BRINDISI- Al posto di pomodori, carciofi e vigneti spuntano migliaia di pannelli di silicio. Il fotovoltaico in cinque anni divora le campagne del brindisino. Nelle piazza delle città gli agricoltori non cercano più manodopera ma imprenditori che vogliono comprare i loro terreni. L’agricoltura è in ginocchio, pochi guadagni, la vendita ai signori del fotovoltaico per i brindisini sembra essere la manna dal cielo. Una possibilità di sopravvivenza.
Gli impianti però si moltiplicano di mese in mese, si espandono su tutto il territorio. La legge sulle rinnovabili non è rigida, anzi migliaia di euro di incentivi sono a disposizione per chi vuole investire in questo settore. Ma qualcuno comincia a sentire puzza di bruciato. L’allora presidente della Provincia, Massimo Ferrarese, comincia la sua battaglia al fotovoltaico selvaggio. Nel novembre 2010 si reca in Procura, incontra il procuratore capo Dinapoli e il procuratore aggiunto Ghizzardi solleva alcuni dubbi e segnala alcune situazioni anomale. La Provincia era l’ente competente a rilasciare le autorizzazioni per gli impianti superiori a un megawatt, ma nel brindisino la maggior parte dei parchi fotovoltaici venivano realizzati con la semplice Dia perché dichiarati al di sotto di un megawatt.
Un sospetto che ha portato oggi i suoi frutti. Decine di impianti uno accanto all’altro al di sotto di un megawatt, ma che in realtà risultano essere dello stesso proprietario. Questa è la tesi portata avanti dalla Procura di Brindisi che trova fondamento anche da intercettazioni telefoniche e testimonianze.
Un ruolo importante in questa vicenda lo ha avuto anche un’inchiesta giornalistica. Nel 2010 un’inchiesta andata in onda nella trasmissione l’Indiano di Telerama ha parlato per la prima volta delle scatole cinesi del fotovoltaico brindisino e non solo. I giornalisti Danilo Lupo e Tiziana Colluto hanno scoperchiato il pentolone all’interno del quale c’erano le decine di società che avevano investito nelle rinnovabili su questo territorio, società nelle quali apparivano sempre gli stessi nomi perchè facevano capo alle stesse persone. Eppure gli impianti erano diversi. I nomi citati allora da Lupo e Colluto sono gli stessi che si trovano nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dai giudici brindisini.
La Procura di Brindisi è stata la prima in Italia a indagare in questo settore, la sua esperienza e le tecniche investigative sono diventate oggetto di attenzione di altre realtà.
Lu.Po.
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