ROMA – Omicidio preterintenzionale derubricato a omicidio colposo e lesioni: 4 anni e 8 mesi. Tanto è costato il piacere erotico a Soter Mulè l’ingegnere 45enne che nel settembre 2011 coinvolse due amiche in un bondage pericoloso dove Paola Caputo, studentessa salentina di 23 anni, perse la vita per soffocamento. Le lesioni, invece, sono state invocate e accolte per il coinvolgimento nel gioco anche di Federica F. amica di Paola.
Il Gup di Roma, dove è avvenuto il gioco mortale nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2011, ha accolto la pena richiesta dal pm, anche se inizialmente Mulè era stato incriminato per omicidio preterintenzionale, derubricato a omicidio colposo e lesioni perchè le due maggiorenni avevano acconsentito nonostate l’evidente pericolo della pratica. Lo ‘shibari’, bondage preso in prestito dai giapponesi, consiste nell’essere legate l’un l’altra e sospese ad una certa altezza dal suolo su di una trave o un tubo e scivolare come braccia di una bilancia in cerca del piacere. Pare che il gruppo tra l’altro lo avesse già messo in atto altre volte. Ma quella maledetta notte qualcosa andò storto.
Mulè, amante della fotografia, diplomato presso l’Istituto Pio XII delle Religiose dell’Assunzione di Roma, laureato in Ingegneria Meccanica all’Università di Tor Vergata, al secondo anno del corso di laurea in Psicologia alla Sapienza.
I tre si incontrarono per andare a passare una serata in un locale sulla Casilina dove bevvero alcolici e assunsero droghe, poi sotto gli effetti di questi decisero di andare a continuare privatamente la serata di baldoria nel garage dove Federica F. lavorarava come custode in un palazzo, in zona Bufalotta alla periferia di Roma, affittato dall’Agenzia delle entrate e dall’Enav in località Settebagni. Nel locale caldaie approntaro la bilancia umana che avrebbe dovuto provocare l’estremo piacere alle ragazze. Il soffocamento nella salita, secondo la pratica provocherebbe un piacere simile all’orgasmo.
Ma erano state strette troppo ecco perché Paola morì e Federica fu costretta al ricovero presso il Sant’Andrea in gravi condizioni ed entrò in coma, fortunatamente salvandosi, ma con un difficile recupero fisico e evidentemente anche pscicologico. Fu lo stesso Mulè a chiamare il 118 quasi all’alba, le 4,40 del 10 settembre.
Ora l’uomo dovrà cercare di riabilitarsi, e avrà tempo per pensare in carcere all’immane tragedia che ha spezzato la vita della giovane studentessa di Guagnano, Lecce, e distrutto una famiglia che ha perso figlia e sorella. I parenti di Paola, infatti, hanno cercato giustizia chiedendo anche un risarcimento pari a un milione di euro pro capite, per genitori e fratello, in considerazione del fatto che l’ingegnere conoscesse il pericolo della pratica e potesse prevedere l’evento. D’altra parte la difesa chiese l’assoluzione perché tutti maggiorenni e acconsenzienti, che continua a sostenere che la pena sia eccessiva.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate nei prossimi mesi.
Carmen Vesco
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