumina una strada, la trasforma in un cammino di crescita pacifica e civile. Noi pensiamo che sia il tempo di indirizzare questa strada verso un orizzonte di civiltà che indichi la soglia del FUTURO.

Sono sicura che il 4 dicembre i brindisini sapranno interpretare i valori di cambiamento contenuti nella riforma. Diciamo Sì per confermare una riforma che riconcilia la Costituzione con il tempo, consegnando finalmente alla storia il dibattito del 1948. Confermare la riforma “Sì” può. BrindiSì è pronta a farlo.

Rosy Barretta
Coordinatrice «Comitato BrindiSi può»

1 Commento

  1. La democrazia, quella vera, ha bisogno della garanzia di una doppia camera, che non consenta di accentrare i poteri in una sola mano, di qualsiasi declinazione essa sia

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