Nuovo Teatro Verdi: in scena il San Francesco pop di Giovanni Scifoni

BRINDISI- Cosa ci fa un uomo scalzo dell’anno 1200 nel nostro immaginario contemporaneo, tra serie tv, influencer e crisi spirituali fai-da-te? Venerdì 28 marzo, alle 20.30, il Nuovo Teatro Verdi di Brindisi accoglie “Fra’. San Francesco, la Superstar del Medioevo”, spettacolo scritto e interpretato da Giovanni Scifoni, che ribalta ogni cliché sul santo di Assisi per raccontarlo come mai prima: un uomo di carne e fede, inquietudine e teatro. Biglietti disponibili su vivaticket.com e in botteghino, aperto il giorno dello spettacolo dalle 11 alle 13 e dalle 19 alle 20.30. Info T. 0831 562 554 e botteghino@nuovoteatroverdi.com.

Tutto parte da una domanda semplice quanto esplosiva: perché proprio lui? Perché Francesco continua a parlarci, a sedurci, a inquietarci dopo ottocento anni? Non era certo il solo a inseguire la povertà, a sfidare i poteri ecclesiastici, a scegliere la strada più impervia per incontrare Dio. Eppure è il più evocato, il più insospettabilmente vicino, il più radicale. Scifoni tesse un’indagine scenica tra storia e mito, Vangelo e palcoscenico, leggenda e ribellione. Ne viene fuori un Francesco restituito al suo tempo e al nostro, tra luci accese di teatro e domande che ancora bruciano.

«Francesco parla di noi – ha detto Scifoni – più di quanto noi parliamo di Francesco. Noi non possiamo fare nient’altro che parlare di noi con la faccia di Francesco. Era un grande attore e artista, le sue prediche erano pazzesche. Altroché i Måneskin, il poverello parlava davanti a cinquemila persone, che nella Assisi nel 1.200 erano tantissime. Senza mezzi di comunicazione riusciva a radunare le folle, in più non c’erano microfoni. È incredibile. Le persone lo stavano a sentire. Aveva imparato le mosse dai giullari e trovatori che la mamma francese gli aveva fatto conoscere da piccolo. La gente capiva tutto».

Quello che emerge è un Francesco artista, un innovatore della comunicazione, capace di mettere in scena veri e propri spettacoli ante litteram. Le sue prediche erano performance, giocate sull’elemento visivo, sonoro, emotivo. Sapeva recitare, cantare, ballare, coinvolgere il pubblico con una maestria che oggi definiremmo da attore consumato. Utilizzava il corpo, il linguaggio, i simboli con un’intelligenza scenica straordinaria. Il suo presepe di Greccio, di cui nel 2023 si sono celebrati gli 800 anni, fu un colpo di genio teatrale: portare il sacro nella carne e nella terra, mostrarlo agli occhi di tutti con una concretezza mai vista prima. Non un’astrazione, non un dogma, ma un’azione, un’immagine, un racconto.

Scifoni, con il suo stile inconfondibile, unisce ricerca storica e leggerezza, intelligenza e ironia, facendo emergere un Francesco meno ieratico e più autentico, più vicino a noi. Un ragazzo di provincia con ambizioni borghesi che, a un certo punto della sua vita, compie una scelta estrema, al limite della follia e ne fa un manifesto. Ma non è un santo immobile e mistico, bensì un uomo che ride, sbaglia, cade, si tormenta, dubita, si dispera e, soprattutto, crea. Un artista totale, capace di raccontare Dio con le immagini, le parole e le azioni, fino al sacrificio del corpo, fino alla perdita della vista, fino all’estremo logoramento fisico. Il Cantico delle Creature, la prima poesia in volgare della nostra letteratura, nasce non dalla pace, ma dal buio, dal dolore, dalla consapevolezza dell’ineluttabile, eppure risplende di una luce quasi insostenibile.

La narrazione si intreccia con la musica dal vivo, elemento essenziale dello spettacolo. Luciano Di Giandomenico, Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli accompagnano la voce di Giovanni Scifoni con strumenti antichi e laudi medievali, ma con un’idea di sonorità tutt’altro che museale. Le musiche si trasformano, si mescolano, si evolvono, fino ad arrivare, per strade inaspettate, alla techno. Un gioco di stratificazioni sonore che non è mai fine a se stesso ma segue il cuore pulsante della narrazione sottolineandone le sfumature, amplificandone il respiro.

La regia di Francesco Ferdinando Brandi, frutto di un lavoro corale e laboratoriale, lascia spazio alla libertà espressiva dell’attore e dei musicisti. Nessuna imposizione rigida, nessuna struttura precostituita, ma un processo vivo, in continua evoluzione, nel quale ogni elemento si adatta, si modella e si ricrea di sera in sera. Un modo di fare teatro che rispecchia, in un certo senso, lo stesso Francesco: un uomo che non ha mai smesso di interrogarsi, di modificarsi, di spingersi oltre.

Il finale è uno schiaffo alla contemporaneità. La morte. Sora nostra morte corporale, quella da cui nessun uomo può fuggire. Francesco la guarda negli occhi, la accoglie, la abbraccia. E lo spettacolo costringe il pubblico a fare lo stesso. Non c’è via di fuga, non c’è distrazione possibile. E forse è proprio qui che sta il senso profondo di questo viaggio teatrale: riscoprire la verità della nostra esistenza attraverso le parole di un uomo che, più di otto secoli fa, ha trovato nella fragilità il suo più grande atto di forza. “Fra’. San Francesco, la Superstar del Medioevo” è più che uno spettacolo su un santo. È un’esperienza teatrale che ci mette di fronte a noi stessi. E lo fa con la potenza di un racconto che non ha mai smesso di affascinare, interrogare e commuovere.

 

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