BRINDISI- Zona industriale di Brindisi, via Enrico Fermi, alle 6.00 del mattino davanti ai cancelli del Petrolchimico ogni giorno c’è il cambio turno, in fila indiana , attraverso lo stretto passaggio che divide la strada carrabile dal gabbiotto della guardiania sfilano gli operai della Lyondell Basell, che proprio all’interno di quell’area ha uno dei più grossi impianti del meridione. Gli operai camminano in silenzio, salutano i colleghi ma nessuno dice una parola in più, sono giorni difficili l’azienda per la quale lavorano da anni ha annunciato la chiusura di uno dei due impianti attivi (denominato P9T). Alla base della decisione di chiudere ci sono le difficoltà congiunturali del polo chimico brindisino. Secondo i vertici dell’azienda, i macchinari dell’impianto sono obsoleti e non garantiscono competitività. “Il mercato di riferimento per i prodotti realizzati dall’impianto di Brindisi è sempre più difficile, con una prospettiva di miglioramento molto scarsa” ha affermato Jim Guilfoyle, senior vice president di Lyondell Basell. Il gruppo ha quindi deciso di puntare su siti produttivi e mercati più profittevoli. Ora 47 dei 135 dipendenti della multinazionale olandese sono a rischio , per loro si prospetta il licenziamento o nella migliore delle ipotesi il trasferimento nello stabilimento di Ferrara. Da quando la notizia è stata resa pubblica e si è diffusa un velo nero è calato sulle vite di queste persone. Andare vicino ai cancelli per parlare con loro è inutile, gli sguardi sono persi nel vuoto e molti camminano a testa bassa e non parlano. Chi condivide le giornate con loro descrivono l’ambiente come se fosse “un cimitero”. “Il clima è pessimo- riferiscono- la mensa sta chiudendo e molte ditte dell’indotto che lavorano nello stabilimento hanno cominciato loro stesse a licenziare perché commesse non ve ne sono più”. La decisione della multinazionale ha quindi un effetto boomerang che si ripercuote su tutto il sistema di produzione, indotto compreso. Gli operai a rischio della Lyondell Basell sono 47, l’azienda parla di numeri in esubero, in realtà sono padri di famiglia e giovani che sino a ieri avevano una prospettiva di futuro per loro e per i loro figli, gente tra i 30 e i 50 anni che ora non sa più cosa fare. “E’ un deserto -riferiscono- molti hanno già gettato la spugna, si sono messi in ferie. Hanno preferito così , come se oramai fosse anche inutile venire a lavoro o tentare di difendere la propria occupazione”. Le soluzioni per questi lavoratori non sono molte, si dice che chi ha un età che supera i 50 anni si sta valutando il pensionamento anticipato come già accaduto in altre circostanze simili. Per i più giovani, invece, l’alternativa al licenziamento è il trasferimento nello stabilimento di Ferrara. Ed è proprio Ferrara uno dei nodi della vicenda. Qui Basell negli ultimi anni ha investito tantissimo attraverso un impianto pilota, di recente inaugurato, con tecnologia MoReTec (molecular recycling technology), che rompe le molecole della plastica postconsumo, compresi i materiali multistrato e misti – finora non recuperabili – e realizza olio di pirolisi, appunto. Servirà al posto della virgin-nafta di origine fossile, un prodotto della raffinazione del petrolio, per alimentare il processo di steam cracking per ottenere monomeri come l’etilene e il propilene, usati successivamente per fare nuovi polimeri. Tutto sommato chi sarà trasferito, se sarà trasferito sul serio, potrebbe continuare ad avere una prospettiva per il futuro. Ma non solo se da un lato la multinazionale olandese chiude uno degli impianti nella sede brindisina dall’altro, si legge in una intervista su Il Sole 24Ore al presidente della Basell Poliolefine Italia, sarebbe pronta ad aprirne un altro in Germania . “Abbiamo cominciato a lavorare a questo progetto a Ferrara tre anni fa mettendo in funzione un impianto semi-industriale con una capacità di trattamento di 50 tonnellate all’anno di materia plastica. Grazie a questi studi ora ne verrà costruito uno industriale da circa 50mila tonnellate all’anno nel sito di LyondellBasel di Wesseling, vicino a Colonia, in Germania: sarà operativo dal 2026. La nostra idea è quella di continuare gli studi per aumentare il volume produttivo. Un punto di forza di questa tecnologia è la sua scalabilità”, spiega Gabriele Mei, vicepresidente della catalisi e del processo industriale e presidente della Basell Poliolefine Italia, che aggiunge: “La collocazione in Germania è legata alla presenza in loco di un impianto cracker, che utilizza cioè l’olio di pirolisi ricavato dal riciclo chimico per creare nuovi monomeri e quindi nuova plastica”. Che il sito brindisino non sia più di interesse per la multinazionale? Alla luce delle ultime dichiarazioni di Mei sarebbe anche lecito pensarlo ed ipotizzare di conseguenza che la multinazionale olandese ha ben altri programmi per il futuro. Ma se gli operai dello stabilimento brindisino scelgono la linea del silenzio, così come qualcuno dice sia stato suggerito loro, non è lo stesso per i sindacati e la politica che da giorni sono sul piede di guerra tentando di smuovere le acque a livello territoriale e ministeriale . Si susseguono in queste ore i tavoli di consultazione, l’ultimo in ordine di tempo è quello svoltosi lunedì in prefettura alla presenza della prefetta Michela Laiacona, le rappresentanze sindacali e l’on. Mauro D’Attis . “Si tratta di una questione nevralgica per Brindisi e per la Puglia, su cui ho già, assieme ad altri colleghi, depositato un’interrogazione al governo, ma anche nazionale perché investe ad ampio raggio le politiche industriali del nostro Paese: è evidente che il gruppo americano non possa assumere una decisione del genere senza alcun confronto con le istituzioni. Ma ci sono più vicende che si stanno affastellando a Brindisi e che riguardano il futuro dell’industria post carbone, tanto da richiedere l’avvio di un focus che coinvolga le istituzioni regionali e nazionali. La crisi Basell può provocare un effetto domino su tantissime realtà dell’indotto, ma non è l’unica che in queste settimane richiama l’attenzione pubblica- ha detto il parlamentare- C’è anche la transizione ecologica che interessa la Centrale Federico II di Enel. Perciò, adesso l’impegno deve viaggiare sui binari del confronto tra Governo e Regione, con determinazione per il rilancio del settore industriale della città. Il futuro di Brindisi ha tutte le carte per essere una “questione nazionale”.
Lucia Pezzuto per IL7 Magazine
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