BRINDISI – Si sarebbe dovuto chiamare Gabriele, anzi, si chiamerà così. Lo hanno deciso la sua mamma e il suo papà. Lo aspettavano da 9 mesi, quel bambino. Ormai era arrivato il momento di dargli il benvenuto: il parto era stato programmato per l’8 gennaio. Tutto era pronto: i vestitini, le lenzuola e quello di cui avrebbe avuto bisogno nei suoi primi giorni di vita. Il piccolo, però, non ce l’ha fatta, soffocato, secondo quanto dichiarato dai medici al padre, dal troppo liquido amniotico ingerito mentre era nel grembo della sua mamma. Era nato vivo, Gabriele, ma il suo cuoricino ha smesso di battere quasi subito. Ora i suoi genitori, assistiti dall’avvocato Giovanni Zaccaria, vogliono la verità, vogliono sapere se il loro figlioletto ce l’avrebbe fatta se le porte di quell’ascensore si fossero aperte.
«Come padre del bambino, che è nato vivo, chiedo alla magistratura di procedere con tutte le indagini necessarie affinché si faccia chiarezza sulle cause che hanno determinato la nostra tragedia, con il sequestro della cartella clinica e di tutti i referti medici e anche sottoponendo all’autopsia il corpo di mio figlio. Chiedo, inoltre, che si faccia luce sulle eventuali colpe mediche e che si cerchino gli eventuali colpevoli, senza dimenticare l’inaccettabile circostanza del mancato funzionamento degli ascensori grandi, quelli con cui mia moglie avrebbe dovuto raggiungere in barella il quinto piano». Così il papà del bambino morto subito dopo il parto, nella tarda serata del 7 gennaio scorso, al Perrino, si appella alla magistratura per ottenere le risposte a quelle domande che da quell’agghiacciante comunicazione effettuata dai medici non cessano di tormentare la sua testa e quella della sua compagna.
«Martedì sera – racconta l’uomo – mia moglie lamentava dei piccoli fastidi alla schiena. Dopo aver sentito il ginecologo che ha seguito la gravidanza, abbiamo deciso di recarci in ospedale, visto lo stato avanzato della gestazione. Siamo arrivati al Perrino intorno alle 21.30 e siamo saliti al nono piano, dove si trova il reparto di ostetricia e ginecologia. Già qui sono cominciati i primi intoppi: un’infermiera ci ha rimandati giù in pronto soccorso, per procurarci il “foglio” necessario al ricovero. Per sbrigare questa pratica è passato circa un quarto d’ora. Ritornati su, a mia moglie è stato effettuato il tracciato a seguito del quale si è deciso per il cesareo». Fino a quel punto, la coppia non aveva idea di quello che stava per succedere. L’intoppo burocratico sembrava solo un fastidio, un impiccio tra loro e il loro bambino.
«Poiché gli ascensori “grandi” erano disabilitati e comunque non funzionanti, le infermiere hanno contattato telefonicamente una guardia giurata della sorveglianza, affinché con le sue chiavi aprisse le porte che danno sulle rampe esterne di emergenza. Per far fronte al tragitto, hanno sistemato su mia moglie tre coperte, avvolgendola completamente. È facile immaginare, stando così le cose, il ritardo che il trasferimento al quinto piano ha comportato». Da qui, per l’uomo, è cominciata una lunga attesa: quella di tutti i neo papà che aspettano che qualcuno arrivi e gli comunichi che, sì, è andato tutto bene. Ma non è questo il caso.
«Mia moglie è ritornata dalla sala operatoria intorno a mezzanotte, accompagnata dalle infermiere. Del bambino, però non si avevano notizie. La mia preoccupazione è aumentata perché, circa mezzora prima, avevo visto due infermiere al nono piano che tentavano di far entrare invano negli ascensori piccoli l’incubatrice mobile da trasporto: non riuscendoci hanno contattato di nuovo il personale della sorveglianza, per aprire la solita porta che dà sulla rampa esterna di emergenza, accumulando altro ritardo». Quello che in principio era solo un fastidioso tarlo, cominciava ora a farsi prepotentemente strada nella testa della coppia.
«Chiedevamo alle infermiere dove fosse Gabriele ma ci rispondevano che potevamo avere notizie solo dai dottori. Solo verso mezzanotte e mezza una dottoressa mi ha chiamato in uno studio dell’Utin e mi ha rivolto queste parole: “Abbiamo tentato in tutti i modi di rianimarlo ma non ce l’abbiamo fatta”. Dopo qualche istante, si è anche avvicinato un altro dottore che ha aggiunto: “Il bambino aveva ingerito molto liquido amniotico e pur aspirandolo non si è riusciti a farlo respirare”».
Una certezza tremenda in un oceano di dubbi logoranti che accompagneranno per tutta la vita i genitori di Gabriele. Almeno finché chi di dovere non consegnerà loro una verità che, qualsiasi essa sia, non chiuderà una ferita destinata a sanguinare per sempre.
Intanto, al Perrino, sono arrivati i Nas,. I carabinieri del nucleo antisofisticazioni di Taranto, ieri mattina, hanno effettuato un sopralluogo e acquisito la documentazione relativa agli appalti e al servizio di manutenzione degli ascensori del presidio, dove martedì scorso una donna di Carovigno ha perso il bambino che portava in grembo. I militari hanno ripercorso, insieme al personale dell’Asl e alla guardia giurata che ha aperto la porta da dove la barella avrebbe affrontato un tragitto all’esterno della struttura, l’itinerario fatto dalla donna per raggiungere gli ascensori funzionanti. Le verifiche sono state compiute su indicazione del pubblico ministero Pierpaolo Montinaro che indaga sulla vicenda.
Ieri è stata anche dimessa la 34enne mamma del bimbo morto. Nel frattempo, sono ore di studio, queste, per Montinaro. Il magistrato sta spulciando le cartelle cliniche sequestrate dalla polizia giudiziaria lo scorso martedì, dopo la tragedia. Montinaro, nelle prossime ore, più verosimilmente lunedì, potrebbe disporre l’autopsia sul corpo del piccolo per accertarne le cause della morte. Solo allora si potranno conoscere i nomi dei possibili indagati e solo dopo l’esito dell’esame si potrà capire il nesso di causalità tra il malfunzionamento dell’ascensore che avrebbe dovuto portare la puerpera dal nono al quinto piano per essere sottoposta al parto cesareo e la morte del bambino.
Maurizio Distante
Vergogna.vergogna. Portiamo negli ospedali italiani i nostri figli a nascere e ce li consegnano in una bara. Noi,dopo tre anni, aspettiamo ancora giustizia per nostro figlio federico.
Non e’ possibile,come mai la puerpera allo scadere dei nove mesi non era in ospedale…..per effettuare i controlli di routine????…… Il medico che l’ha seguita perche’ non l’ha esposto ai rischi che correva stando a casa!!!!!!