INTERVENTO/ Mi è capitato in questi anni di scrivere ed intervenire più volte sul tema del futuro del porto di Brindisi, nello sforzo di provare a mantenere una qualche coerenza di ragionamento e di verità, senza curarmi della “opportunità” politica.
E allora, alla vigilia di scelte importanti per il futuro del porto e della città, vorrei riassumere in modo estremamente schematico alcuni fatti e convinzioni.
- Si discute da anni di una riforma dell’ordinamento portuale nella prospettiva di rilanciare la competitività del sistema portuale e della logistica nel nostro paese, indebolita negli ultimi anni dalla estrema frammentazione dell’offerta di servizi, dalla scarsa integrazione e dalla dimensione regionale delle infrastrutture: da qui una riforma di sistema che guardi con ambizione al rilancio di una forte presenza dell’intero paese nel mercato globale delle merci. Non possiamo immaginare il futuro di Brindisi o della Puglia se non all’interno di questa strategia.
- L’attuale Governo, con il Ministro Delrio, prova finalmente a portare a termine tale riforma adottando un nuovo “Piano nazionale della portualità e della logistica” e rivedendo la governance delle infrastrutture portuali, superando (sia nel numero che nella “mission”) le attuali Autorità portuali e introducendo le cosiddette Autorità di Sistema Portuale.
- Nella proposta iniziale del Ministro vengono individuate 14 Autorità coincidenti con i cosiddetti “porti core”: Genova, La Spezia, Livorno, Napoli, Gioia Tauro, Cagliari, Palermo, Augusta, Ancona, Ravenna, Venezia e Trieste, più una unica Autorità per la Puglia (pur essendoci due porti core, Bari e Taranto) e più Civitavecchia (unico porto non core inserito per la peculiarità commerciale e strategica del porto laziale).
- La definizione dei porti “core”. Non dirò, come leggo talvolta, che Brindisi non è porto “core” perché eravamo distratti o malgovernati (cosa che peraltro penso, se ricordo qual’era il Governo in carica o chi guidava allora, correva l’anno 2011, il porto di Brindisi). Ricorderò, invece, che la Commissione UE propose nell’ottobre 2011 i 14 porti “core” sulla base del rispetto di uno di questi tre criteri: a) avere un traffico complessivo merci (prendendo a base la media del triennio più recente – all’epoca si utilizzò il 2007-2009 – dei dati Eurostat) maggiore dell’1% del totale UE; b) appartenere ad un nodo urbano primario; c) ogni Area definita come NUTS 1 (in Italia sono più Regioni aggregate) doveva avere almeno un porto core.
- Sulla base di tali criteri oggettivi (e non sulla base di, non so bene quali, artifici politici) furono individuati i 14 porti core: ed, in particolare, Taranto vi rientrò abbondantemente per il criterio del traffico merci mentre per Bari, pur non avendo tale requisito, venne considerato il criterio di essere nodo urbano primario al pari di Napoli, Palermo e Ancona. Brindisi non aveva nessuno di tali requisiti.
- In uno studio pubblicato nei mesi scorsi, sulla base del criterio del traffico merci prima richiamato applicato al triennio 2011-2013, è stato aggiornato l’elenco degli attuali 14 porti core integrato con i 4 porti (Civitavecchia, Savona, Salerno e Brindisi) che si sono candidati ad essere inseriti nella revisione della lista dei porti core. Quel che viene fuori è che solo nove porti rientrano nel requisito richiesto, tra questi nettamente Taranto (con un coefficiente pari a 1,78), mentre Brindisi è quindicesima con un coefficiente pari a 0,47 e Bari si attesta al diciottesimo ed ultimo posto con uno 0,28.
- Un ultimo dato che vorrei richiamare viene dalla lettura dei bilanci consuntivi 2014 delle autorità portuali di Bari (con Barletta e Monopoli) e di Brindisi, da cui si può leggere che l’ente di Bari ha circa 11 mln di euro di entrate correnti (cifra ormai stabilizzatasi per un porto avviato verso la saturazione dei traffici) a fronte degli oltre 13 mln di euro di Brindisi (cifra che può crescere con l’acquisizione di nuovi traffici e il rilascio di nuove concessioni).
Questi sono fatti e dati oggettivi, da cui traggo alcune convinzioni.
La prima è che la scelta giusta per la governance futura dei porti pugliesi è l’Autorità unica di sistema: una prospettiva ambiziosa ma pienamente rispondente alla filosofia della riforma, rivolta alla piena e funzionale integrazione e valorizzazione delle varie infrastrutture pugliesi, da Bari a Brindisi a Taranto, e per candidare davvero la Puglia intera ad essere una delle piattaforme logistiche più importanti del Paese e dell’intero Mediterraneo.
La “spinta” che viene, invece, da Bari, con il silenzio complice della Regione, sembra ignorare questa ambizione per far prevalere banali interessi di corto respiro sulla base di una definizione, porto “core”, figlia di un criterio non commerciale e di una realtà fortemente mutata rispetto a cinque anni fa, come abbiamo visto da alcuni dati sopra richiamati.
Viene, legittimo, il dubbio, che spero venga smentito da fatti concreti e non certo da vaghe parole, che questa “pervicace” volontà di conservare l’autonomia di Bari, magari “accorpando” Brindisi in nome del comune affaccio sull’Adriatico, sia un modo per sterilizzare l’attuale assetto commerciale e mettere in sicurezza traffici e bilanci.
Per questo, prima ancora di discutere se a Brindisi convenga più andare con Bari o con Taranto e a fronte di legittime ma improbabili rivendicazioni di autonomia, credo che dalla comunità brindisina (dalle istituzioni alle forze sociali agli operatori) debba venire nelle prossime ore una forte iniziativa verso i Governi nazionale e regionale perché si colga la opportunità dell’Autorità unica quale prospettiva più lungimirante e utile all’intera portualità pugliese. Altre soluzioni sarebbero un grave errore e, per alcuni territori, nulla di più che deboli e asfittiche vittorie di Pirro, all’insegna dell’anacronistico e mediocre localismo.
Sen. Salvatore Tomaselli
Capogruppo PD Commissione Industria
Di chi è la responsabilità, come si chiede Lei egregio professor Ligorio? E’ solo di quella parte del popolo di Brindisi e dintorni che è entrata in una cabina elettorale ed ha messo un segno.Ed ora, purtroppo, tutto questo popolo la sta pagando cara. Ma il meglio deve ancora arrivare.
Gent.le On Tomaselli,
anche se non leggerà il commento al suo intervento, ma mi sorge comunque un “dubbio/domanda” : di chi è la responsabilità dell’assenza di traffico merci e passeggeri nel porto di Brindisi? E non parlo solo del biennio che la commissione europea ha preso in esame ma mi riferisco ad un trend negativo storico consolidato negli anni.
La responsabilità di proporre, attuare o fermare politiche contrarie agli sbocchi naturali di un territorio non ricadono nelle prerogative ti chi viene eletto in primis a livello locale e poi anche di chi ricopre incarichi politici a livello nazionale?
Di chi è la responsabilità di non aver saputo sfruttare al meglio le potenziali occasioni (parlo di fondi) date a livello comunitario? Inoltre di chi è la responsabilità di rubare progetti ( come è accaduto al sottoscritto) ma poi non essere capaci di metterli in atto per manifesta incapacità di comprendere e governare un territorio?
queste sono le tante domande che mi pongo ogni giorno da Mosca, dove sono dovuto emigrare.
Inoltre aggiungo non sarebbe stata Brindisi ( in condizioni diverse da quelle che troviamo oggi) l’approdo continentale del traffico che si appresta a partire dal Pireo con l’avvento della gestione cinese? (Taranto e Gioia Tauro saranno scartate per vari motivi).
La ringrazio per l’attenzione e nel caso legga questo commento le lancio l’occasione di replicare personalmente ( vincentligorio@gmail.com)
Cordialmente,
Vincenzo Ligorio
Professore di Economia Politica ed Internazionale presso Plekhanov Russian University of Economics, Mosca.