Baldassarre: “Non candidando Brindisi contribuiamo a maltrattarla”

BRINDISI- Riceviamo e pubblichiamo integralmente l’intervento dell’ex vice sindaco Paola Baldassarre, già assessore provinciale alla Cultura, a seguito delle decisione della giunta comunale di ritirare la candidatura di Brindisi a capitale europea della cultura. Per l’esponente dell’Udc si tratta di un’occasione perduta, in vista di un percorso che la città avrebbe potuto intraprendere non per vincere la selezione ma per gettare le basi ad una nuova concezione di economia della cultura.

“Nelle Lettere a Lucilio, Seneca sosteneva che: “le virtù non si praticano in vista del premio, il premio di un’azione virtuosa sta nell’averla compiuta”. Scomodo Seneca perché vorrei introdurre un pubblico dibattito sulla candidatura di Brindisi (candidatura di poi opportunamente revocata con delibera della Giunta Comunale) a capitale europea della cultura.

Giova ricordare che quando nel lontano 1985 Melina Mercuri lanciava la straordinaria iniziativa delle ECoC, poneva come asse fondante ed ineludibile una strettissima connessione tra cultura e rigenerazione urbana, includendo i profili economici e sociali.

Obiettivo strategico era ed è la rigenerazione di un economia stagnante, al fine di attrarre nuovi investimenti, promuovendo l’inclusione sociale.

Quale era il progetto che specularmente alle istanze europee e’ stato prodotto dall’amministrazione comunale? Non riesco ad intravedere la sostanza di un progetto credibile, tanto nel metodo quanto nel merito,  saldato ad un percorso realmente virtuoso per la nostra comunità.

Invito politici , amministratori e semplici cittadini come me, a leggere il programma ed i risultati di Lille 2004, Liverpool 2008, Ruhr 2010…

Il mio amico Claudio Bocci, direttore di Federculture, non mancava di sottolineare l’immenso valore del progetto di accountability che LIVERPOOL  aveva affidato all’università’, coprendo un arco temporale di 9 anni.

Amava, infatti, ricordare che il “valore del progetto risiede nella progressiva introduzione, nelle città candidate, di un processo di bottom-up che introduce la pianificazione strategica a base culturale”. Una pianificazione se e’ in grado di scardinare vecchie dinamiche, partendo dal basso, offre inequivocabilmente un modo nuovo e fecondo di ripensare le città.

Corroborare e vivificare il rapporto tra cultura e territorio impone una domanda: quale cultura, quale territorio? Non esiste cultura se non quando si e’ pienamente consapevoli dell’idea che si deve avere cura di una realtà vitale:la crescita dell’uomo. Dobbiamo coltivare la piena consapevolezza che si debba partire da tre principi il cui valore percepisco come verità incontrovertibile:

1)    l’identità individuale dei nostri ragazzi non si riconosce più in una dimensione comunitaria;

2)  comprendere che la cultura, sia quando è legata a processi cognitivi, sia quando fa riferimento alla fruizione dell’arte, è strettamente connessa alla crescita dell’uomo.

3)    Riappropriarsi della BELLEZZA.

Non esiste territorio se non quando viene percepito nella sua dimensione antropica, sì da essere paradigma per declinare la cultura nelle sue forme più variegate(teatro,musica,cinema,letteratura,pittura,archeologia), collocandola nel contesto dei bisogni del consumatore moderno.

Investire nel capitale umano richiede il rigore di una intelligenza senziente ed un cuore immenso.

Nessuna amministrazione può sottrarsi a tale obbligo vitale

Cosa si progetta per consolidare i processi cognitivi delle classi sociali in sofferenza,che scontano un analfabetismo di ritorno, le cui drammatiche conseguenze rappresentano una ferita nel nostro tessuto comunitario?

Come si investe nell’economia della conoscenza al fine di generare il bisogno di cultura come fruizione dell’arte, in un momento in cui si sconta, con evidente drammaticità, una disaffezione che investe tutti gli ambiti sociali, penalizzando le classi più deboli?

La stretta relazione tra cultura e rigenerazione urbana e’ una verità inconfutabile.

Ed allora nella nostra città quale processo di trasformazione urbana è stato posto in essere allineando interessi privati e pubblici?

Come si riqualificheranno i quartieri periferici?

Come saranno recuperati e fruiti  i beni monumentali?

Allo stato, fatta salva la rigenerazione del porto, antico progetto in via di definizione, la città sconta un gravissimo degrado urbano. Aver pensato di investire denaro per pubblicizzare un progetto (che oggi apprendiamo, opportunamente, non vedrà la luce) può essere paragonato all’incauto acquisto di arredi per una casa che non si può costruire.

La città può essere salvata dalla Bellezza soprattutto potenziando i luoghi del nascondimento al fine di promuovere percorsi di alfabetizzazione letteraria, musicale e dell’arte in genere rivolgendosi alle classi sociali escluse dai processi culturali.

Brindisi merita un progetto che possa saldarsi ad un’idea di formazione permanente per sconfiggere l’oggettiva implosione delle istituzioni e l’anomia delle relazioni sociali. Appellandosi alla funzione sociale delle imprese (come è stato nel caso del mio progetto “Test no problem” finanziato dall’ENEL) si può immaginare di realizzare strutture mobili al cui interno, come negli antichi laboratori rinascimentali, si possa trasferire il sapere, rivitalizzando, altresì, l’artigianato locale.

Le forze migliori di questo territorio devono riprendere a promuovere la cultura perché è l’unica realtà che rappresenta l’ambito ”della piena fiducia e corrispondenza, il luogo dell’insostituibile e dell’appassionato: ciò che di per sé non è mai sottoposto al calcolo della transazione commerciale”.

Abbiamo bisogno di credere che questa città possa rinascere.

Non perdiamo un’occasione non candidandoci ma, molto più concretamente, acquisiamo la piena consapevolezza della mancanza di una visione globale e strategica per una città che continua ad essere ferita e maltrattata.”

Brindisioggi

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