LATIANO – C’era una volta e ora non c’è più l’antica pratica della profanazione delle tombe antiche, ricche di monili e monete, tesori preziosi da rivendere al mercato nero dell’arte che fruttavano ai tombaroli, quando andava bene, discreti gruzzoletti. È certamente vero che quest’attività ha provocato dei danni al patrimonio archeologico, basti pensare alle piramidi egizie, “visitate” dai ladri prima che dai professori, ma ascoltando i racconti in prima persona di chi le tombe le andava a “scavare” nelle campagne tra Mesagne e Latiano, tanti anni fa, è innegabile che un certo fascino romantico avvolge le storie e gli aneddoti che ruotano intorno all’eterne dimore di uomini, donne e bambini appartenenti a civiltà passate che popolavano il nostro territorio molto tempo prima di noi.
Mani ruvide, occhi piccoli e brillanti, i capelli bianchi e perfettamente tirati indietro, merito del sapiente uso di pettine e brillantina o suoi surrogati, mani grosse e callose, frutto di una vita da muratore, e l’immancabile fila alla Posta. Visto così sembrerebbe un anziano signore come tanti, una vita passata a lavorare per tirare su la famiglia, tre anni passati in Germania, da dove gli arrivano anche 38 euro al mese di pensione, e una serena terza età passata a chiacchierare dei tempi che furono. Solo che nel passato di Pasquale, nome di fantasia, oltre a tutto questo, c’è anche una parentesi, durata qualche anno a cavallo tra i ’60 e i ’70, in cui, insieme ad alcuni amici, la sua attività parallela era quella di tombarolo. «È passato così tanto tempo – racconta con gli occhi che gli s’infiammano – che non è che ricordi proprio tutto». In parte è vero, in parte no. La sua voglia di rivivere quei momenti, anche solo a parole, in realtà, è tanta e Pasquale ci mette poco ad abbandonarsi al ricordo.
«Non erano delle scampagnate, qualche sera si è anche sparato. Tra squadre rivali non ci si poteva pestare i piedi: se, per caso, ci s’incontrava nello stesso pezzo di terra, le pistole e i fucili erano pronti. Poi capitava anche che ci beccassero i carabinieri. E anche lì c’era da “ballare”». Pasquale rivive anche coi gesti le gesta delle uscite notturne per i cimiteri di Muro Tenente, la zona archeologica tra Latiano e Mesagne, terra di conquista per i tombaroli degli anni passati. «Avevamo delle sonde apposite – spiega mimando le operazioni da eseguire per tracciare il perimetro dei sepolcri – le facevamo penetrare nel terreno e poi, quando toccavamo le lastre, cercavamo le estremità. Una volta puntati i quattro angoli, ricavavamo il centro e lì battevamo con un pesante paletto da 10 chili. Una ventina di colpi e il buco era fatto».
Una volta ricavata l’apertura che dava accesso alla camera mortuaria, iniziano gli aneddoti più diversi e coloriti. «La maggior parte delle tombe che visitavamo era di gente povera, non c’era niente, all’interno. Quando andava bene, invece, potevamo trovare le monete d’argento e bronzo di Brindisi e Taranto con le incisioni “Brundisium” e “Taras”, le stadere, le bilance, i pesi dei telai, le anfore, i bisturi, piccoli coltelli di metalli vari…». E i morti? «I morti erano lì. Di solito c’erano solo gli scheletri: piccoli, grandi, di uomini e donne. Una volta, però, quando scesi trovai un corpo avvolto da una sottile nebbia: sembrava intatto e spettrale. Risalì immediatamente e i miei compagni mi chiesero il perché. Quando gli spiegai cosa avevo visto, buttarono giù una pietra e la nebbia si diradò, lasciando lo scheletro pulito come doveva essere. La tomba non aveva preso acqua e la nebbia era solo della muffa che, appena mossa l’aria, si dissolse. Io, comunque, non scesi più, quella sera». Pasquale ricorda un’altra occasione in cui rimase a bocca aperta, non per la paura, però. «La tomba era uguale a tutte le altre ma, illuminando lo scheletro con la torcia, mi accorsi che c’era qualcosa di strano: presi in mano il teschio e mi ritrovai con un enorme cranio cui mancava un occhio. Era la testa di un ciclope: aveva una sola apertura oculare e le sue dimensioni non erano normali. Anche le ossa delle gambe erano fuorimisura. Passai il teschio al mio compagno che era in superficie e gli chiesi di metterlo da parte perché volevo portarlo a un medico affinché lo studiasse. Il mio amico, però, una volta visto cosa gli avevo passato, lo fece cadere nella tomba dove sbatté pesantemente contro la zappa che mi ero portato, andando in frantumi».
Medici, avvocati e professionisti in genere erano gli acquirenti principali dei manufatti trafugati dai tombaroli degli anni ’60: alcuni di loro, con una spiccata filantropia, hanno contribuito a rendere pubbliche alcune collezioni, restituendo pezzi unici ai musei della zona. A Latiano sorge, ad esempio, il museo Ribezzi-Petrosillo: le famiglie in questione sono riuscite, grazie ai reperti trovati nei loro vigneti e ad altre testimonianze storiche slegate da Muro Tenente e dall’archeologia premessapica, a donare al paese un interessantissimo museo in cui è ricostruita la storia del sito attraverso i reperti lì ritrovati. Non sempre, però, i ritrovamenti hanno trovato la via per ritornare alla popolazione. Capitava anche di avere tra i propri “clienti” dei personaggi venuti da lontano, a volte anche dal volto e dal nome molto noti. «Una volta venne da Roma un latianese che faceva il pugile dilettante nella Capitale e che frequentava gli studi di Cinecittà. Arrivò accompagnato da altri due che non riconobbi immediatamente: uno aveva la parrucca e stava zitto, l’altro parlava in modo bizzarro». Secondo il racconto di Pasquale, la strana coppia sarebbe stata composta nientepopodimeno che da Yul Brynner, il parruccato silenzioso, e da Steve Reeves, l’Ercole del grande schermo. «Il pugile li aveva portati da me perché volevano comprare qualcosa. Ercole mi chiese se i manufatti che avevo fossero originale: “In caso contrario – disse – ti faccio a carta da 5 lire”».
Quello era il periodo d’oro dei tombaroli, quando dai sepolcri profanati potevano uscire interi tesori. «La tomba più bella che io abbia mai visto l’ha trovata una donna, una tombarola. All’interno c’erano mezza corazza, una maschera in bronzo, alcuni crateri, delle anfore, due bisturi di bronzo, lucerne e vasi vari. Roba per decine, centinaia di milioni». L’epopea dei ladri di reperti, però, appartiene ormai al passato. L’interesse che da un po’ di anni suscita Muro Tenente, con una rivalutazione dal punto di vista storico e divulgativo, ha sottratto il sito dalle mani dei tombaroli da tanto tempo. Pasquale, ormai, è un simpatico signore che vive per raccontarla, forse. Non rimpiange niente, per lui quella del tombarolo era un’attività come un’altra, un modo per arrotondare. L’epoca in cui i fatti narrati sono avvenuti, in fondo, era, forse, molto più innocente della nostra e anche alcune condotte poco limpide potevano assumere dei contorni di mito o leggenda come, ad esempio, le gesta di Bonnie e Clyde o quelle di John Dillinger. Un’epoca, quella, che non tornerà più ma che potrà rivivere solo attraverso racconti come quelli di Pasquale.
Maurizio Distante
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