“ Gestire il cambiamento è come togliere l’osso al cane”

INTERVENTO- Si parla spesso di “cambiamento”, considerandolo, di volta in volta, un “evento”, una nuova “prospettiva politica/economica”, o semplicemente la “rottamazione” di quanto esiste da troppo tempo. Il “cambiamento” è, in ogni caso, un “processo” lungo, complesso, che non garantisce a priori risultati soddisfacenti.

Le persone resistono al cambiamento; preferiscono permanere nelle situazioni che conoscono meglio, quelle di sempre. “Gestire il cambiamento” è pertanto più difficile che deciderlo, in particolare il cambiamento di grandi organizzazioni o di istituzioni sociali consolidate.  Richiede innanzi tutto una chiara “strategia”, poi un’efficace “leadership”, infine “processi strutturati” e un “gruppo trainante” di persone competenti e motivate. Gli anglosassoni hanno coniato un termine per definire tale processo: “Change Management”.

Nella mia esperienza di lavoro ho dovuto spesso affrontare, a volte guidare, importanti cambiamenti. Non è tuttavia facile riassumere quei metodi e quelle esperienze, senza rischiare eccessive semplificazioni e schematizzazioni. Tenterò, comunque.

Primo passo.  Per indurre gli individui e i gruppi sociali a cambiare bisogna, innanzi tutto, creare in loro un “senso di urgenza”. Le persone devono cominciare a dirsi: “ non si può più permanere in questo stato di cose “.

Secondo passo. Una persona da sola non ha il tempo, l’energia e le competenze sufficienti per realizzare un cambiamento importante: il leader del processo deve necessariamente costituire ed essere affiancato da un buon “gruppo trainante”.

Terzo passo. Le persone coinvolte nel cambiamento devono vedere una “meta attraente”, un ambizioso punto di arrivo che giustifichi gli sforzi e i rischi da assumere per abbandonare la sponda conosciuta, per fare cose nuove o diversamente.

Quarto passo. Il progetto di cambiamento deve essere chiaramente comunicato a tutti quelli che sono coinvolti, con un linguaggio semplice, non burocratico o tecnocratico, per fornire risposte ai seguenti interrogativi : perché, come, con chi, con quali risorse …

Quinto passo. Le persone che costituiscono il “gruppo trainante” devono avere notevole fiducia in se stesse e capacità di infonderla negli altri.

Sesto passo. Bisogna puntare a ottenere subito piccoli successi, visibili, affrontando per prime le situazioni dove minore è la resistenza delle persone e più facili le barriere tecniche da rimuovere. Risultati immediati, anche se modesti, daranno credibilità all’intero progetto di cambiamento e consentiranno di affrontare con maggiore probabilità di successo le situazioni più difficili.

Settimo passo. Mai mollare la presa o aver timore delle resistenze iniziali. Vanno affrontate con decisione e rimosse, una a una, procedendo con convinzione, fino a quando il cambiamento diventa realtà.

Ottavo passo. Citare ripetutamente e valorizzare i risultati conseguiti. Monitorare i progressi. Essere consapevoli che il cambiamento finisce solo quando ha messo profonde radici .

Il cambiamento è comunque un processo esposto a diversi rischi d’insuccesso o fallimento. Viene normalmente suggerita la seguente formula per minimizzarli :

formule di gestione

Come affermato in premessa, forti resistenze al cambiamento devono essere sempre messe in conto. Esse sono efficacemente rappresentate dalla cosiddetta “Productivity curve”, che indica il loro graduale evolvere ed impattare sulle performance del sistema organizzativo o sociale coinvolto nel cambiamento.

curva produzione

che vede individui e gruppi sociali negare e rifiutare inizialmente il cambiamento, iniziare poi a riconsiderarlo e infine ad accettarlo e sostenerlo .

  Un efficace “piano di comunicazione” è indispensabile per aiutare i singoli  individui ed i gruppi sociali  a passare dall’ignoranza, alla consapevolezza, alla comprensione, ed infine ad un convinto  sostegno al progetto di cambiamento .

messaggio cambiamento

Assolutamente da evitare è il cambiamento , come  semplice “annnuncio”, facile  “promessa”. Esso deve invece essere la risposta efficace e tempestiva ai mutamenti del mondo esterno. Possiamo rappresentarlo anche come un’onda minacciosa che avanza in lontananza . Possiamo essere indotti a pensare che  non ci raggiungerà, che si sgonfierò. Invece essa inesorabilmente si avvicina fino a paralizzarci per il  timore di essere travolti. “Change Management “ significa vedere invece in essa una opportunità, una energia da sfruttare, per muoverci individualmente , o insieme ad altri, verso nuovi  lidi, più qualificati e sicuri …

Giuseppe Antonelli

4 Commenti

  1. Daniele hai ragione: per aver successo non basta comunicare il traguardo e le tappe fondamentali del cambiamento. E’ indispensabile favorire messaggi di ritorno da parte delle persone coinvolte (feedback), per aggiustare il tiro, per comprendere le barriere, per cogliere suggerimenti. A volte il cambiamento può addirittura partire dal basso. Si presenta come un’onda dalla forza tremenda. Gonfiava da tempo, era stata da molti ignorata, ed infine esplode. Quel tipo di cambiamento si chiama movimento (necessita anch’esso di un leader capace e di un compatto gruppo trainante). In qualche caso esso può trasformarsi in “rivoluzione” !!

    • Certamente intendevo i feedback, un sistema di feedback strutturato e sistematico che possa permettere un continuo cambiamento di natura incrementale. D’altronde quale organizzazione o organismo (permetta l’analogia) non dipende dall’ambiente circostante, l’adattamento dell’uomo ne è sicuramente un esempio eclatante. Ed all’interno di un Gruppo, chi meglio di coloro che si trovano ad interfacciarsi con l’ambiente esterno (a causa delle mansioni svolte) può dare il giusto impulso e le giuste informazioni per cambiare nella direzione più corretta?
      Per quanto riguarda ciò che dice lei, Giuseppe, il cambiamento derivante dal basso, di natura incrementale o trasformativa che sia, può esser anch’esso un punto cardine per il successo delle organizzazioni attuali. Le aziende all’avanguardia, che hanno fatto dell’imprenditorialità una ragion d’essere, portano al proprio interno l’instabilità. Questa strategia, per quanto possa sembrar superficialmente deleteria, si dimostra spesso un’arma vincente. Immettendo continuamente tensione l’azienda non fa altro che apprendere dalla risposta dei propri dipendenti alla necessità di modificare gli schemi precedenti.

  2. Da condividere ciò che viene detto nell’articolo, vorrei solo porre l’attenzione su un punto secondo me fondamentale.
    Io mi concentrerei anche sul flusso di informazioni in salita nella gerarchia e non solo quello (comunque fondamentale)che si sviluppa dall’alto al basso. Spesso le decisioni vengono prese senza considerare le conoscenze di chi si trova in posizioni operative. Avviare un processo di cambiamento seguendo anche questa impostazione riuscirebbe inoltre ad allentare la naturale inerzia posta da questi soggetti nei confronti del cambiamento, inoltre creerebbe un contesto in cui l’apprendimento è continuo soprattutto grazie al dialogo. Certo risulta difficile ragionare in quest’ottica poiché richiede uno sviluppo delle risorse e di incentivi che spesso non vengono percepiti come fondamentali per la riuscita. Ma se ad i dati parlano di una percentuale di insuccesso del 70% dei cambiamenti iniziati, allora vuol dire che bisognerebbe riconsiderare i fattori chiave per il successo.
    Daniele

  3. Condivido in pieno.
    Semmai il problema e’ non capire che i successi partono dalle cose semplici.
    Quando ci avviciniamo ad un albero pieno di frutta perche’ raccogliere i frutti piu’ alti?
    Dario Calcagni

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