INTERVENTO/Quella appena trascorsa è stata una settimana intensa di impegni che hanno visto la situazione ambientale di Brindisi alla ribalta, sia nelle aule di Tribunale che, in convegni (ieri a Squinzano) ed in presentazione di studi modellistici sviluppati da ARPA; al centro di questa settimana è stata la centrale elettrica di Enel-Cerano ed in suo impatto sull’ambiente e sulla salute dei cittadini ed il Comune di Torchiarolo per la presunta contaminazione del PM10 dai caminetti domestici.
In particolare per Torchiarolo, nella giornata di ieri il Consiglio di Stato ha accolto, in favore del Comune di Torchiarolo, il ricorso in appello cautelare presentato dall’avv. Dario Lolli, con la consulenza tecnica dello scrivente e con il quale si chiedeva la riforma della Ordinanza n. 242/2014 emessa dal TAR Puglia, sede di Lecce, che aveva rigettato la richiesta cautelare di sospensione della delibera G.R. Puglia n. 2349 del 04/12/2013 concernente l’approvazione del “Piano relativo alle misure di intervento per il risanamento della qualità dell’aria nel Comune di Torchiarolo per l’inquinamento da PM 10”.
Il Consiglio di Stato, nell’accoglie i motivi del ricorso, evidentemente ha riscontrato elementi tali da supportare le tesi di adeguamento e completamento tecnico necessarie allo stato di “contaminazione acuta” registrata dalla centralina di Via Don Minzoni a causa del superamento del limiti di concentrazione del PM10, oltre i 35 giorni/anno previsti dalla norma.
E’ un primo passo importante che interrompe la procedura del “Piano”, riduce l’arroganza di chi ha affermato che i camini sono causa di ben il 92 % della produzione di PM10 e fornisce speranza e dignità ai cittadini di Torchiarolo che da decenni subiscono la presenza delle ricadute degli inquinanti di Cerano e dell’intero comparto industriale; è un primo passo ma è essenziale perché si completino gli studi e si definisca la verità scientifica che non può essere, anche questa, sempre a favore di ENEL.
Come tecnico ambientale mi sforzo sempre di essere il più oggettivo possibile, senza farmi trascinare dal patos emozionale ma, francamente, è uno sforzo notevole anche se necessario ed anche se il condizionamento dei “media” è sempre notevole, con a volte elementi fuorvianti, semplicistici e disconnessi dalla oggettività scientifica; appare opportuno evidenziare, con l’ottimismo che mi caratterizza, che si stanno facendo notevoli passi in avanti nella definizione della reale “impronta ecologica e sanitaria” che induce la centrale di Cerano in particolare ma, più in generale, tutto il comparto industriale emissivo.
Lo studio presentato da ARPA ha il pregio di aver applicato un’innovativa tecnica di modellazione matematica finalizzata alla distribuzione delle emissioni delle centrali alimentate a carbone ma, ha anche il limite di essere solo un “modello matematico” che è funzione delle informazioni che si forniscono; nel caso di Cerano, il limite sta nella necessità di avere dati in continuo a “bocca di camino”, analisi composizionali del carbone portato in combustione, analisi di raffronto fra la composizione del carbone e quella registrata dalle centraline, analisi dei dati rivenienti da “deposimetri” (per le particelle sottili) pubblici da porre nell’intorno vasto (di chilometri) della centrale e del nastro trasportatore del carbone, ecc.
Fa specie, però, la fretta di ARPA con la quale intende presentare la bozza della “Valutazione del Danno Sanitario” nel momento in cui le “informazioni” da fornire al modello matematico sono incomplete e necessitano di ulteriori dati scientifici.
Se l’espressione “L’Arpa assolve l’Enel”, riportata da Quotidiano, può essere fatta ad arte per focalizzare l’attenzione e la vendita del giornale, la presentazione di una modellazione della distribuzione degli inquinanti incompleta, ha la medesima valenza.
Di certo vi è che il Decreto AIA n. 253 del 08/06/2012, con il quale il Ministero dell’Ambiente autorizza l’esercizio della centrale Enel di Cerano, nel “Piano di Monitoraggio e Controllo” allegato e prodotto da ISPRA (30 maggio 2011), impone ad Enel l’istallazione, a bocca di camino, di campionatori in continuo dei microinquinanti immessi in atmosfera; ove fossero stati allocati tali campionatori in continuo ARPA avrebbe avuto ulteriori e più probanti elementi di valutazione oggettiva da inserire nel “modello matematico”.
Ove ARPA avesse avuto, per quanto imposto dal richiamato “Piano di Monitoraggio e Controllo” (cap. 2.5), la possibilità di avere i dati rivenienti dalle caratteristiche composizionali dei carboni utilizzati nella centrale, per ogni nave che scarica carbone, avrebbe avuto, così come riportato nel fax simile della scheda allegata, la possibilità di conoscere le concentrazioni degli analiti “più significativi” del carbone, quali: zolfo, cloro, fluoro, berillio, piombo, nichel, manganese, vanadio, cromo, zinco, arsenico, antimonio, selenio, cadmio e mercurio.
ARPA avrebbe avuto la possibilità di confrontare questi analiti con quelli registrati a “bocca di camino” e quelli registrati nelle centraline di monitoraggio, definendo, più razionalmente e concretamente, gli imput del modello matematico di valutazione.
I richiamati analiti del carbone sono, guarda caso, quasi tutti quelli che concorrono alla definizione di “contaminazione diffusa” (come definita dalla stessa ARPA) delle matrici ambientali (suolo, sottosuolo e falda freatica) che sono state caratterizzate chimicamente nell’area posta nell’intorno del nastro trasportatore e del parco carbone; quelle aree sono “contaminate” dalla perdita di “polverino di carbone” e, per definizione normativa (art. 300, comma 2 lettera d, del D.Lgs 152/2006) hanno subito un “danno ambientale” e come tali vanno bonificate.
La certezza della “contaminazione” delle matrici ambientali è fornita dalla stessa ARPA e dall’Università del Salento che, sugli analiti che hanno superato le “Concentrazioni Soglia di Contaminazione” (CSC) hanno effettuato le “Analisi di Rischio” (pagate dal Commissario Delegato per 500.000 € all’Università e 120.000 € ad ARPA – Decreto C.D 138/2008) evidenziando, fra l’altro: che l’arsenico è quello a “maggiore rischio potenziale” e, in parte è un “biodisponibile” e quindi rientra nella catena alimentare umana, che alcune colture orticole sono fortemente bioattrattive, ecc.
Le “Analisi di Rischio” hanno interessato anche il “Rischio Sanitario” individuando, fra l’altro che: vi è un rischio acuto per gli operatori all’esposizione ai suoli contaminati che impone una riduzione del lavoro a 120 g/a, vi è la necessità di effettuare adeguate prevenzioni e protezioni per chi opera sui terreni contaminati, ecc.
Ma se vi è un rischio acuto per i lavoratori ed i produttori agricoli che limita il lavoro a 120 giorni l’anno, quale rischio hanno i residenti posti attorno al nastro ed al carbonile?
Queste “Analisi di Rischio” fatte da ARPA sono state considerate nel modello matematico predittivo?
Infine, un ultimo elemento è necessario riportare in merito al “Particolato Sottile”che è connesso direttamente al carbone in virtù della “finezza” granulometrica che presenta e che a volte supera il 60% in peso della componente inferiore a 0,5 mm. (500 micron); dimensione alla quale molta bibliografia fa partire il così detto “Particolato”, quel materiale che può essere disperso in atmosfera (in funzione delle condizioni meteo climatiche) e che, con dimensioni anche nanometriche, può essere diffuso a decine di chilometri.
Ebbene ENEL dichiara, nel Decreto autorizzativo AIA (cap. 4.5.2) che le “emissioni non convogliate” originano dallo scarico del carbone (Costa Morena) “un’emissione diffusa” di 29 mg/mc/giorno e dallo “stoccaggio si origina un’emissione diffusa di 145 mg/mc/g”) per un totale di 174 mg/mc/g.
E’ una dichiarazione del Produttore e quindi è di parte e, se pur considerata valida, basta moltiplicare per 17-18 anni di funzionamento della centrale per verificare quanto “particolato sottile” è stato immesso in atmosfera ed è ricaduto sui campi e sulle abitazioni.
Questo dato è stato considerato nello studio modellistico dell’ARPA?
In definitiva stanno sempre più migliorando gli aspetti di conoscenza delle “impronte” che l’apparato industriale di Brindisi induce sul territorio e sulle popolazioni, per cui sarebbe bene che si evitassero fughe in avanti che non producono altro che ulteriori danni e che la politica, quella seria ed a servizio della comunità, faccia sentire la sua voce ed imponga percorsi di produttività compatibili con ambiente e salute.
Francesco Magno, geologo
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