Il viaggio nel degrado della zona industriale con gli occhi di un manager

BRINDISI-“Decidiamo con un amico di fare un giro nella zona industriale di Brindisi, dove abbiamo lavorato per decenni. Scegliamo una giornata plumbea, con grandi nuvoloni neri pronti a scaricare su di noi  torrenti d’acqua, ma non ci fermeremo. Percorriamo  lentamente il viale principale, Enrico Fermi, poi ci addentriamo nelle strade interne, e scopriamo uno scenario desolante

: carreggiate dissestate,  capannoni industriali in rovina, paludi invase da detriti confinanti con piccoli appezzamenti di terreno coltivati. Stagliati nel cielo denso di nubi, scorgiamo in lontananza i resti del  petrolchimico. Vi lavoravano, fino al 1977, 5000 dipendenti Montedison e 4000 impiegati ed operai delle aziende appaltatrici (Sartori, Belleli, Riva Mariani, Beraud),oggi non più di  1000.

C’è ancora del  verde  intorno al  muro di cinta, sul quale si scorgono ancora antichi grafiti della protesta ecologica e giovanile. Spingendo lo sguardo all’interno, scorgiamo in primo piano  la magnifica  sagoma della palazzina direzionale costruita negli anni ’60 dall’architetto Ponti,  dietro di questa le colonne del nuovo cracking, più in là i resti di altri  impianti . Se per un istante chiudo gli occhi , mi rivedo con altri 300 quadri tecnici del petrolchimico al 4° piano di quella  direzione, pochi giorni l’esplosione del P2T, ascoltare, esposti ad una gelida tramontana che entra dai finestroni infranti, l’impegno solenne dell’anziano Presidente senatore Medici per la ricostruzione del cracking . Sento i tamburi degli operai  delle imprese appaltatrici che dopo alcuni mesi invadono il piano terra per chiedere lavoro a Montedison, rivedo le facce minacciose dei cassaintegrati che urlano la loro rabbia al capo del personale la secondo piano  perché quanto promesso nell’accordo governativo non si realizza . Meglio procedere .

A piedi percorriamo  i vialetti prospicienti il mare , interdetti alla circolazione di autovetture, dove si allineano  ormai in rovina  le villette a schiera, che fino agli anni ’90  erano  assegnate a capi reparto e  quadri intermedi  del petrolchimico. Anche la bella foresteria è semidistrutta.

Decidiamo di proseguire in auto verso le Isole Pedagne, costeggiando il grande spiazzo in terra battuta sottratto al mare ed apparentemente abbandonato della British Gas. Di fronte a questo, oltre il muro di cinta del petrolchimico, si ergono i due grandi impianti criogenici della Polimeri Europe (anch’essi stoccaggi di gas liquefatti, gli stessi che hanno consentito al petrolchimico di continuare a marciare anni dopo la tragica esplosione del P2T nel 1977 e fino alla costruzione del nuovo impianto di cracking). Più distanti si intravedono i resti  di  serbatoi e sfere dei vecchi parchi di stoccaggio petrolifero  e GPL.

Arrivati in prossimità della ex caserma  della Guardia di Finanza, invertiamo  la direzione di marcia e  decidiamo di dirigerci verso  la  Strada per Pandi. Superiamo con qualche nostalgia  la  ExxonMobil Chemical, passiamo davanti ai resti dell’ inceneritore e raggiungiamo  la vecchia portineria  Polymer, attualmente  utilizzata per l’ ingresso  del personale delle  imprese appaltatrici  ancora operanti nel petrolchimico. Dietro la recinzione arrugginita si intravede la solida struttura del Centro Intersocietario di Formazione Professionale, del quale sono stato direttore dal 1977 al 1985, parzialmente invasa  da arbusti spontanei. Di qui  sono transitati  per essere riqualificati  i 1600 dipendenti Montedison posti in cassa integrazione straordinaria nel 1983, prima che diventasse Direzione EVC,  seguendone  il destino con la chiusura dello stabilimento della Società Inglese.

 Proseguiamo su una strada non asfaltata  costellata di buche ed arriviamo ai cancelli  arrugginiti e definitivamente sbarrati della Siprosuole. Meglio fermarsi, c’è il rischio di infossare l’auto. Se decidessimo di andare avanti  incontreremmo quel che resta della Ittica Sud, una cooperativa di lavoro creata per iniziativa di un gruppo di cassaintegrati Montedison negli anni ’80.

Torniamo indietro e percorriamo la strada parallela Via per Pandi . Incontriamo altri ruderi  di piccole-medie industrie delle quali non sono rimaste neppure le insegne. Fa eccezione, ancora in bella vista, quella della Europlastic Sud, un altro monumento dello spreco di fondi pubblici per l’industrializzazione del Mezzogiorno. Notiamo anche montate su pali,  forse non ancora del tutto attivate, le  telecamere del nuovo sistema di sorveglianza della zona industriale. Qui ci sarebbe in realtà  ancora poco da sorvegliare …

Procediamo verso il porto industriale. Ci viene incontro  improvvisa la  mole della centrale a carbone Edipower, già di proprietà Enel nord.  Intorno ad essa sorgono alcune aziende ed officine di più recente costruzione. Il  grande piazzale di Costa Morena è completamente vuoto,. Rischia di essere anche questo un altro enorme spreco di spazio e cemento, considerate le poche navi passeggerei e di trasporto tir  che ancora approdano a Brindisi .

Costeggiamo la  Tubi Brindisi  e gli stabilimenti  AVIO e dell’Aventis. Dopo tanti anni , questi per fortuna ancora sopravvivono. Raggiungiamo, ultima tappa del nostro rapido giro di memoria, gli Uffici del Consorzio del Porto e dell’ ASI. Ci sembrano  riverniciati di recente, restano comunque due emblemi di colossali  insuccessi.

Decidiamo di tornare. Ci dirigiamo  verso il cimitero. La sagome della nuova ed elegante chiesa ci viene incontro. Sembra anch’essa perennemente scrutare il mondo in lento declino che ci siamo appena lasciati alle spalle.

Spetterà ad altri , se mai ne avranno voglia, l’arduo  compito di analizzare errori  e  cause della crisi dell’industria chimica a Brindisi.  Noi ci sentiamo  invece di poter affermare  che  per 30 anni è mancata una chiara e coerente strategia di sviluppo a medio – lungo termine della nostra città.  Molte amministrazioni si sono succedute. Tutte hanno tirato avanti, con le lunghe parentesi dei commissari straordinari , vivendo alla giornata, estraendo di tanto in tanto dal cilindro  progetti fumosi di riconversione industriale e sviluppo economico – sociale : il rilancio del porto, la creazione della piattaforma logistica, lo sviluppo dell’agroindustria, il potenziamento del porticciolo turistico, la mostra d’oltremare, ecc.

In realtà l’unica nuova economia è stata, per oltre un decennio , il contrabbando, controllato da una feroce delinquenza organizzata. Rischiava di essere per la città di Brindisi  la  malattia più grave,  fatale, se  non vi fosse stata la dura reazione del governo centrale e l’impegno vincente delle forze ,dopo la barbara uccisione  di due  giovani finanzieri . Che fare. Evitare  di illudere la gente con slogan, focalizzarsi sulle  priorità (lavoro, salute, sicurezza sociale, urbanistica, scuola), pianificare ed attuare progetti concreti, far funzionare la macchina amministrativa, smettere infine di  propagandare, come eccezionali, successi marginali  ( il basket , le feste patronali,  la stagione teatrale, i sensi di marcia sul corso , le chianche del lungomare , ecc. ).

Agli amministratori  comunali e provinciali, vorremmo  suggerire di scorrere la graduatoria delle migliori città e province d’Italia e recarsi lì, tirandosi dietro qualche assessore e dirigente comunale, per apprendere e trasferire anche a Brindisi  le loro migliori pratiche gestionali ed esperienze di successo.

Giuseppe Antonelli

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2 Commenti

  1. Complimenti per l’articolo!
    Sono un giovane laureato salentino emigrato al Nord, figlio di operaio a cui l’industria brindisina ha permesso di portare a casa il pane per farmi crescere e studiare. Sono andato via spinto dal disinteresse del nostro territorio per chi, come me, ha passato anni a studiare sperando di potere, un domani, contribuire alla crescita della propria terra. Non c’è un giorno in cui non mi rimproveri la mancanza di spirito e coraggio imprenditoriale che mi permettessero di costruire qualcosa giù: “è facile andare via”, “pensa se tutti facessero come te” sono frasi che mi ripeto ogni giorno da solo e che non ho bisogno che altri mi ribadiscano. Tutto questo non significa però che non abbia il diritto di provare sdegno per l’abbandono, il disinteresse, e forse l’incapacità che hanno portato alla mancanza di una minima strategia politica industriale per il nostro territorio. I giovani imprenditori giù non mancano, ma non possono rappresentare la totalità dei progetti industriali: c’è bisogno di investimenti di grandi gruppi industriali attorno ai quali possano crescere e svilupparsi le famose PMI. E’ la politica che può far muovere questi gruppi, nessun altro. Vi assicuro che dal profondo Nord fa male vedere come giù ogni giorno si spengano realtà industriali nell’indifferenza generale, alimentata da soluzioni “contentino” per evitare che la gente si svegli e si accorga del declino in atto. La verità è che qualche decennio fa, assistenzialismo o no, potevamo vantare realtà non lontane dai “prime contractors” che oggi il Nord si accaparra, mentre noi riempiamo pagine di giornali contenti ed orgogliosi del nostro nuovo ruolo di sempre più piccoli subfornitori, sempre che non ci portino via anche quello…

    • Spider, comprendo il tuo rammarico e delusione. Ho lavorato per oltre 35 anni nelle più aziende chimiche di Brindisi e girando per le capitali europee ho incontrato molti giovani, laureati e non, originari di questa terra, che costretti ad emigrarE hanno trovato, insieme ad iniziali difficoltà, grande successo.Spero arrivi una stagione nella quale le migliori risorse di questa terra possano restare,rappresentarla al meglio anche nelle istituzioni e contribuire alla sua crescita culturale, economica, sociale .

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