“Sopravvivere non basta”, la testimonianza di Reginald Green, papà di Nicholas

BRINDISI – «Eravamo in silenzio di fronte al corpo di Nicholas – racconta un ancora commosso Reginald Green – quando il primario di neurologia ci comunicò che non c’era alcuna traccia di attività cerebrale in nostro figlio. Quello era solo il suo corpo, il nostro Nicholas era altrove». Il momento più intenso del convegno “Sopravvivere non basta”, organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli in occasione della Giornata Mondiale del Rene, presso palazzo Granafei-Nervegna, a Brindisi, è stato senza dubbio l’intervento di Reginald Green, papà di Nicholas, il ragazzino di soli 7 anni ucciso per sbaglio sulla Salerno-Reggio Calabria nel 1994.

Nell’incontro è stato proiettato un documentario che narra la vicenda del piccolo Nicholas e che descrive il profondo legame che lega indissolubilmente la famiglia Green al nostro Paese, anche grazie al cosiddetto “Effetto Nicholas”, l’onda emotiva successiva la morte del ragazzino che spinse gli italiani a incrementare le statistiche riguardanti la donazione degli organi post mortem. Green ha portato alla platea la sua testimonianza sulla scelta che lui e sua moglie Maggie si trovarono di fronte quando i medici dell’ospedale che aveva in cura Nicholas gli comunicarono che per lui non c’era più niente da fare. Green ha proseguito la sua narrazione trasmettendo l’immediato senso di giustizia provato appena presa la decisione di donare gli organi di Nicholas.

«Quando Maggie mi espose la sua volontà di donare gli organi di Nicholas io fui immediatamente d’accordo. In tutto quel buio che avevamo intorno, un piccola ma brillante fiammella s’accese: è da allora che cerchiamo di alimentare e trasmettere quella luce nel cuore di tutti». Green ha puntato l’obiettivo del suo discorso sull’importanza dell’informazione sui trapianti e la donazione degli organi prima che l’argomento diventi di brutale attualità per le persone coinvolte. «Molto spesso il dolore e la frustrazione dei momenti in cui si ha davanti un proprio caro morto o in fin di vita – ha ragionato Green – influisce negativamente sulla scelta della donazione. Si ha solo voglia di stare in silenzio e di andare a casa. Ma poi ci si pente». Dello stesso avviso, dal punto di vista medico e clinico, è il dottor Gianfranco Manisco, primario di nefrologia dell’ospedale Dario Camberlingo di Francavilla Fontana e promotore del convegno.

«In nefrologia – spiega il primario – l’importanza del trapianto assume una valenza diversa e non meno rilevante rispetto ad altre discipline in cui questa via rappresenta l’unica soluzione salvavita: un nefropatico terminale, infatti, ha di fronte a sé diverse strade. L’emodialisi e la dialisi peritoneale gli consentono, comunque, di vivere ma il trapianto garantisce una serie infinita di vantaggi, non ultimo la migliore qualità della vita. Per queste ragioni le liste d’attesa sono così lunghe. Per l’Italia e per la Puglia, l’anno di svolta è stato il 1999: si è introdotta la legge 91 che regolamenta in tutti i suoi aspetti la donazione degli organi e la nostra regione è stata iscritta, grazie al professor Francesco Paolo Schena, nell’Airt, l’associazione interregionale trapianti, che ci permette di non essere più degli “emigranti del trapianto”».

Di numeri ha parlato la dottoressa Grazia Bellanova, coordinatore locale aziendale trapianti. «I punti di criticità del sistema – ha spiegato la dottoressa – sono la sproporzione tra richiesta e offerta, con lunghe liste d’attesa; il notevole divario tra le regioni, col nord più reattivo del sud; l’elevata percentuale d’opposizione alle donazioni». In questo quadro non proprio confortante, però, l’analisi della dottoressa Bellanova riguardo la provincia di Brindisi fa emergere un dato, forse, sorprendentemente positivo: negli ultimi 12 anni, secondo le rilevazioni effettuate dalla dottoressa, la nostra provincia ha registrato un trend positivo, incrementando costantemente il numero di donazioni di organi e conseguenti trapianti.

Maurizio Distante

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