MESAGNE – Fabio Marini riconfermato al vertice dell’associazione Legalità e Sicurezza nel territorio di Mesagne, l’organizzazione che sostiene imprenditori e commercianti vittime di racket, estorsioni e usura. Lui stesso è un imprenditore, in passato vittima di atti intimidatori, che non hanno arrestato però la sua azione in un territorio difficile dove il fenomeno dell’usura e del racket è molto diffuso. Ma nello stesso tempo si tratta di reati che restano nel silenzio. Lo stesso procuratore capo della Dda di Lecce Cataldo Motta nella sua relazione ha segnalato che nell’ultimo anno nelle province di Brindisi, Lecce e Taranto i casi denunciati non raggiungono le cinque dita di una mano. Marini fa una sua analisi e descrive le nuove dinamiche di questo fenomeno. La criminalità che si adatta alla crisi.
Presidente, che Direttivo la accompagnerà in questo nuovo mandato?
Posso dire che è un Direttivo di tutto rispetto. A dicembre si è svolta l’Assemblea dei soci che ha votato per il rinnovamento del consiglio direttivo. Solo giovedì ci siamo incontrati per ratificare la decisione ed assegnare gli incarichi interni. Molti nomi sono stati riconfermati, ma ci sono anche novità e graditi ritorni. Il consiglio direttivo è composto da sette persone: oltre a me, come Presidente, ci sono Antonio Maizza come vicepresidente (che subentra alla figura di Don Angelo Argentiero, scomparso nel settembre 2014, NdR) e socio fondatore di Legalità e Sicurezza; Michela Cipriano come segretario; come consiglieri abbiamo l’ex sindaco di Mesagne Mario Sconosciuto e gli imprenditori Emanuele Guglielmi (già componente del primo direttivo e socio fondatore), Francesco Semeraro e Enzo Neve.
Tra nuove figure e ritorni, quindi, l’Associazione sembra muoversi nel segno della continuità.
Assolutamente. Ci muoviamo nel segno sia della continuità, sia del rinnovamento: tutti noi siamo uniti e spinti nel nostro impegno dai valori di legalità e libertà. La sfida che oggi affrontiamo quotidianamente è diversa rispetto al passato. Così come si evolvono gli schemi della criminalità, anche le nostre azioni devono adeguarsi per prevenirle sul loro stesso territorio, sempre con un unico obiettivo: la lotta per la libertà.
Presidente, cosa intende per schemi che si evolvono?
Un dato che avverto in giro e anche grazie al lavoro della Federazione Antiracket è che il fenomeno del racket si sia fortemente ridimensionato e in alcuni casi diminuito. Si è abbassata la richiesta del pizzo, tanto da considerarla una “agevolazione”: la criminalità si rende conto della crisi e si ridimensiona nelle richieste. La situazione, poi, cambia da territorio a territorio: nel Tarantino il pizzo è ancora molto alto, mentre nel Brindisino e nel Leccese ci si è adeguati al momento di congiuntura. Ovviamente, ci sono zone e zone, anche all’interno di queste macroaree. Nei comuni a sud della Provincia di Brindisi, come San Pietro Vernotico e Cellino San Marco, ci sono forti dinamiche interne. Sono territori in cui le associazioni storiche hanno compiuto i venti anni dalla loro fondazione, come Mesagne del resto, eppure anche qui non mancano gli imprenditori che si ribellano e denunciano.
Queste osservazioni valgono anche per l’usura?
No, per l’usura si apre un capitolo a parte, perché una vessazione più subdola e difficile da denunciare. Si gioca tutto sul campo psicologico. Nel racket, la vittima ha la consapevolezza del torto che riceve e chiede aiuto all’associazione. Ci si chiede perché dover dare i soldi a questi criminali. Con l’usura, invece, la vittima non è consapevole. Vede nel suo usuraio la possibilità di continuare a lavorare, un’ancora di salvezza. Questo ragionamento è del tutto sbagliato, perché in questo modo si annulla la persona e la sua libertà di agire nel rispetto della legalità: piegandosi all’usura, si contribuisce a finanziare operazioni illecite. In questo fenomeno, come ha più volte detto prima di me il procuratore Cataldo Motta, hanno una grossa responsabilità gli istituti di credito. Se si chiudono a riccio, come possono aiutare? E quale strada costringono a percorrere ai nostri imprenditori.
Presidente, Lei crede che ci siano commercianti che non denuncino?
Mettiamola in questi termini: bisogna essere fiduciosi e scegliere la strada della legalità. L’unica via d’uscita può essere la collaborazione con le Forze dell’Ordine, con la Magistratura e denunciare. Rispetto a qualche anno fa, i tempi sono cambiati: oggi c’è maggiore consapevolezza della presenza della criminalità. Bisogna aver fiducia nell’immensa professionalità delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, che sanno come agire. In più, c’è lo Stato con le proprie leggi, seppur tra mille difficoltà, perché ci ritroviamo una legge che necessita di essere aggiornata ai nostri tempi. Gli aiuti alle vittime di racket sono continui: il comitato vittime di racket e usura pubblica sul sito del Viminale il sostegno in materia di agevolazioni per chi denuncia: con la 106, dedicata alle vittime di usura, si prevedono start up per chi vuole ricominciare una nuova pagina della sua vita con mutui a tassi agevolati, senza considerare la legge n. 44 del 1999 ()
Le condizioni per essere dalla parte della legalità ci sono tutte, ma alla base ci vuole consapevolezza. Mi piace ricordare, a proposito, due affermazioni del nostro Presidente nazionale, Tano Grasso: “Palermo vanta le associazioni antiracket più forti. Se a Palermo è nata ed è cresciuta Addio Pizzo, allora ce la possiamo fare in tutta Italia”. Perché noi dovremmo essere da meno?
Presidente Marini, negli ultimi giorni sono state molte le notizie di cronaca giudiziaria che hanno portato alla luce quel che rimane della Sacra Corona Unita. Molto spesso, Forze dell’Ordine e magistratura hanno raccolto le testimonianze dei collaboratori di giustizia, che hanno contribuito a far luce su diversi contesti e dinamiche. Cosa pensa del loro “aiuto” alle indagini?
I collaboratori di giustizia hanno avuto un ruolo determinante: grazie ad alcuni di loro e soprattutto a livello locale, le loro dichiarazioni hanno aiutato a capire le dinamiche e a rafforzare le indagini già avviate dalle Forze dell’Ordine e dalla Magistratura. Credo però sia necessario rivedere la legge. È vero, aiutano, ammettono i reati commessi, ma non si può tollerare che vengano messi in libertà quando tra le accuse che pendono su di loro ci sono reati gravi. Se dobbiamo mettere mani alle leggi, un’altra priorità è quella di rivedere la legge per il comitato di solidarietà per le vittime. Lo Stato deve sempre farsi trovare accanto a chi subisce.
Un’ultima domanda. L’imprenditore Cosimo Maggiore, di San Pancrazio Salentino, sostanzialmente dichiarò alla nostra testata che chi denuncia rimane solo. Una dichiarazione che stride con ciò di cui abbiamo parlato sinora.
Non conosco personalmente Maggiore, ma vorrei approfittare di questo spazio per inviargli un messaggio. Vorrei fargli sapere che noi gli siamo vicini, con affetto e solidarietà. Ti preghiamo di non mollare, vai avanti. Continua a lottare perché così soltanto si potranno migliorare le défaillances dello Stato. Sono stato molto colpito dalla sua vicenda e ti invito a fare gruppo con gli altri tuoi colleghi imprenditori e con noi per far sì che si modifichi ciò che non funziona nella legge.
Agnese Poci
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