BRINDISI- Eni vende le quote a rischio 8 stabilimenti italiani e il centro di ricerca. Cgil Cisl e Uil chiedono un impegno forte del governo per decidere sul futuro della chimica in Italia che con questa operazione Eni starebbe svendendo. “ Il 12 gennaio incontreremo il ministro dello Sviluppo Economico insieme al management Eni per affrontare il tema del futuro della chimica italiana a fronte della decisione di Eni di dismetterla con i suoi stabilimenti di Marghera, Ferrara, Mantova, Ravenna, Brindisi, Priolo, Ragusa, Porto Torres, il Centro Ricerche e i suoi 6.000 lavoratori tra diretti ed indiretti.- scrivono Emilio Miceli (Segretario generale Filctem Cgil), Angelo Colombini (Segretario generale Femca Cisl),Paolo Pirani (Segretario generale Uiltec Uil)- Eni, attraverso la cessione del 70% di quote a SK Capital, un Fondo finanziariamente non adeguato di fronte all’impegno richiesto dall’acquisto di Versalis, intende svendere per dismettere la chimica italiana.”
I sindacati spiegano che dopo la parziale cessione delle quote azionarie di Saipem, Eni si appresta a cambiare radicalmente per diventare un gruppo che opera esclusivamente all’estero concentrando le sue attività nella ricerca e nell’estrazione di gas e petrolio, operando di fatto come broker oil.
“Così, nell’indifferenza di molti attori- aggiungono- ci si appresta a chiudere una tra le più importanti pagine dell’industria italiana, che ha permesso – attraverso l’integrazione raffinazione/chimica – di offrire una forte spina dorsale all’Italia industriale.Noi siamo preoccupati per le prospettive dell’Italia, dell’Eni, della chimica, della raffinazione italiana, del rallentamento dell’accordo di Gela e dell’eventuale dismissione delle attività di Gas/Power, perché dal progetto del management del Gruppo l’Italia perde una importante filiera industriale e l’Eni la sua caratteristica di azienda di “sistema” che garantisce l’insieme del ciclo produttivo, dall’estrazione al consumo.”
Per le organizzazioni sindacali torna la “maledizione della chimica italiana”, devastata negli anni ’90 dall’intreccio perverso tra affari e politica, spezzettata nel corso degli anni, ed ora sottoposta alla vendita di quel che è rimasto in favore di un Fondo che non ha né consistenza finanziaria, né tantomeno storia nella chimica.
“Serve solo ricordare che la storia di questo Fondo risale appena al 2009- continuano- all’inizio della crisi, e solo l’insieme delle acquisizioni fatte finora si avvicinano al valore attuale, e stimato da Eni, di Versalis. Noi crediamo che questa operazione abbia tutti gli ingredienti della svendita di un importante patrimonio industriale, fatta frettolosamente, forse per qualche decimale di dividendo straordinario, ceduta ad un soggetto che non ha vocazione industriale ma speculativa. Se il Governo dovesse dare via libera a questa operazione, si assumerebbe la responsabilità di scrivere la parola “fine” alla storia della chimica italiana. Il Presidente del Consiglio dovrà spiegare agli italiani come potrà crescere il Paese ridimensionando un pezzo importante dell’industria italiana, insieme alla storia di tanti territori che hanno orientato all’industria la loro vocazione ed i loro investimenti e si troverebbero in un tempo breve a dovere fare i conti con processi di declino e di nuova povertà. Dovrebbe inoltre spiegare come sia stato possibile presentarsi alla Conferenza sul clima di Parigi, forti dei propri campioni nazionali di sostenibilità – Eni in testa – nella piena consapevolezza che i possibili subentranti escludono investimenti nella “chimica verde” per concentrarsi esclusivamente in quel che resta della chimica tradizionale con un forte rischio di spezzettamento dell’azienda. L’Italia, senza Versalis sotto il controllo dell’Eni, non sarà in grado di adeguare il proprio processo produttivo in senso “green” e sarà costretta ad importare questi prodotti sostenibili: altro che modernizzazione del Paese! “
La dimensione del Fondo secondo Cgil, Cisl e Uil è tale che Versalis dovrà abbandonare gli investimenti previsti dal piano industriale, distruggendo quel delicato lavoro di riconversione che è stato il cuore di importanti protocolli industriali, sottoscritti in questi anni al ministero dello Sviluppo Economico, a partire da Porto Marghera e Porto Torres. “Purtroppo i numeri e non le parole dicono che SK Capital ha investito 1.5 mld dal 2009 ad oggi e che dovrebbe- concludono- per l’acquisto di Versalis, investire una cifra non lontana da quella. Si tratta dello smantellamento della chimica italiana da parte dell’Eni. Inoltre se si investe nella chimica tradizionale come unico terreno di gestione dei processi produttivi e non più quella “green” si aprirà il capitolo della obsolescenza del cracking di Porto Marghera, le cui autorizzazioni ministeriali finora hanno assecondato gli umori dell’Eni.”
BrindisiOggi
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